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D.Lgs. 19 giugno 2025 n. 88: chiarimenti e semplificazioni su operazioni transfrontaliere e scissione mediante scorporo
Il D.Lgs. 88/2025, pubblicato sulla G.U. n. 143 del 23 giugno 2025 ed efficace dall’8 luglio, interviene sul D.lgs. 19/2023, varato appena un anno fa per recepire la direttiva (UE) 2019/2121, la cui applicazione aveva sollevato alcune criticità, in particolare con riferimento al controllo di legalità notarile, al rapporto tra la legge dello stato d’origine e quella dello stato di destinazione, nonché in ordine all’ambito operativo della scissione mediante scorporo.
Il legislatore ha così voluto chiarire tali questioni applicative, definendo meglio l’iter procedimentale e dando risposta alle istanze emerse in dottrina e nella prassi notarile per favorire la realizzazione delle operazioni in esame.
Tra le principali novità spicca l’estensione del perimetro operativo della disciplina delle operazioni transfrontaliere alle società di persone e ad enti non societari, a prescindere dalla presenza di società di capitali tra gli enti partecipanti all’operazione, nonchè alle operazioni che coinvolgono società non europee.
Il correttivo procede secondo due direttrici principali: da un lato perfeziona l’impianto definitorio e procedimentale del D.lgs. 19/2023, dall’altro interviene sul codice civile ed in particolare sulla scissione mediante scorporo. In primis, si amplia la nozione di beneficio pubblico includendovi anche quei benefici non censiti nel Registro nazionale degli aiuti di Stato.
Contestualmente si riscrive l’articolo 4, ridefinendo gli obblighi del notaio nelle operazioni non armonizzate: per le fattispecie “in uscita” si continua a rilasciare il certificato preliminare attestando la sussistenza delle condizioni richieste, mentre per le operazioni “in entrata” il notaio svolge un controllo sostanzialmente equivalente a quello previsto per le operazioni armonizzate, compresa l’attestazione dell’esistenza delle condizioni per la costituzione e iscrizione della società nel registro delle imprese nazionale. Viene, inoltre, esplicitato che resta sempre impregiudicata la verifica delle condizioni di ordine pubblico internazionale, così come individuate dall’art. 25, co. 3 della legge 218/1995.
Il nuovo articolo 5-bis introduce un micro-procedimento di integrazione documentale finalizzato a scongiurare stalli dovuti a lacune formali. Quando i dati indispensabili per l’iscrizione – per esempio quelli relativi ai componenti degli organi sociali o alle partecipazioni – non risultano dalla delibera depositanda, il soggetto che, per conto della società chiede il deposito della decisione di trasformazione o dell’atto di scissione o che partecipa all’atto di fusione o scissione redatto dal notaio, può colmare tali lacune mediante apposita dichiarazione.
Inoltre, qualora occorra integrare tali dati e serva a tal fine una deliberazione, l’organo competente della società può incaricare della relativa manifestazione di volontà il soggetto che, in nome della società, provvede al deposito o partecipa all’atto.
Una volta rilasciato il certificato preliminare nello stato d’origine, tali decisioni potranno essere approvate con le maggioranze proprie dell’ente risultante dall’operazione, così da consentire speditezza procedurale. In ogni caso, l’efficacia di ogni integrazione è subordinata all’avvenuta iscrizione della società risultante, in modo da garantire certezza e coerenza con la sequenza pubblicitaria.
Sotto il profilo delle operazioni di trasformazione, la riscrittura della definizione normativa abbandona la locuzione «tipo sociale» per riferirsi alla «forma giuridica prevista dalla legge dello Stato di destinazione», chiarendo che la trasformazione transfrontaliera determina un mutamento della legge regolatrice rimanendo ferma la soggettività giuridica.
In particolare, viene chiarita la nozione di «trasformazione» definendola come l’operazione mediante la quale una società senza essere sciolta né sottoposta a liquidazione, conservando i propri diritti e obblighi e proseguendo in tutti i rapporti anche processuali, modifica la legge alla quale è sottoposta adottando una forma giuridica prevista dalla legge dello Stato di destinazione e fissando la sede sociale in conformità a tale legge.
Si prevede, altresì, come il notaio che abbia verbalizzato la decisione di trasformazione della società sottoposta a tale operazione, debba depositare tale decisione, per l’iscrizione nel registro delle imprese, nei trenta giorni successivi e non contestualmente al deposito del certificato preliminare e dell’attestazione rilasciata dall’autorità competente dello stato di destinazione come appariva dalla formulazione previgente della norma.
Nell’ambito delle operazioni straordinarie transfrontaliere in generale viene inoltre rafforzato il contraddittorio tra notaio e società: il professionista è tenuto a segnalare senza indugio eventuali carenze documentali, concedendo un termine congruo e prorogabile per il loro superamento; l’ente coinvolto può formulare osservazioni scritte e, in caso di rifiuto il professionista dovrà fornire le opportune motivazioni, rimanendo così ferma la possibilità per la parte interessata di adire al giudice.
Particolarmente incisiva è la revisione dell’articolo 30 in materia di certificato preliminare nei casi di debiti e benefici pubblici. Viene ampliato il contenuto, descrivendo con maggiore precisione gli oneri a carico della società per l’ottenimento del certificato preliminare, con la previsione anche di un apposito allegato volto in particolare ad individuare con precisione i debiti assoggettabili alle disposizioni di cui all’art. 30.
Si vuole così consentire al notaio di verificare ex ante la documentazione richiesta, riducendo margini di incertezza applicativa. Al notaio sono altresì attribuiti espressamente poteri officiosi di richiesta diretta della documentazione mancante e, in presenza di dubbi sulla veridicità delle attestazioni, anche di nomina di un professionista indipendente a supporto della verifica.
Meritano un cenno autonomo le modifiche al codice civile e in particolare l’intervento sulla scissione mediante scorporo. Eliminando il riferimento alla «continuazione dell’attività» e chiarendo che con la scissione mediante scorporo una società assegna l’intero suo patrimonio o parte di esso, il nuovo testo dell’articolo 2506.1 ammette l’inesistenza di limiti all’assegnazione patrimoniale per effetto dello scorporo e accogliendo sempre le istanze della dottrina notarile anche che lo stesso possa avvenire a favore di beneficiarie preesistenti.
Ne consegue che all’esito della scissione la società scissa, pur svuotata di cespiti operativi, potrebbe permanere come holding di partecipazioni. Si chiarisce altresì che le semplificazioni procedurali già introdotte dal legislatore unionale (dispensa dalla situazione patrimoniale ex art. 2501-quater c.c., la relazione dell’organo amministrativo ex art. 2501-quinquies c.c. e degli esperti ex art. 2501-sexies c.c.) rimangono, circoscritte agli scorpori a favore di beneficiarie di nuova costituzione.
Negli altri casi la disciplina torna a riallinearsi al regime ordinario di scissione, con la permanenza degli oneri informativi e nella s.r.l. anche del diritto di recesso del socio della società beneficiaria che non abbia consentito all’operazione. Rimane tuttavia ferma, anche in questa ipotesi, l’esclusione del diritto di recesso spettante al socio della scissa che non abbia concorso alla delibera di approvazione del progetto.
Si è anche aggiunto un nuovo comma all’art. 2510-bis c.c. in base al quale il trasferimento della sede all’estero deve essere effettuato secondo le norme che regolano le operazioni di trasformazione transfrontaliera e internazionale, in modo da evidenziare come l’operazione in esame debba considerarsi in ogni caso un trasferimento di sede all’estero, senza riguardo al luogo in cui è fissata la sede statutaria della società risultante dall’operazione.
Un’ultima direttrice di intervento concerne gli obblighi di informazione di cui sono destinatari i lavoratori e le rappresentanze sindacali o, in loro assenza, i dipendenti delle società di diritto italiano, in ordine all’impatto giuridico ed economico delle operazioni in esame sui rapporti di lavoro.
In conclusione, il D.lgs. 88/2025 realizza un intervento organico di revisione normativa che consolida l’impianto del 2023, ampliandone la portata applicativa e introducendo strumenti di flessibilità procedurale, così da fornire certezza agli operatori. Per il notaio, l’effetto principale del correttivo risiede in un quadro di controlli più delineato per favorire la realizzazione delle operazioni in esame.
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“Semel Heres, Semper Heres”. Corte di Cassazione a Sezioni Unite 6/12/2024 n. 31310
Merita un breve commento la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 31310 del 6 dicembre 2024, relativa al noto problema dell’accettazione con beneficio d’inventario da parte di persona incapace (non “sui juris”), non seguita dalla redazione del relativo inventario.
Due erano, infatti, le teorie affermatesi nella giurisprudenza di legittimità:
- la prima riteneva che l’accettazione con beneficio d’inventario effettuata dal legale rappresentante della persona non “sui juris” non comportasse immediatamente l’acquisto della qualità di erede da parte del beneficiario. Pertanto, nel caso in cui all’accettazione non fosse seguita la redazione dell’inventario nel termine previsto dall’art. 489 c.c., il soggetto beneficiario conservava la facoltà di redigere l’inventario oppure di rinunciare all’eredità;
- la seconda sosteneva, invece, che l’accettazione con beneficio d’inventario effettuata dal legale rappresentante della persona non “sui juris” comportasse sin da subito l’acquisto della qualità di erede. Di conseguenza, se l’inventario non fosse stato redatto dal legale rappresentante nel termine di cui all’art. 489 c.c., il beneficiario avrebbe avuto soltanto la possibilità di redigere egli stesso l’inventario, venendo altrimenti considerato erede puro e semplice.
Le Sezioni Unite hanno preso posizione in favore di questa seconda tesi con una serie di motivazioni che a parere del sottoscritto sono da condividere.
Come noto, l’art. 471 c.c. stabilisce che l’unica forma con cui i minori e gli interdetti possono accettare l’eredità sia quella con il beneficio dell’inventario. Tale accettazione, così come la eventuale rinunzia, è soggetta alla valutazione del Giudice competente (oggi anche del Notaio) e, una volta debitamente autorizzata conferisce immediatamente al beneficiato la qualità di erede.
L’accettazione richiede una forma ad substantiam ed è soggetta a trascrizione. Questo elemento formale porta ad escludere l’opinione dottrinale secondo cui il beneficio si acquisterebbe ope legis per il solo fatto dello stato di incapacità, anche in assenza di un’accettazione beneficiata fatta dal legale rappresentante. Rimane ferma la facoltà per il legale rappresentante di rinunciare all’eredità, ma sempre previa autorizzazione.
L’art. 484 c.c. prevede che l’accettazione beneficiata deve essere seguita o preceduta dalla redazione dell’inventario, in quanto solo quest’ultimo consente al minore e all’interdetto di soddisfare i creditori o i legatari nei limiti dell’attivo eredità ai sensi dell’art. 490 c.c.
Gli artt. 485 e 487 c.c., che disciplinano il termine per l’esecuzione dell’inventario a seconda che l’erede sia o meno nel possesso dei beni ereditari, sono derogati, per i minori e gli interdetti, dall’art. 489 c.c., il quale prevede un termine “soggettivo”, ossia un anno dal compimento della maggiore età o dalla cessazione dello stato di incapacità.
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione compie un’importante considerazione in merito all’art. 489 c.c.: l’inciso «entro tale termine non si siano conformati alle norme della presente sezione» viene interpretato con il significato che, acquisita la qualità di eredi per effetto dell’accettazione con beneficio di inventario, i minori o gli interdetti hanno, entro il termine previsto dalla norma, unicamente la facoltà di redigere l’inventario per evitare di essere considerati eredi puri e semplici.
In tal modo, viene offerta all’erede beneficiato una tutela rispetto all’inerzia del legale rappresentante nell’adempimento dell’obbligo di redazione dell’inventario.
Le Sezioni Unite affermano espressamente che la disposizione di cui all’art. 489 c.c. rappresenta un’estensione dell’art. 471 c.c., da cui discende l’attribuzione della qualità di erede.
L’accettazione dell’eredità attribuisce in via definitiva la qualifica di erede, e la dichiarazione di volersi avvalere del beneficio non costituisce una condizione sospensiva dell’efficacia dell’accettazione, come sostenuto in passato.
La dichiarazione di accettazione beneficiata non subordina, quindi, la volontà di succedere al raggiungimento del risultato di tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede.
Gli artt. 485 e 487 c.c. stabiliscono che l’erede, nel possesso o non nel possesso di beni ereditari, decada dal beneficio, divenendo erede puro e semplice, se non provvede alla redazione dell’inventario nei termini indicati. Gli artt. 493, 494 e 505 c.c. chiariscono che in caso di decadenza, a venire meno è solo il beneficio della separazione patrimoniale.
Prosegue la Cassazione affermando che l’accettazione dell’eredità e la dichiarazione di volersi avvalere del beneficio di inventario devono avvenire in unico contesto in quanto il relativo contenuto è inscindibile.
Consistendo l’inventario in una operazione materiale, è indifferente chi sia la persona che lo pone in essere, essendo infatti consentito, ai sensi dell’art. 769 c.p.c., che a richiedere l’inventario siano persone diverse dall’erede (altri eredi, creditori) [1].
A modifica delle posizioni espresse in precedenza dalla Cassazione, le Sezioni Unite, riprendendo la sentenza 11030/2003, ribadiscono il principio secondo cui “la dichiarazione, di per sé, ha una propria immediata efficacia, poiché comporta il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato e quindi il suo subentro in universum jus defuncti, compresi i debiti del de cuius” ma non incide sulla “limitazione della relativa responsabilità intra vires hereditatis, che è condizionata dalla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, mancando il quale l’accettante è considerato erede puro e semplice” non perché abbia perduto ex post il beneficio, ma perché non lo ha mai conseguito (Cass. 11030/2003, 16739/2005, 16514/2015, 9099/2018, 7477/2018).
Le Sezioni Unite riaffermano quindi il principio “semel heres semper heres” ritenendo che l’accettazione dell’eredità sia irrevocabile: chi accetta l’eredità la acquista in modo definitivo, e la relativa dichiarazione non è revocabile.
Ne consegue che, una volta intervenuta l’accettazione dell’eredità da parte del legale rappresentante del minore o dell’interdetto, nella forma beneficiata, come richiesto dalla legge, gli stessi non possano essere considerati meri chiamati all’eredità con facoltà quindi di rinunciare, come se la dichiarazione di accettazione beneficiata non fosse mai stata resa.
Non è dunque consentita un’equiparazione tra dichiarazione di accettazione beneficiata non seguita da inventario e accettazione pura e semplice fatta dal legale rappresentante: nel primo caso, l’incapace acquista immediatamente la qualità di erede; nel secondo caso, l’accettazione è nulla per difetto di forma.
L’art. 489 c.c., secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, si applica al caso in cui il legale rappresentante, dopo l’accettazione beneficiata, non abbia eseguito l’inventario. Tale omissione non può comportare automaticamente la decadenza dal beneficio per il rappresentato: la norma offre, infatti, a quest’ultimo un nuovo termine, decorrente dalla cessazione dello stato di incapacità, per redigere l’inventario ed evitare la decadenza. Si ha, quindi, una sterilizzazione del termine iniziale, con una sua proroga fino ad un anno dalla cessazione dell’incapacità del beneficiario.
Interessante è anche la lettura delle Sezioni Unite dell’art. 473 C.C. in contrapposizione all’art.471 c.c. che impongono tanto per gli enti morali quanto per gli incapaci l’accettazione dell’eredità in forma beneficiata.
Come noto, l’art. 473 c.c. – con formulazione mutuata dalla disciplina prevista per gli incapaci – stabilisce che l’accettazione dell’eredità da parte delle persone giuridiche e associazioni (escluse le società) non possa avvenire se non con il beneficio di inventario.
La norma viene interpretata nel senso che il mancato perfezionamento dell’inventario nei termini e modi previsti comporta che l’Ente chiamato non acquisti la qualità di erede (Cass. 9514/2017, 19598/2004, 2617/1979).
Nel caso degli enti morali, il divieto di accettare l’eredità ultra vires è considerato insito nella loro natura giuridica e, dunque, insuperabile.
Per gli incapaci invece si tratta di una condizione temporanea, destinata a cessare, per i minori, al raggiungimento della maggiore età e, per gli interdetti, al cessare dello stato di interdizione.
La tesi secondo cui la legge regolerebbe in modo identico le due situazioni non tiene conto del fatto che, per minori e interdetti, trovano applicazione anche le disposizioni dell’art. 489 c.c., oltre al 471 c.c.
Questa differenza incide anche sull’obbligo di redazione dell’inventario: per gli enti morali non vi è ragione di derogare alla disciplina dell’art. 485 c.c. con riguardo al termine entro cui l’inventario deve essere redatto. Per gli incapaci, viceversa, opera il diverso termine previsto dalla norma loro riservata (art. 489 c.c.) e non vi sono ragioni per negare che, venuta meno l’incapacità, la mancata redazione dell’inventario nel termine di cui all’art. 489 c.c. determini la loro piena responsabilità patrimoniale.
Conclusioni
Le Sezioni Unite, discostandosi da precedenti decisioni della stessa Corte, fanno proprio quanto sostenuto dalla Cassazione 11030/2003 che ha inaugurato il nuovo indirizzo giurisprudenziale: l’accettazione con beneficio di inventario produce immediatamente effetti, comportando l’acquisto definitivo della qualità di erede da parte del chiamato. Rimane oggetto di ulteriore verifica solo la limitazione della responsabilità intra vires hereditatis, subordinata alla tempestiva redazione dell’inventario entro i termini previsti per gli incapaci, in particolare dall’art. 489 c.c. In mancanza, il beneficiario sarà comunque considerato erede, ma puro e semplice.
A commento della Sentenza, si ritiene di poter affermare che la redazione dell’inventario da parte del legale rappresentante dell’incapace, seppur prevista dalla legge, non sia elemento ostativo o preclusivo, avendo comunque l’incapace, a proprio favore, un nuovo termine per redigere l’inventario ai sensi dell’art. 489 C.C.
Ne consegue che il Notaio non potrà rifiutare ai sensi dell’art. 27 L.N. un atto dispositivo di qualsiasi natura, di un bene ereditario, effettuato dal legale rappresentante dell’incapace, laddove l’atto sia debitamente autorizzato, anche in assenza della preventiva redazione dell’inventario, non trattandosi di atto espressamente proibito dalla legge o manifestamente contrario all’ordine pubblico o al buon costume ai sensi art.28 L.N.
Note[1] La tesi secondo cui il minore o l’interdetto, il cui legale rappresentante, debitamente autorizzato, abbia accettato l’eredità con il beneficio di inventario, omettendo la redazione dell’inventario, resterebbe un semplice chiamato è smentita dal fatto che, ai sensi dell’art. 769 c.p.c., l’inventario può essere richiesto anche da persone diverse dal legale rappresentante, prescindendo quindi dalla sua condotta.
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Le polizze assicurative “Donazione Sicura”
ricercatore presso
l’Università degli Studi di Cagliari
Nella prassi si stanno progressivamente diffondendo polizze atte a proteggere dai rischi di un immobile donato ovvero oggetto di trasferimento in trust.
Si tratta di prodotti assicurativi innovativi, la cui affermazione è favorita da una fase di rinnovata attenzione alle tematiche di gestione e disposizione dei patrimoni immobiliari delle famiglie italiane, anche alla luce delle esenzioni e agevolazioni per la costituzione di trust istituiti in favore delle persone con disabilità gravi e per le erogazioni liberali, le donazioni e gli altri atti a titolo gratuito effettuati nei confronti dei suddetti trust introdotte dalla c.d. legge sul “Dopo di noi” (l. 25 giugno 2016, n. 112).
Stante il rischio assicurato, queste polizze possono essere sussunte entro il ramo danni n. 16, relativo alle «perdite pecuniarie di vario genere». Tra esse, però, deve essere operata una distinzione tra quelle che coprono i rischi nascenti da un immobile donato e quelle dal trasferimento del bene in trust e, per quel che concerne le prime, più nel dettaglio, tra quelle a tutela del proprietario e quelle a tutela del creditore ipotecario.
Ai fini della validità dei contratti di assicurazione in discorso, questi non possono essere conclusi se, al momento della richiesta della polizza, il diritto di opposizione alla donazione è già stato esercitato ovvero è stata intrapresa un’azione legale che può comportare la restituzione dell’immobile donato.
L’assicurazione a tutela del proprietario dell’immobile donatoL’assicurazione a tutela dei rischi di un immobile donato è volta, innanzitutto, a facilitare la commerciabilità del bene stesso. I beni immobili oggetto di donazione, come è noto, scontano un rilevante pregiudizio nell’ipotesi di circolazione successiva al negozio. Infatti, l’acquirente e l’eventuale creditore ipotecario si assumono il rischio che gli eredi legittimari del donante, lesi nella loro quota legittima, possano agire per la restituzione dell’immobile donato privo di eventuali ipoteche iscritte sullo stesso successivamente alla donazione. In assenza di opposizioni, l’azione di riduzione si prescrive nell’ordinario termine decennale calcolato a partire dalla morte del donante o, qualora lo stesso sia ancora in vita, in venti anni dalla trascrizione della donazione.
Possono contrarre la polizza il donante (in occasione della donazione, per attribuire un ulteriore vantaggio al donatario); il donatario (in occasione della donazione o in un momento ad essa posteriore, per dotarsi di uno strumento che favorisca la successiva circolazione del bene); il terzo acquirente (in occasione dell’acquisto di un bene immobile di provenienza donativa, per diventare beneficiario della polizza); il creditore ipotecario (qualora abbia concesso al terzo acquirente un finanziamento ipotecario su un bene di provenienza donativa, anche se il soggetto finanziato non ha stipulato l’assicurazione). I soggetti assicurati sono il proprietario dell’immobile (che lo abbia acquistato dal donatario o da un suo avente causa) e l’eventuale creditore ipotecario di costui. Non possono esserlo né il donatario, né – se del caso – la sua banca finanziatrice.
La copertura, dietro il versamento di un premio una tantum, protegge l’assicurato dai danni economici che potrebbe subire a seguito di un esito favorevole dell’azione di restituzione dell’immobile esperita dagli eredi legittimari del donante ai sensi degli artt. 561 e 563 c.c.
In particolare, la polizza indennizzerà l’assicurato contro il rischio inerente l’obbligo di restituzione dell’immobile al legittimario ex art. 563 c.c., ove l’assicurato abbia acquistato l’immobile dal donatario o da un suo avente causa, ovvero contro il rischio di cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile ai sensi dell’art. 561 c.c., in seguito alla restituzione dell’immobile al legittimario (a norma dell’art. 563 c.c.) nel caso in cui l’assicurato sia il creditore ipotecario del terzo acquirente. Infatti, come è noto, l’art. 561 c.c. statuisce che gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il donatario può averli gravati.
L’indennizzo consta nel pagamento, a favore del legittimario, dell’equivalente in denaro previsto dall’art. 563, comma 3°, c.c. (fino alla concorrenza del massimale, indicato dal richiedente sulla base dell’atto di donazione, dell’atto di compravendita o della perizia in funzione del valore dell’immobile o di porzione dello stesso) al fine di impedire la restituzione dell’immobile libero dall’eventuale ipoteca concessa al creditore ipotecario.
Il pagamento al legittimario è effettuato all’esito del giudizio di primo grado, non appena il provvedimento è esecutivo. In tal modo il terzo proprietario non perde mai la proprietà del bene e l’ipoteca a favore della banca resta efficace.
La copertura opera sino all’avvenuta prescrizione del diritto del legittimario ad agire per la restituzione dell’immobile e prescinde da eventuali trasferimenti successivi del bene o dalla surrogazione del mutuo ipotecario: la polizza si trasferisce gratuitamente a favore dei successivi acquirenti dello stesso o dei creditori ipotecari e rimane efficace anche in caso di cartolarizzazione del mutuo.
L’assicurazione a tutela del creditore ipotecarioUn ulteriore strumento assicurativo, ancor più specificamente mirato, è quello finalizzato alla facilitazione della concessione di finanziamenti destinati alla ristrutturazione di immobili di provenienza donativa. Il rischio coperto dalla polizza è la perdita della garanzia ipotecaria a seguito dell’esercizio di un’azione di riduzione ereditaria.
La polizza può essere contratta dal donatario legittimario dell’immobile o dai suoi aventi causa a titolo universale in occasione della concessione di un finanziamento edilizio, ovvero dall’eventuale terzo acquirente dell’immobile a cui si trasferisca anche il finanziamento. Il beneficiario dell’assicurazione è la banca finanziatrice. Il contraente-donatario legittimario non potrà in alcun caso essere il beneficiario diretto della copertura.
La polizza è infatti finalizzata a proteggere la banca che finanzia il donatario che intenda ristrutturare l’immobile ricevuto in donazione. L’impresa di assicurazione indennizzerà l’assicurato contro il rischio di perdita dell’ipoteca sull’immobile a seguito della sentenza definitiva che, in accoglimento della richiesta di un erede, dichiari la riduzione della donazione cui consegua la restituzione dell’immobile ai sensi dell’art. 561 c.c. o, nel caso in cui il contraente sia un terzo acquirente dell’immobile, la restituzione dello stesso ex art. 563 c.c.
Il pagamento dell’indennizzo avverrà versando a favore dell’assicurato un importo pari al capitale residuo del finanziamento ridotto del capitale eventualmente rimborsato dal sovvenuto dopo la notificazione dell’atto introduttivo dell’azione e in ogni caso sino a concorrenza del massimale. Il massimale non può in ogni caso superare il valore dell’ipoteca iscritta sull’immobile donato.
Oltre alle già citate ipotesi ostative alla copertura assicurativa, ulteriore circostanza impeditiva è che il donatario-contraente sia inadempiente nel rimborso del finanziamento fondiario.
L’assicurazione a protezione dei rischi nascenti dal conferimento di un immobile in trustDa ultimo, devono segnalarsi i prodotti assicurativi finalizzati a facilitare il trasferimento di immobili oggetto di conferimento in trust, in quanto anche con tale istituto può realizzarsi un atto di liberalità potenzialmente lesivo dei diritti dei legittimari del disponente, con conseguente applicazione – ai sensi dell’art. 809 c.c. – della disciplina in materia di riduzione delle donazioni per integrare la quota a loro dovuta.
Possono contrarre la polizza il soggetto che conferisce l’immobile in trust (disponente), il soggetto che riceve l’immobile a seguito del conferimento (trustee), il soggetto a favore del quale viene trasferito gratuitamente l’immobile da parte del trustee a seguito della distribuzione (beneficiario), l’acquirente dell’immobile (o un suo avente causa) dal trustee, dal beneficiario o da qualsiasi successivo avente causa dagli stessi, nonché il creditore ipotecario di quest’ultimo.
Assicurato può innanzitutto essere il soggetto che acquista dal trustee, dal beneficiario o da qualsiasi successivo avente causa dagli stessi un bene immobile che è stato conferito in trust, essendo assicurato dal rischio relativo all’obbligo di restituzione dell’immobile all’erede legittimario del disponente. Inoltre, anche la banca che ha concesso un finanziamento ipotecario a favore dell’acquirente dell’immobile (ad eccezione delle ipotesi in cui l’ipoteca sia stata concessa dal trustee o dal beneficiario del trust) può essere assicurata dal rischio di cancellazione dell’ipoteca a seguito della restituzione dell’immobile all’erede legittimario del disponente.
Anche in tal caso, la polizza elimina l’obbligo di restituzione dell’immobile, libero dall’eventuale ipoteca sullo stesso iscritta, versando direttamente all’erede legittimario leso l’equivalente in denaro previsto dall’art. 563 c.c.
Dal punto di vista dell’efficacia temporale, non vi sono differenze con i prodotti assicurativi finora descritti. La polizza non ha una durata predeterminata: la copertura è infatti efficace sino alla prescrizione del diritto dei legittimari del disponente ad agire per ottenere la restituzione dell’immobile. Inoltre, prescinde da eventuali successive cessioni dell’immobile o del mutuo ipotecario: la polizza si trasferisce agli aventi causa e ai relativi creditori ipotecari.
L’importo del massimale è indicato dal richiedente, sulla base dell’atto di conferimento in trust o dell’atto di trasferimento al beneficiario, dell’atto di compravendita o della perizia e in funzione del valore dell’immobile (o porzione dello stesso).
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Plusvalenza da Superbonus: casi pratici sulle questioni più dibattute
Studio Locatelli Sani Ravani & Associati
DISCLAIMER: Le valutazioni e gli esempi nel seguito presentati sono stati formulati sulla base della documentazione ufficiale e della prassi disponibile alla data di redazione. Le considerazioni e conclusioni presentate a supporto delle casistiche analizzate sono frutto di valutazioni professionali e soggettive, comunque da verificarsi ed applicarsi criticamente alle fattispecie concrete.
A quasi un anno dalla Circolare n. 13/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate, molteplici sono i profili di dubbio che permangono sul tema delle plusvalenze da Superbonus. Nel seguito, si commenteranno alcune delle casistiche reali più diffuse, sulle quali permane un vivo contrasto tra la prassi ufficiale e le posizioni dottrinali.
PremessaCon la legge di bilancio 2024, il Legislatore ha inteso assoggettare ad imposizione fiscale le plusvalenze relative alla prima cessione a titolo oneroso[1] di immobili oggetto di interventi agevolati da Superbonus ex art. 119 D.L 34/2020, se conclusi nel decennio precedente. In tale fattispecie non rileva che il cedente, soggetto passivo dell’imposta, abbia fruito dell’agevolazione fiscale: la normativa ha infatti ricompreso nel perimetro del presupposto impositivo anche la cessione di immobili su cui altri aventi diritto abbiano realizzo interventi agevolati con Superbonus, di fatto realizzando una dissociazione soggettiva tra chi ha usufruito dell’agevolazione fiscale[2] e chi, per via di quest’ultima, realizza la plusvalenza da Superbonus.
Affinché si possa generare una plusvalenza tassabile, è preliminarmente necessario verificare che il cedente possa essere titolare di reddito diverso[3]. Ne risultano conseguentemente esclusi gli imprenditori individuali e le società commerciali, in quanto produttori di reddito di impresa[4]. Parimenti, fondamentale è verificare la natura degli interventi agevolati, in quanto la fruizione di agevolazioni fiscali diverse dal Superbonus[5] escludono l’emersione della commentata plusvalenza. Diversamente, non rilevano ad escludere la tassazione della plusvalenza né le minori percentuali di detrazione[6], né la modalità di utilizzo della stessa (detrazione, sconto in fattura o cessione del credito).
Nel seguito si procede ad illustrare e commentare alcune casistiche piuttosto frequenti, nella forma di Q&A:
Q&A numero 1Q. Un contribuente che ha acquistato un immobile oggetto di lavori Superbonus, procede alla rivendita dello stesso entro i dieci anni dalla fine lavori; deve tassare la plusvalenza?
A. La Circolare in commento ha chiarito che rilevante ai fini della plusvalenza da Superbonus è solo la prima cessione a titolo oneroso. Per tale ragione, l’eventuale successiva vendita onerosa da parte del primo cessionario non risulta più imponibile ex art. 67 c.1 lett. b-bis), mentre continua a rimanere rilevante ex art. 67 c.1 lett. b), ai sensi del quale la plusvalenza è imponibile nel caso in cui venga realizzata nel quinquennio successivo alla data di acquisto e fatto salvo che l’unità immobiliare non sia stata adibita ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo, o sia stata acquisita per successione (non applicabile al caso in commento).
Esempio:
Caio vende a Sempronio la propria abitazione due anni dopo la conclusione di interventi ammessi al Superbonus, realizzando una plusvalenza fiscale. Sempronio un anno dopo procede a rivendere tale abitazione, realizzando anch’esso una plusvalenza.
Caio realizza una plusvalenza imponibile ex lett. b-bis) in quanto l’abitazione venduta è stata oggetto di interventi da Superbonus terminati solo due anni prima della vendita. La rivendita da parte di Sempronio non è più rilevante ai fini della plusvalenza da Superbonus, in quanto trattasi di seconda cessione. Sempronio dovrà, però, tassare la plusvalenza emergente ai sensi della lett. b), in quanto la vendita è avvenuta nei cinque anni dalla data di acquisto, salvo che non abbia destinato (o i suoi familiari abbiano destinato) tale immobile ad abitazione principale per la maggior parte dell’anno trascorso.
Q&A numero 2Q. La vendita di una quota indivisa di immobile oggetto di interventi Superbonus integra la plusvalenza tassabile ed esaurisce l’obbligazione tributaria rispetto a vendite intervenute successivamente con riferimento alle quote residue?
A. Si ritiene che la vendita di una quota della proprietà dell’immobile, entro il decennio dall’avvenuta fine lavori, sia sufficiente ad integrare il presupposto impositivo e, parimenti, ad esaurirlo, rimanendo naturalmente opponibili da parte del fisco tutte quelle operazioni volte ad eludere il presupposto impositivo.
Esempio:
Tizio vende a Caio il 50% dell’abitazione su cui ha realizzato interventi da Superbonus. Cinque anni dopo Tizio cede a Caio il restante 50% della proprietà.
Nell’ipotesi in cui la vendita frazionata della proprietà non sia preordinata ad eludere il presupposto impositivo, si ritiene che tale cessione sia sufficiente ad esaurire il presupposto impositivo. Diversa sarebbe la conclusione nel caso in cui l’operazione realizzata fosse volta a ridurre la plusvalenza tassabile: nel qual caso, si ritiene che l’Agenzia delle Entrate possa contestare l’abuso del diritto.
Q&A numero 3Q. Un contribuente deve tassare la plusvalenza emergente dalla vendita dell’immobile, nel caso in cui abbia beneficiato delle detrazioni Superbonus per lavori sulle sole parti comuni del condominio in cui è situato?
A. La Circolare ha chiarito che rilevano ai fini della plusvalenza da Superbonus anche i soli interventi realizzati sulle parti comuni dell’edificio nel quale si trova l’unità immobiliare ceduta[7]. Una successiva conferma di tale lettura è giunta con l’interpello n. 208/2024, in occasione del quale la contribuente-istante ha tentato di ottenere dall’Amministrazione Finanziaria una lettura opposta. A fronte di una casistica nella quale la contribuente cedeva l’immobile appartenente ad un condominio su cui erano stati effettuati interventi agevolati con il Superbonus limitatamente alle sole parti comuni, l’Amministrazione Finanziaria ha ribadito l’emersione della plusvalenza fiscale sull’immobile, non motivandone le ragioni se non tramite il rinvio integrale alla già richiamata Circolare.
Esempio:
Tizio è proprietario di un immobile. Sulle parti comuni dell’edificio di cui fa parte l’immobile vengono eseguiti interventi agevolati con Superbonus, esercitando l’opzione della cessione del credito. Tizio cede l’immobile entro i dieci anni successivi alla conclusione dei predetti lavori, conseguendo una plusvalenza di 100.
Tale plusvalenza sarà da assoggettarsi a tassazione quale reddito diverso ex art. 67 c.1 lett. b-bis) del TUIR, a prescindere dal fatto che l’immobile di Tizio non sia stato oggetto di lavori specifici.
Q&A numero 4Q. Un contribuente deve tassare la plusvalenza emergente dalla vendita dell’immobile nel caso in cui nel condominio in cui è situato siano stati realizzati interventi da Superbonus (con detrazione diretta) di cui non ha potuto beneficiare per incapienza?
A. Benché la formulazione di cui alla lett. b-bis) dell’art. 67 TUIR porti a ritenere necessaria la fruizione del Superbonus direttamente in capo al cedente o suo avente diritto[8], la circolare n. 13/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate ha ritenuto sufficiente ad integrare il presupposto impositivo l’esecuzione dei lavori sulle parti comuni dell’edificio, con ciò prescindendo dall’effettivo godimento del beneficio in capo al cedente. Ciò pertanto implica che anche il contribuente parzialmente o totalmente incapiente sia comunque tenuto all’imposizione fiscale sulla relativa plusvalenza emergente in sede di cessione.
Esempio:
Tizio è proprietario di un immobile. Sulle parti comuni dell’edificio di cui fa parte, vengono eseguiti interventi agevolati con Superbonus con detrazione diretta. Tizio, risultando incapiente, non beneficia dell’agevolazione fiscale. Tre anni dopo la conclusione dei predetti lavori, procede a vendere l’immobile conseguendo una plusvalenza di 100.
Benché Tizio non abbia beneficiato del Superbonus, si ritiene che tale vendita ricada appieno nella fattispecie di reddito diverso ex art. 67 c.1 lett. b-bis) del TUIR. La plusvalenza di 100 sarà da assoggettarsi a tassazione, in quanto i lavori sulle parti comuni sono sufficienti ad integrare il presupposto impositivo a prescindere dal godimento effettivo della detrazione in capo a Tizio.
Q&A numero 5Q. Un contribuente che eredita un’abitazione su cui il de-cuius ha eseguito interventi da Superbonus, deve procedere a tassare la plusvalenza in caso di rivendita nel decennio di osservazione?
A. No, per espressa previsione normativa non è tassabile la plusvalenza da Superbonus realizzata con riguardo ad un immobile acquisito per successione. Sul quesito in oggetto non si riscontrano infatti dubbi di sorta in merito alla piena applicabilità dell’esenzione; per casistiche differenti (Superbonus beneficiato dall’erede) si veda la domanda successiva.
Esempio:
Tizio effettua lavori da Superbonus sulla propria abitazione in complesso monofamiliare. Alla morte, avvenuta quattro anni dopo la conclusione dei lavori, il figlio Sempronio procede a vendere l’immobile ereditato, realizzando una significativa plusvalenza.
Sempronio non deve tassare la plusvalenza, in quanto la lett. b-bis) esclude chiaramente gli acquisiti per successione. Inoltre, non avendo neppure beneficiato del Superbonus, non sorgono dubbi sul chiaro rispetto della ratio dell’esclusione disposta dalla norma.
Q&A numero 6Q. Un contribuente beneficia del Superbonus per lavori eseguiti su un immobile acquisito per successione. Nel caso di vendita entro i dieci anni dalla conclusione dei lavori agevolati, deve procedere a tassare la plusvalenza eventualmente emergente?
A. Rimane dibattuto in dottrina se l’esenzione dell’acquisto per successione prevista dalla lett. b-bis) operi nel solo caso in cui a beneficiare del Superbonus sia stato il de-cuius o, altresì, possa valere anche nel caso in cui sia l’erede a beneficiare dell’agevolazione fiscale.
L’Amministrazione Finanziaria sembra, tuttavia, aver avvallato la tesi proposta in dottrina, la quale ritiene escluse anche le plusvalenze qualora sia lo stesso erede ad aver beneficiato del Superbonus. Una chiara conferma è riscontrabile nell’ambito dell’interpello citato con riferimento alla Q&A numero 3, nel quale è stato affermato che la causa di esenzione in commento operi nel caso di lavori posti in essere dall’erede successivamente all’acquisto dell’immobile per successione. Conformemente, rilevando il mero acquisto per successione, ne dovrebbe conseguire che chi ha ereditato un immobile decenni prima della realizzazione dell’intervento Superbonus non vedrà emergere alcuna plusvalenza tassabile a fronte del potenziale incremento di valore subito dall’immobile.
Esempio estratto dall’interpello n. 208/2024:
Tizia coniuge di Caio acquista in comunione legale dei beni un immobile. Alla morte di Caio, eredita il restante 50% senza adibirlo ad abitazione principale. Sulle parti comuni dell’edificio di cui fa parte l’immobile, vengono eseguiti interventi agevolati con Superbonus (cessione del credito). Alla conclusione dei predetti lavori, Tizia cede l’immobile conseguendo una plusvalenza di 100.
Tale plusvalenza potrà godere dell’esenzione pro-quota per la percentuale di proprietà acquisita per successione. Il reddito diverso tassabile sarà pertanto pari alla differenza, ossia 100 – 50%*100 = 50.
Q&A numero 7Q. La vendita da parte del pieno proprietario di un immobile in cui l’usufrutto si è consolidato nella nuda proprietà a seguito della morte dell’usufruttario, che avvenga nei dieci anni dalla conclusione dei lavori agevolati, può risultare esente per opera dell’esenzione da acquisto per successione?
A. È ricorrente, in ottica di passaggio generazionale, che genitori e figli si riservino, rispettivamente, l’usufrutto e la nuda proprietà di un’abitazione. Benché la finalità dell’operazione sia successoria, nel caso di interventi da Superbonus sulla medesima abitazione non può operare la causa di esclusione commentata negli esempi precedenti. L’estinzione dell’usufrutto, infatti, permette il riconsolidamento della piena proprietà in capo al nudo proprietario, il quale però detiene già un diritto di proprietà. Non trattandosi, quindi, di acquisto mortis-causa, non si può attivare la relativa causa di esclusione.
Esempio:
Caio vende a suo figlio Sempronio la nuda proprietà di un immobile su cui mantiene l’usufrutto. Caio, in quanto usufruttuario, realizza interventi Superbonus sull’abitazione. Alla morte di Caio, la piena proprietà si consolida su Sempronio, che procede a vendere l’immobile entro i dieci anni dalla conclusione degli interventi agevolati sull’immobile, realizzando una plusvalenza di 100.
L’intera plusvalenza realizzata da Sempronio sarà tassabile come reddito diverso ex lett.b-bis), in quanto l’esenzione per acquisto mortis-causa non può operare. L’immobile è stato infatti acquisito per atto tra vivi, mentre con la morte di Caio si è soltanto consolidata la piena proprietà in capo a Sempronio. Peraltro, medesima conclusione si realizzerebbe se Sempronio vendesse la nuda proprietà prima della morte di Caio, in quanto quest’ultimo configurerebbe quale avente diritto che ha eseguito gli interventi agevolati.
Q&A numero 8Q. La vendita, nel decennio d’osservazione, da parte di un contribuente che abbia eseguito lavori da Superbonus sulla propria abitazione principale, fa emergere una plusvalenza fiscalmente imponibile?
A. No, in quanto, per esplicita previsione normativa, le cessioni di immobili adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo intercorso tra la conclusione dei lavori agevolati e la successiva cessione[9] non sono rilevanti ai fini della plusvalenza da Superbonus.
Esempio:
Tizio dona a suo figlio Caio un immobile su cui ha realizzato interventi da Superbonus. Tale immobile è stato adibito ad abitazione principale di Tizio fin dalla data di fine lavori e anche dopo la donazione; Caio, dopo la morte del padre Tizio, cede l’immobile (ancora nel decennio dalla fine lavori).
I presupposti della plusvalenza da Superbonus ex lett. b-bis) sono tutti verificati in quanto la vendita è avvenuta nel decennio e l’avente diritto del cedente ha realizzato interventi agevolati da Superbonus. In capo a Caio, tuttavia, opera la causa di esclusione per il fatto che un suo familiare (il padre) ha adibito l’immobile a sua abitazione principale.
Q&A numero 9Q. Nel caso si realizzi la plusvalenza da Superbonus, gli oneri relativi agli interventi agevolati possono essere portati in aumento del costo fiscale (abbattendo la relativa plusvalenza)?
A. Ai sensi del comma 1 dell’art. 68 TUIR, la plusvalenza è calcolata come differenza tra il corrispettivo percepito e il prezzo d’acquisto o costo di costruzione del bene ceduto[10], aumentato di ogni altro costo inerente[11]. A tal fine, le spese relative agli interventi agevolati con Superbonus sono escluse o limitate dal computo del costo fiscale dell’immobile al ricorrere di entrambe le seguenti condizioni:
- Si è fruito del Superbonus con aliquota 110%;
- È stata esercitata l’opzione di sconto in fattura o cessione del credito.
Solamente al verificarsi delle suddette condizioni, si dovranno applicare le seguenti regole:
- se la vendita avviene entro il quinquennio dalla conclusione dei lavori oggetto di Superbonus, le spese relative non possono essere computate in aumento del costo fiscale;
- se la vendita avviene oltre il quinquennio dalla conclusione dei lavori oggetto di Superbonus, le spese oggetto di agevolazione possono essere computate in aumento del costo fiscale nella misura del 50%.
In tutti gli altri casi (Superbonus 110% fruito in detrazione, Superbonus fruito in percentuali inferiori ancorché con sconto in fattura o cessione del credito), l’integrale ammontare delle spese sostenute potrà essere computato in aumento del costo fiscale dell’immobile.
Nel caso in cui il contribuente abbia fruito del Superbonus con sconto in fattura o cessione del credito in parte al 110% e in parte con aliquota inferiore, soltanto le spese agevolate al 110% saranno soggette alla limitazione illustrata; le altre concorreranno integralmente alla formazione del costo fiscale, riducendo di conseguenza nella stessa misura la plusvalenza fiscale.
Esempio:
Tizio ha usufruito del Superbonus mediante sconto in fattura, per lavori iniziati nel 2022 e conclusi nel 2024. Sulla base del primo SAL, il valore degli interventi agevolati nel 2023 (aliquota di detrazione 110%) è pari a 60.000; il valore degli interventi agevolati nel 2024 (aliquota di detrazione 90%) è pari a 40.000.
Ipotizzando che il costo d’acquisto – avvenuto ad inizio del 2015 – sia pari a 150.000 euro e che il prezzo di vendita sia pari a 310.000 euro, la plusvalenza sarà così determinata:
Primo scenario: vendita nel 2025
Poiché la vendita è avvenuta nel quinquennio successivo alla conclusione dei lavori, i costi relativi al primo SAL non potranno essere computati nel costo fiscale. Diversamente, l’ammontare del secondo SAL può essere totalmente imputato ad incremento del costo, in quanto beneficiato con percentuale al 90%.
Costo fiscale = € 150.000 * 1.02^10 + € 40.000 = € 222.849 (ipotizzando una variazione ISTAT media del 2%)
Plusvalenza imponibile = € 310.000 – € 242.849 = € 87.151
Secondo scenario: vendita nel 2030
Poiché la vendita è avvenuta oltre il quinquennio successivo alla conclusione dei lavori (seppur nel decennio), i costi relativi al primo SAL potranno essere computati nel costo fiscale in misura del 50%. L’ammontare del secondo SAL rimane totalmente imputato ad incremento del costo, in quanto beneficiato con percentuale al 90%.
Costo fiscale = € 150.000 * 1.02^15 + € 60.000 * 50% + € 40.000 = € 271.880 (ipotizzando una variazione ISTAT media del 2%)
Plusvalenza imponibile = € 310.000 – € 271.880 = € 38.120.
Q&A numero 10Q. Un soggetto non fiscalmente residente possiede un’abitazione in Italia in un edificio plurifamiliare sul quale sono stati eseguiti lavori da Superbonus con detrazione diretta, di cui il soggetto non ha usufruito. Nel caso in cui ceda l’immobile entro il decennio dalla fine lavori, deve sottoporre a tassazione l’eventuale plusvalenza?
A. Per inquadrare correttamente tale fattispecie è necessario muovere dalla normativa interna in tema di redditi percepiti da non residenti. In particolare, l’art. 23 del TUIR prevede l’assoggettamento fiscale in capo ai non residenti di tutti i redditi diversi derivanti da beni che si trovano nel territorio dello Stato. A tal fine, quindi, la plusvalenza immobiliare realizzata dal soggetto non residente è senz’altro da assoggettarsi a tassazione. Naturalmente, come in tutti i casi di imposizione transnazionale, è necessario comunque coordinare la normativa domestica con la convenzione sulle doppie imposizioni (se stipulata) firmata con il paese con cui sorge il conflitto impositivo; in tal senso, il più diffuso modello di Convenzione sulle doppie imposizioni (modello OCSE) prevede all’art. 13 (Utili di capitale) l’imposizione concorrente tra il paese fonte e il paese di residenza estera. A titolo precauzionale, è bene sempre comunque analizzare la formulazione utilizzata dal testo della Convenzione relativa al singolo stato di residenza estera in questione, in quanto il modello generale può essere liberamente modificato dagli stati contraenti.
Muovendo dal regime ordinario di tassazione concorrente, risulta pertanto che il soggetto non residente sia sostanzialmente equiparabile al contribuente residente con conseguente rilevanza della plusvalenza da Superbonus (risultando pertanto valide tutte le considerazioni già commentate)[12]. A tal fine non rileva neppure che il soggetto non residente non abbia beneficiato dell’agevolazione fiscale; nuovamente si richiama la separazione soggettiva tra la fruizione del Superbonus e il soggetto passivo che realizza la cessione dell’immobile. In tal senso, muovendo dall’interpretazione estensiva fornita dall’Amministrazione Finanziaria, la posizione del soggetto non residente diviene del tutto sovrapponibile a quella del contribuente residente che si vede tassato per la mera esecuzione di lavori, di cui non ha beneficiato per incapienza, sulle parti comuni dell’edificio. Similmente, il soggetto non residente potrebbe rientrare nel perimetro impositivo anche per ragione di un suo avente causa (es. conduttore) che abbia realizzato i lavori agevolati.
Esempio:
Tizio, residente fiscalmente in Spagna, possiede dal 2010 un immobile in Italia all’interno di un edificio plurifamiliare. Nel 2022 sono stati realizzati interventi da Superbonus sulle parti comuni. Tizio vende l’immobile nel 2025 realizzando una plusvalenza di 100.000 euro.
Ai sensi del combinato disposto dall’art. 23 del TUIR e dall’art. 13 della Convenzione sulle doppie imposizioni Italia-Spagna, in vigore dal 24 novembre 1980, la plusvalenza originata dalla vendita dell’immobile è da assoggettarsi a tassazione nel paese ove è situato l’immobile (Italia). Poiché la sola realizzazione di interventi da Superbonus sulle parti comuni è sufficiente al fine della plusvalenza da Superbonus, Tizio ricadrebbe nell’obbligo di tassare la plusvalenza fiscale, ancorché non abbia potuto beneficiare della detrazione fiscale.
Q&A numero 11Q. Un soggetto non fiscalmente residente possiede un’abitazione in Italia in un edificio all’interno del quale non sono stati eseguiti lavori da Superbonus. Nel caso di cessione, quale sarà il trattamento fiscale della relativa plusvalenza?
A. Ai fini della tassazione concorrente tra lo stato di residenza del cedente e l’Italia si rimanda a quanto affermato nella precedente risposta. Con riferimento alla plusvalenza realizzata, non essendo stati realizzati interventi da Superbonus non potrà essere rilevante la lett. b-bis); poiché in via residuale trova applicazione la lett. b), è necessario verificare il ricorrere o meno delle condizioni ivi previste. In particolare, sarà necessario verificare se la cessione è avvenuta nel quinquennio dalla data di acquisto e, se tale condizione risulta verificata, considerare se possano applicarsi le cause di esclusione previste (acquisto per successione o destinazione ad abitazione principale per la maggior parte del periodo).
Esempio:
Tizio, residente fiscalmente in Spagna, acquista nel 2021 un immobile in Italia all’interno di un edificio unifamiliare. Nel 2025 procede a cedere l’immobile, realizzando una plusvalenza di 100.000 euro.
Tizio, non avendo realizzato interventi da Superbonus, non ricade nel presupposto di cui alla lett. b-bis) dell’art. 67 TUIR. Ai sensi della lett. b), essendo trascorsi solo quattro anni dall’acquisto, è necessario verificare se risulta applicabile una delle due cause di esclusione: poiché Tizio non ha acquisito l’abitazione per successione, né, essendo stato residente all’estero, può aver destinato l’immobile ad abitazione principale, dovrà tassare la plusvalenza fiscale.
Q&A numero 12Q. Tra quali date è da computarsi il decennio fiscalmente rilevante ai fini della plusvalenza da Superbonus?
A. La plusvalenza da Superbonus rileva fiscalmente per le cessioni realizzate nei dieci anni successivi dalla realizzazione degli interventi agevolati. Se in merito alla data di fine del periodo d’osservazione non sorgono dubbi, in quanto si fa riferimento alla data dell’atto di cessione, alcune criticità possono sorgere sull’individuazione del giorno a partire dal quale far decorrere il decennio fiscalmente rilevante. Sul punto, la circolare dell’Agenzia delle Entrate ha individuato la data di conclusione degli interventi ammessi al Superbonus, in particolare stabilendo che si deve fare riferimento alle abilitazioni amministrative o alle comunicazioni richieste dalla normativa urbanistica e dai regolamenti edilizi (di fatto riferendosi alla data di fine lavori e non ai singoli SAL). Tuttavia, vi sono casi nei quali la normativa urbanistica non prescrive l’obbligo di comunicare la fine dei lavori; si pensi agli interventi per cui è richiesta soltanto la CILA. In tal caso, si ritiene pertanto fondamentale fare riferimento alla data del collaudo finale o, in mancanza, alla data attestata dal tecnico incaricato.
Q&A numero 13Q. Un contribuente vende la propria abitazione durante lo svolgimento di lavori da Superbonus. Tale vendita genererà una plusvalenza rilevante ai fini della lett. b-bis?
A. Poiché il decennio fiscalmente rilevante è individuato a partire dalla data di fine dei lavori, è ragionevole ritenere che la vendita dell’immobile durante l’esecuzione degli interventi da Superbonus non generi alcuna plusvalenza tassabile. Ossia, vale a dire che la cessione dell’immobile ante conclusione dei lavori realizza operazione fiscalmente neutra[13]. Una diversa conclusione produrrebbe quale effetto conseguente l’estensione del decennio d’osservazione.
Esempio:
Tizio cede la propria abitazione in un condominio su cui sono in corso interventi da Superbonus, prima che intervenga la fine lavori a Caio.
Poiché non è ancora avvenuta la conclusione dei lavori, il decennio rilevante ai fini della plusvalenza non è ancora iniziato. Per tale ragione, anche aderendo alla tesi del Notariato, si ritiene che Tizio non debba tassare alcuna plusvalenza; diversamente, sarà Caio il primo cedente a rientrare nel perimetro della normativa di cui alla lett. b-bis).
Q&A numero 14Q. Nel caso di esecuzione di interventi trainanti (sulle parti comuni) e trainati (sulle singole abitazioni), come si individua la data di computo del decennio? La vendita dell’abitazione prima che siano conclusi i lavori trainanti è rilevante ai fini della plusvalenza da Superbonus?
A. Il quesito risulta più complesso rispetto al caso di esecuzione dei soli lavori trainanti: posto che la data di conclusione dei lavori trainati dev’essere necessariamente antecedente a quella dei lavori trainanti[14] e considerato che il decennio si computa a decorrere dalla conclusione di quest’ultimi, nel caso descritto si potrebbe generare un periodo in cui l’eventuale vendita dell’immobile potrebbe risultare esente da imposizione ex lett. b-bis).
Sostenere tale convincimento appare, però, non indenne da rischio, considerata la formulazione piuttosto generica utilizzata nella Circolare per individuare la data di fine lavori (si fa riferimento, infatti, alla conclusione degli interventi ammessi al Superbonus). Da un lato, infatti, per giustificare l’imposizione anche in caso di soli lavori trainanti sulle parti comuni, viene affermato che “è sufficiente la circostanza che siano stati effettuati interventi ammessi al Superbonus sulle parti comuni”, creando quello che appare essere un evidente legame espressivo tra tale locuzione e gli interventi trainanti. Dall’altro lato, si potrebbe sostenere che l’ampia formulazione utilizzata è tesa a sottendere che, proprio perché non rileva il tipo di intervento, la conclusione degli interventi trainati sia sufficiente a far scattare il decennio. In ottica sistematica, occorre comunque considerare che gli interventi trainati si perfezionano solo con la fine lavori dei lavori trainanti (quanto meno per la parte non ancora oggetto di SAL e fatte salve le eventuali sanatorie applicabili), deponendo in tal senso per la tesi dell’inizio di decennio dalla conclusione dei lavori trainanti.
Di seguito si propongono alcuni esempi, aderendo alla tesi inizialmente riportata e fortemente appoggiata dal Notariato. Si ribadisce comunque l’importanza di una sua prudente applicazione, in particolare subordinandola ad attente analisi valutative sulla casistica specifica.
Esempio 1:
Nel condominio di Tizio è stata sostituita la caldaia e sono in corso interventi di isolamento termico (lavori trainanti). Tizio ha sostituito gli infissi della propria abitazione (lavori trainati), procedendo a venderla a Sempronio prima che venisse rilasciata la dichiarazione di fine lavori dei lavori trainanti.
In tale casistica, è ragionevole ritenere che la plusvalenza realizzata da Tizio non realizzi il presupposto impositivo, essendo avvenuta la vendita dell’abitazione prima della data di conclusione degli interventi ammessi al Superbonus. Diversamente, l’eventuale futura cessione da parte di Sempronio, se nel decennio dalla fine lavori, sarà fiscalmente rilevante ex lett. b-bis). Sul punto sarebbe, comunque, necessaria una presa di posizione puntuale da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Esempio 2:
Tizio affitta la propria villetta unifamiliare a Caio, il quale ha sostenuto la realizzazione di alcuni interventi trainanti oggetto di Superbonus. Caio, che beneficia della detrazione fiscale direttamente in dichiarazione, procede ad acquistare l’abitazione da Tizio prima che si concludano i lavori.
Tizio non realizza alcuna plusvalenza imponibile ex lett. b-bis) in quanto i lavori non sono ancora ultimati. L’eventuale vendita da parte di Caio, se avvenuta nel decennio dalla fine lavori, risulterà imponibile, salvo che questi abbia adibito l’immobile ad abitazione principale.
Esempio 3:
Tizio affitta la propria villetta unifamiliare a Caio, il quale ha sostenuto la realizzazione di alcuni interventi trainanti oggetto di Superbonus. Caio procede a beneficiare di tale detrazione fiscale direttamente in dichiarazione. Due anni dopo la conclusione dei lavori, Tizio cede l’abitazione a Caio.
Nonostante Caio abbia beneficiato del Superbonus, sarà Tizio in qualità di cedente a realizzare la plusvalenza imponibile fiscalmente. L’eventuale rivendita da parte di Caio, a prescindere che avvenga nel decennio dalla fine lavori, non è più rilevante ex lett. b-bis); potrebbe rilevare solo se effettuata nel quinquennio (ex lett. b), salvo che Caio abbia adibito l’unità ad abitazione principale. In tale scenario, in caso di rivendita, Caio realizzerebbe potenzialmente un doppio vantaggio (Superbonus ed esenzione sulla plusvalenza), mentre Tizio sarebbe tassato pur non avendo beneficiato dell’agevolazione fiscale.
Q&A numero 15Q. Possono emergere profili di abuso del diritto nel caso in cui un contribuente sfrutti la previsione in funzione della quale l’emersione della plusvalenza da Superbonus rileva unicamente sulla prima cessione?
A. Il fatto di aver separato il soggetto fruitore del Superbonus dal soggetto cedente che realizza la plusvalenza fiscale, potrebbe far emergere la convenienza a realizzare la prima vendita non a valori di mercato a favore di una parte correlata del cedente.
Esempio:
Si consideri l’esempio n.3 del quesito precedente.
Laddove Tizio e Caio si mettessero d’accordo per un’intestazione fittizia dell’immobile in capo a quest’ultimo, così da poter spostare tutta o parte della plusvalenza sulla seconda vendita realizzata da Caio (esente), si realizzerebbe un’operazione di interposizione fittizia che, ex art. 37 c.3 del DPR 600/1973, consentirebbe all’Amministrazione Finanziaria di riprendere a tassazione l’intera plusvalenza realizzata da Caio (esente) in capo a Tizio (imponibile).
Q&A numero 16Q. Un contribuente riceve per donazione un immobile su cui successivamente realizza interventi da Superbonus. L’eventuale vendita genera una plusvalenza imponibile ex lett. b-bis)?
A. Nell’ipotesi in cui sia il donatario a realizzare i lavori da Superbonus non sussistono dubbi sul fatto che il presupposto impositivo sia integrato in capo a quest’ultimo.
Esempio:
Tizio dona a Caio un immobile, sul quale quest’ultimo realizza interventi da Superbonus. Al termine dei predetti lavori, Caio vende l’immobile realizzando una significativa plusvalenza.
Caio dovrà naturalmente tassare la plusvalenza emersa ex lett. b-bis). La ragione, in particolare, risiede nel fatto che nessuna deroga è prevista dalla normativa sull’acquisto per donazione.
Q&A numero 17Q. Un contribuente riceve per donazione un immobile su cui il donante ha realizzato interventi da Superbonus. L’eventuale vendita genera una plusvalenza imponibile ex lett. b-bis)?
A. Sul quesito in oggetto, taluni interventi dottrinali sostengono che i lavori da Superbonus sostenuti dal donante e terminati prima della donazione non integrino il presupposto impositivo della plusvalenza lett. b-bis) nel caso di cessione da parte del donatario nel decennio di osservazione. Viene infatti ritenuto che l’assenza della formulazione utilizzata nella lett. b) sia da leggersi nella volontà del legislatore di escludere gli interventi da Superbonus se sostenuti soltanto dal donante (avvallando, quindi, una tesi contraria a quella che vorrebbe una sostituzione assoluta del donatario al posto del donante). Tale forzata lettura potrebbe non essere convincente, in particolare considerando la separazione soggettiva già ampiamente commentata tra chi usufruisce dell’agevolazione e il soggetto cedente: in tal ottica, il donante in questa fattispecie potrebbe integrare l’“altro avente diritto” contemplato dalla stessa norma. Coerentemente, peraltro, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che risulta imponibile la prima cessione a titolo oneroso, con ciò implicando che la donazione non può essere idonea ad esaurire l’efficacia impositiva di cui alla lett. b-bis).
Esempio:
Tizio dona a suo figlio Caio un immobile su cui ha realizzato interventi da Superbonus. Tale immobile non è mai stato adibito ad abitazione principale di Tizio né è stato acquisito per successione. Caio, dopo la morte del padre Tizio, cede l’immobile (ancora nel decennio dalla fine lavori).
I presupposti della plusvalenza da Superbonus ex lett. b-bis) potrebbero essere tutti verificati in quanto la vendita è avvenuta nel decennio e l’avente diritto del cedente (rectius il donante) ha realizzato interventi agevolati da Superbonus. In capo a Caio, si realizzerebbe la plusvalenza in quanto si tratta della prima vendita a titolo oneroso, a prescindere dal fatto che i lavori da Superbonus siano stati posti in essere dal donante. Diversamente ragionando, sarebbe introdotta una discriminante tra chi acquista per donazione rispetto a chi acquista a titolo oneroso, discriminante non contenuta nella norma.
Q&A numero 18Q. La vendita con riserva della proprietà ex art. 1523 c.c., di un immobile oggetto di interventi da Superbonus, rileva ai fini della plusvalenza ex lett. b-bis)?
A. La casistica in oggetto è stata specificamente inquadrata nell’ambito dell’interpello n. 156/2024: poiché nel caso di vendita con riserva della proprietà l’acquirente diviene proprietario soltanto con il pagamento dell’ultima rata, tale data è stata considerata rilevante ai fini del perfezionamento dell’efficacia traslativa della vendita. Coerentemente con quanto già affermato con la risoluzione n. 28/2009, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che, a prescindere dalla data di stipula del contratto, solo il successivo perfezionamento diviene rilevante sia ai fini della plusvalenza “ordinaria” ex lett. b), sia, parimenti, della plusvalenza ex lett. b-bis).
Pertanto, se la vendita rateale si conclude oltre il decennio dalla fine lavori, nessuna plusvalenza da Superbonus viene generata.
Esempio:
Nel 2025 Tizio cede a Caio il proprio immobile su cui sono stati realizzati lavori da Superbonus (conclusi nel 2023), beneficiato mediante cessione del credito. Poiché Caio non ha le disponibilità finanziarie sufficienti per pagare il corrispettivo, Tizio accorda un piano rateale di pagamento con riserva della proprietà ex art. 1523 c.c. della durata di 15 anni. Tizio realizza una plusvalenza considerevole sulla base del prezzo di vendita pattuito.
Poiché Tizio cede l’immobile con riserva della proprietà, questi mantiene la proprietà dell’immobile per tutta la durata della rateazione, ancorché Caio abbia acquisito la disponibilità del bene con annesso godimento dello stesso e assunzione dei correlati rischi. Siccome la vendita si perfezionerà nel 2040, ossia 17 anni dopo la conclusione dei lavori da Superbonus, la plusvalenza realizzata diventerà fiscalmente rilevante solo in tale data; poiché il decennio di osservazione sarà concluso, tale ammontare non sarà più imponibile.
Si noti che a diversa conclusione si giungerebbe nel caso di vendita con pagamento dilazionato, nel qual caso la plusvalenza sarebbe tassabile essendosi perfezionata la vendita nel 2025. Rimangono naturalmente contestabili da parte dell’Amministrazione Finanziaria eventuali finalità elusive sottese ad una lettura distorta della presente fattispecie.
Note[1] Tra queste, vi rientrano anche i conferimenti e le permute.
[2] Si pensi al conduttore, comodatario, familiare convivente, ecc.
[3] Si considerino a tal fine i seguenti soggetti (v. Circolare 13/2024): “le persone fisiche residenti, purché il reddito non sia conseguito nell’esercizio di attività d’impresa, arti o professioni; le società semplici e i soggetti a esse equiparati ai sensi dell’articolo 5 del TUIR; gli enti non commerciali di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c), del TUIR, se l’operazione da cui deriva il reddito non è effettuata nell’esercizio d’impresa commerciale; le persone fisiche, le società e gli enti di ogni tipo, non residenti, senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, quando il reddito si considera prodotto nel medesimo territorio ai sensi dell’articolo 23 del TUIR; le persone fisiche, le società e gli enti di ogni tipo, non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, se il reddito è prodotto nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 23 del TUIR al di fuori dalla stabile organizzazione”.
[4] Tali soggetti, benché esclusi dalla normativa Superbonus, potrebbero ben essere proprietari di immobili in condomini o edifici plurifamiliari che hanno beneficiato della suddetta agevolazione fiscale. In tal senso, si applicherebbe l’ordinaria normativa sulle plusvalenze immobiliari prevista per il reddito di impresa.
[5] In tal senso, si pensi alle detrazioni edilizie ordinarie di cui all’art. 16bis del TUIR, all’Ecobonus e al Sismabonus di cui agli artt. 14 e 16 del D.L. 63/2013.
[6] Ai sensi dell’art. 119 c. 8-bis del DL n. 34/2020, l’aliquota di detrazione Superbonus era prevista del 110% fino al 31 dicembre 2022, 90% per il 2023, 70% per il 2024 e 65% per il 2025.
[7] Circolare n. 13/E/2024: “non occorre […] che sulla singola unità immobiliare siano stati effettuati anche interventi trainati, ma è sufficiente la circostanza che siano stati effettuati interventi ammessi al Superbonus sulle parti comuni dell’edificio di cui fa parte l’unità immobiliare ceduta a titolo oneroso”.
[8] Il dato testuale della norma richiede infatti che “il cedente o gli altri aventi diritto abbiano eseguito gli interventi agevolati”.
[9] Per abitazione principale è da intendersi la dimora abituale di fatto, coincidente con la residenza anagrafica solo su base presuntiva. A fini probatori, è possibile per il contribuente dimostrare in via fattuale che questa è fissata presso altra abitazione (v. Cass. n. 30180/2021). L’Agenzia delle Entrate, di converso, può dimostrare anche ricorrendo a presunzioni gravi, semplici e concordanti che l’abitazione principale non coincide con la residenza anagrafica (v. Cass. n. 11786/2025).
[10] Ai sensi dell’art. 68 c.1 del TUIR, il costo d’acquisto o costruzione dell’immobile, se posseduto da più di cinque anni, è rivalutabile in funzione della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
[11] Per l’individuazione dei costi inerenti che possono aumentare il costo fiscale, sono in linea generale rilevanti i medesimi costi già ammessi in tema di plusvalenze immobiliari ex art. 67 c.1 lett. b). A titolo esemplificativo, si possono ricordare le spese incrementative, ove per tali sono da intendersi quelle che incrementano il valore dell’immobile (spese di ristrutturazione) e quelle che attengono il costo d’acquisto (onorario del notaio, imposte di registro e ipo-catastali, ecc.).
[12] In tal senso, si legga la circolare n. 13/E/2024: “Possono essere titolari del predetto reddito diverso: le persone fisiche […] non residenti, quando il reddito si considera prodotto nel medesimo territorio ai sensi dell’articolo 23 del TUIR”.
[13] In tal senso, si veda il punto 4.3.2 dello Studio del Notariato n. 90/2024: “Si avrà un primo periodo, decorrente dall’inizio dell’intervento che avrà termine con la data di conclusione dello stesso, durante il quale tutte le cessioni che riguardino il medesimo bene effettuate nel corso dei lavori non possono risultare per definizione idonee a far conseguire plusvalenze immobiliari ex lettera b-bis)”.
[14] Si veda l’art.2 c.5 del DM 6 agosto 2020 e la circolare in commento n. 24/E/2020 al paragrafo 2.2.
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Indicatori di Anomalia Antiriciclaggio: le indicazioni del CNN per i notai
segretario dell’Istituto di Ricerca e Formazione Antiriciclaggio – IRFA
Il Consiglio Nazionale del Notariato, lo scorso 5 maggio (con lettera Prot. 0003373/2025, All. 1) ci ha comunicato che, nella seduta del 14 aprile u.s., ha approvato il documento di illustrazione della “Selezione degli Indicatori di Anomalia riferiti alla concreta attività svolta dai Notai”, sostitutivo del testo provvisorio della Regola tecnica già diramata il 15 dicembre 2023.
Com’è noto, gli Indicatori di anomalia elaborati dall’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF) costituiscono uno strumento per “agevolare i destinatari nell’individuazione delle operazioni sospette“[1], ovvero di quelle operazioni che facciano sospettare il perseguimento di un’attività di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo e “non costituiscono di per sé elementi sufficienti per inviare una segnalazione alla UIF o ritenere che la stessa non sia dovuta (omissis) la mera ricorrenza di comportamenti descritti in uno o più indicatori di anomalia o nei sub-indici“[2].
La selezione effettuata dal Consiglio Nazionale del Notariato in qualità di organismo di autoregolamentazione costituisce mero “strumento di indirizzo per i notai, da utilizzare alla luce dei principi espressi nel Provvedimento UIF e delle disposizioni del Decreto Antiriciclaggio“[3] ed è sussumibile nel rango dei “criteri e metodologie per la valutazione dei rischi di riciclaggio” ex art. 15 del D.Lgs. n. 231/2007.
La differenza tra i suddetti criteri e metodologie (ex art. 15 D.Lgs. n. 231/2007) e le Regole Tecniche elaborate dal Consiglio Nazionale del Notariato come organismo di autoregolamentazione (ex art. 11 co. 2 D.Lgs. n. 231/2007)[4] è che le Regole Tecniche hanno rango di norme integrative di norme primarie, come chiarito dalla dottrina che se ne è occupata[5].
In ogni caso, senza troppo soffermarsi su questi spetti tecnici, va chiarito che non ci si potrà basare esclusivamente sugli indicatori di anomalia selezionati dal CNN, ma la selezione dovrà essere utilizzata solo come “strumento d’indirizzo” per meglio orientarsi nella lettura ed applicazione degli indicatori di anomalia elaborati dall’UIF nel loro complesso.
Conclusa questa premessa, va altresì chiarito che l’attuale selezione degli indicatori di anomalia è la stessa del 15 dicembre 2023, dunque non essendo di fatto cambiato nulla di significativo, ci si limiterà ad un breve inquadramento dei tratti salienti della selezione.
La seconda parte del secondo indicatore è, ad avviso di chi scrive, la più importante dell’intero elenco, perché consente di cogliere uno degli aspetti fondamentali dell’intera attività di adeguata verifica che compete ai notai in qualità di soggetti obbligati al rispetto della normativa antiriciclaggio.
Tale indicatore, utilizzando aggettivi che ricorrono frequentemente nel corpo del testo elaborato dall’UIF, fa riferimento a “operatività che, per caratteristiche o importi, risulta inusuale, illogica o incoerente” e dunque fa precipuo riferimento al concetto di “coerenza logica”, basilare per tutta l’attività di adeguata verifica.
È, infatti, la coerenza logica del ragionamento svolto dal soggetto obbligato che deve assistere la sua valutazione in ordine alla necessità di approfondire ulteriormente o meno l’attività di adeguata verifica ed eventualmente di inoltrare una segnalazione di operazione sospetta; analogamente, sarà la coerenza logica del percorso argomentativo che le autorità inquirenti dovranno valutare nel comminare una sanzione.
Tanto chiarito, e guardando tutto attraverso la lente della coerenza logica, risulterà più chiaro che costituiranno indicatori di anomalia:
- la riluttanza a fornire informazioni dati ordinariamente richiesti (indicatore 1);
- la ricezione di informazioni o documenti che appaiono non veritieri o che, anche a seguito di solleciti, risultano del tutto carenti (indicatore 2 parte prima);
- comportamenti del cliente del tutto difformi da quelli comunemente tenuti in casi analoghi, o operatività inusuali, illogiche o incoerenti per caratteristiche o importi (indicatore 3);
- l’esistenza di assetti proprietari, manageriali e di controllo artificiosamente complessi ovvero opachi (indicatore 4);
- il coinvolgimento in procedimenti penali o di prevenzione, ovvero la notoria contiguità a soggetti sottoposti a simili misure (indicatore 5);
- la residenza, cittadinanza o sede in Paesi o aree geografiche a rischio elevato o non cooperativi o a fiscalità privilegiata (indicatore 6);
- la presenza di persona politicamente esposta, o ente di natura pubblica o con finalità pubbliche (indicatori 7 e 8);
- operatività che, per caratteristiche o importi, risulti non coerente con l’attività svolta ovvero con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto (indicatore 9);
- operatività che, per caratteristiche o importi, risulti inusuale rispetto a quella comunemente svolta in casi analoghi ovvero effettuata con modalità o strumenti diversi da quelli normalmente utilizzati per lo svolgimento della professione o dell’attività, soprattutto se contraddistinta da elevata complessità (indicatore 10);
- operatività economicamente o finanziariamente svantaggiosa per il soggetto (indicatore 11);
- operatività frequente o per importi complessivi rilevanti svolta da un soggetto in nome o a favore di terzi ovvero da terzi in nome o a favore di un soggetto qualora non risultino rapporti personali, professionali, commerciali o finanziari tra le parti (indicatore 12);
- operazioni ripetute, artificiosamente frazionate o di importo complessivo rilevante, effettuate con strumenti (ad es. contante, valuta estera, oro, gioielli, crypto assets o altri beni di rilevante valore) che appaiano inusuali, non coerenti con l’attività svolta o con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto (indicatore 13);
- operatività con profili fiscali o societari che, per le caratteristiche e gli importi, ovvero per le modalità di esecuzione o per l’origine o la destinazione dei flussi economici risulti non coerente con l’attività svolta ovvero con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto (indicatore 20);
- operatività ripetuta o per importi rilevanti connessa con mandati fiduciari aventi a oggetto partecipazioni societarie che risulti incoerente con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto (indicatore 28);
- operatività ripetuta o per importi rilevanti connessa con mandati fiduciari aventi a oggetto conti correnti, strumenti finanziari, polizze assicurative, crediti, beni immateriali o altri beni di elevato valore, che risulti incoerente con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto (indicatore 29);
- operatività inerente a trust o altro strumento di protezione patrimoniale che, in relazione all’oggetto, alle caratteristiche e alle finalità, ovvero per i soggetti intervenuti o i collegamenti fra quest’ultimi risulti incoerente con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto, o comunque tale da configurare un utilizzo distorto dello strumento (indicatore 30);
- operatività connessa con la cessione o l’acquisto di crediti o con la cessione di asset nell’ambito di procedure concorsuali o a garanzia di crediti, anche in relazione a rapporti di factoring o di cartolarizzazione, che, per la natura, il valore o le caratteristiche dei crediti o dei beni stessi, per le finalità dell’operazione complessiva, per i soggetti intervenuti o i collegamenti fra quest’ultimi, risulti incoerente con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto (indicatore 31);
- operatività che, per il profilo dei soggetti coinvolti o le sue caratteristiche ovvero per il coinvolgimento di associazioni, fondazioni o organizzazioni non lucrative, appaia riconducibile a fenomeni di finanziamento del terrorismo, anche sulla base di collegamenti geografici con aree considerate a rischio di terrorismo per la diffusa presenza di organizzazioni terroristiche o per situazioni di conflitto o instabilità politica (indicatore 33).
[1] Art. 3 co. 1 del Provvedimento recante gli indicatori di anomalia del direttore dell’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia del 12 maggio 2023.
[2] Art. 4 co. 5 del Provvedimento recante gli indicatori di anomalia del direttore dell’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia del 12 maggio 2023.
[3] Selezione degli Indicatori di Anomalia riferiti alla concreta attività svolta dai Notai approvata dal Consiglio Nazionale, nella seduta del 14 aprile u.s., pag. 2.
[4] Art. 11 co. 2 D.Lgs. n. 231/2007: “Gli organismi di autoregolamentazione sono responsabili dell’elaborazione e aggiornamento di regole tecniche, adottate in attuazione del presente decreto previo parere del Comitato di sicurezza finanziaria, in materia di procedure e metodologie di analisi e valutazione del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo cui i professionisti sono esposti nell’esercizio della propria attività (omissis)”.
[5] “Le Regole tecniche elaborate dagli organismi di autoregolamentazione nella rete delle fonti del diritto”, Studio 1_2018 B del Consiglio Nazionale del Notariato, Approvato dalla Commissione Antiriciclaggio il 3 dicembre 2018, ove si legge che “Nel caso delle regole tecniche ed indicazioni vincolanti, previste dall’art. 11 comma 2, 15 comma 1 e 16 comma 2 del D.Lgs 90/2017, è proprio la legge primaria che prevede una delega, attribuendo a tali fonti il compito di completare la normazione da essa prodotta, configurando un rinvio, mancando il quale la stessa legge sarebbe incompleta ed inapplicabile. Siamo quindi in presenza di una “gerarchia aggrovigliata”, nella quale l’organo inferiore (c.d. organismo di autoregolamentazione) che -secondo la logica gerarchica dovrebbe svolgere una funzione meramente passiva di recepimento- contribuisce, per espressa disposizione della norma primaria, insieme con l’organo superiore alla creazione della norma. In questo caso siamo dunque al cospetto di fonti normative integrative della norma primaria, non a norme regolamentari subordinate e neppure ad ipotesi di soft law”.
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Cassazione: nessun obbligo per il notaio di rogare atti validi ma pregiudizievoli
Con la sentenza n. 486 del 9 gennaio 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della responsabilità del notaio in relazione alla stipula di atti formalmente validi, ma potenzialmente lesivi di diritti di terzi. La decisione affronta un caso emblematico e offre interessanti spunti di riflessione in merito all’interpretazione degli articoli 27 e 28 della Legge Notarile, mettendo in luce il ruolo sostanziale del notaio quale garante non solo della legalità formale, ma anche della correttezza dell’operazione negoziale nel suo complesso.
2. Il quadro normativo e la casisticaDa anni la dottrina si interroga sull’ambito applicativo dell’art. 28, n. 1, L.N., non senza riserve nei confronti di quell’orientamento giurisprudenziale — consolidatosi a partire dalla nota Cassazione n. 11128/1997 — che ne ha limitato la portata alle sole ipotesi di nullità assoluta, escludendo quindi gli atti annullabili o comunque viziati da cause meno gravi. Tale indirizzo ha inciso profondamente sull’interpretazione sistematica della norma, disancorando l’art. 28 dalla previsione dell’art. 54 R.N. e determinando, in base all’art. 27 L.N., un obbligo per il notaio di prestare il proprio ministero per tutti gli atti non ricadenti nel perimetro della nullità assoluta.
3. Il casoNel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, una banca aveva ceduto i propri crediti, assistiti da garanzia ipotecaria, a una società, che a sua volta li aveva trasferiti ad altra società cessionaria. Le cessioni erano state regolarmente annotate a margine dell’iscrizione ipotecaria originaria, ai sensi dell’art. 2843, comma 2, c.c., in applicazione del principio di accessorietà delle garanzie reali rispetto al credito (ex art. 1263 c.c.).
Ciononostante, successivamente la banca originaria, ormai priva della titolarità del credito, aveva prestato consenso alla cancellazione dell’ipoteca davanti al notaio. Questi, pur manifestando iniziali perplessità — debitamente rappresentate alla banca — aveva comunque proceduto alla stipula dell’atto di restrizione ipotecaria e alla conseguente formalità immobiliare, senza acquisire il consenso della società cessionaria effettiva del credito.
Il notaio aveva giustificato il proprio operato con il convincimento che non si trattasse di un atto nullo, e che quindi non ricorresse alcuna delle ipotesi di cui all’art. 28 L.N. Semmai — sosteneva — sarebbe stata nulla la formalità derivante dall’atto, con eventuale responsabilità del conservatore, che tuttavia aveva dato corso alla annotazione.
4. Le decisioni di meritoSia il Tribunale di Verona, in primo grado, sia la Corte d’Appello di Venezia, in secondo grado, avevano rigettato la domanda risarcitoria promossa dalla società cessionaria, ritenendo che la cessione del credito non comprendesse validamente la garanzia ipotecaria relativa al bene oggetto di cancellazione. Le Corti territoriali avevano interpretato l’operazione come una rinuncia implicita alla garanzia da parte della banca cedente.
5. La pronuncia della CassazioneLa Suprema Corte ha parzialmente cassato la decisione d’appello con rinvio, affermando principi destinati a incidere sulla prassi notarile e sulla portata degli obblighi professionali del notaio.
In primo luogo, la Corte ha ribadito la natura costitutiva dell’annotazione prevista dall’art. 2843 c.c.: dopo l’annotazione, l’iscrizione non può essere cancellata senza il consenso dei titolari dei diritti risultanti dall’annotazione medesima. Ne consegue che la cancellazione intervenuta su iniziativa della banca cedente — ormai priva di legittimazione — è da ritenersi illegittima.
In secondo luogo, la Cassazione ha affermato un importante principio di carattere generale: l’obbligo del notaio di astenersi dalla stipula di atti potenzialmente pregiudizievoli per terzi, anche in assenza di nullità formale. L’interpretazione restrittiva dell’art. 28 L.N. non può esonerare il notaio dal rispetto del dovere generale del neminem laedere, radicato nell’art. 2043 c.c.
6. La responsabilità del notaioSecondo la Corte, il comportamento del notaio, consapevole dell’assenza di legittimazione della banca e della potenziale lesività dell’atto nei confronti del titolare effettivo del diritto reale di garanzia, integra una condotta colposa idonea a generare responsabilità aquiliana. L’assenso alla cancellazione dell’ipoteca ha innescato un nesso causale diretto con l’evento dannoso, i cui effetti risultano irreversibili, non essendo neppure possibile, ex post, un ripristino dell’originaria iscrizione con efficacia retroattiva.
7. Considerazioni conclusiveLa sentenza n. 486/2025 si pone nel solco di una lettura evolutiva del ruolo notarile, che assume una dimensione sostanziale, ispirata alla tutela dell’affidamento e alla prevenzione dei conflitti. Il notaio è chiamato ad esercitare un giudizio critico sull’intera operazione negoziale, valutandone gli effetti non solo per le parti ma anche per i terzi potenzialmente coinvolti.
E’ chiaro che la Suprema Corte si riferisce a quei soggetti terzi che, inequivocabilmente, sono individuabili ex ante quali destinatari effettivi dell’atto, benché non vi abbiano partecipato, sì da restare potenzialmente danneggiati dal compimento dell’atto stesso.
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Novità in tema di start-up innovative
La legge 16 dicembre 2024 n° 193 e il D.Lgs. 13 settembre 2024 n° 136 hanno introdotto delle importanti novità in materia di start-up innovative in ambiti differenti.
La Legge 16 dicembre 2024 n° 193 amplia i requisiti richiesti per la definizione di una società come start-up innovativa e disciplina gli obiettivi patrimoniali, contrattuali o reddituali da raggiungere per la sua permanenza nella sezione speciale del Registro delle Imprese.
Il D.Lgs. 13 settembre 2024 n° 136, invece, regola l’accesso della start-up innovativa agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alla liquidazione giudiziale.
1. Le novità in tema di requisiti e permanenza nella sezione speciale del Registro delle Imprese Testo precedente art. 25 del D.L. 18 ottobre 2012 n° 1792. Ai fini del presente decreto, l’impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti:
- LETTERA SOPPRESSA DAL D.L. 28 GIUGNO 2013, N° 76, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA L. 9 AGOSTO 2013, N° 99;
- è costituita da non più di sessanta mesi;
- è residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n° 917, o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;
- a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;
- non distribuisce, e non ha distribuito, utili;
- ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
- non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
- possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti:
- le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili. Ai fini di questo provvedimento, in aggiunta a quanto previsto dai principi contabili, sono altresì da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa;
- impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n° 270;
- sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa.
2. Ai fini del presente decreto, l’impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti:
- LETTERA SOPPRESSA DAL D.L. 28 GIUGNO 2013, N° 76, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA L. 9 AGOSTO 2013, N° 99; a-bis) è una microimpresa o una piccola o media impresa, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003;
- è costituita da non più di sessanta mesi;
- è residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n° 917, o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;
- a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;
- non distribuisce, e non ha distribuito, utili;
- ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e non svolge attività prevalente di agenzia e di consulenza;
- non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
- possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti:
- le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili. Ai fini di questo provvedimento, in aggiunta a quanto previsto dai principi contabili, sono altresì da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa;
- impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n° 270;
- sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa.
2-bis. La permanenza nella sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8, dopo la conclusione del terzo anno, è consentita fino a complessivi cinque anni dalla data di iscrizione nella medesima sezione speciale, in presenza di almeno uno dei seguenti requisiti:
- incremento al 25 per cento della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo, come definite al comma 2, lettera h), numero 1);
- stipulazione di almeno un contratto di sperimentazione con una pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 158, comma 2, lettera b), del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n° 36;
- registrazione di un incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1) del conto economico, di cui all’articolo 2425 del codice civile, o dell’occupazione, superiore al 50 per cento dal secondo al terzo anno;
- costituzione di una riserva patrimoniale superiore a 50.000 euro, attraverso l’ottenimento di un finanziamento convertendo o un aumento di capitale a sovrapprezzo che porti ad una partecipazione non superiore a quella di minoranza da parte di un investitore terzo professionale, di un incubatore o di un acceleratore certificato, di un investitore vigilato, di un business angel ovvero attraverso un equity crowdfunding svolto tramite piattaforma autorizzata, e incremento al 20 per cento della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo, come definite dal comma 2, lettera h), numero 1);
- ottenimento di almeno un brevetto.
2-ter. Il termine di cinque anni complessivi per la permanenza nella sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8 può essere esteso per ulteriori periodi di due anni, sino al massimo di quattro anni complessivi, per il passaggio alla fase di “scale-up”, ove intervenga almeno uno dei seguenti requisiti:
- aumento di capitale a sovrapprezzo da parte di un organismo di investimento collettivo del risparmio, di importo superiore a 1 milione di euro, per ciascun periodo di estensione;
- incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1) del conto economico, di cui all’articolo 2425 del codice civile, superiore al 100 per cento annuo.
2-quater. Nei casi di cui ai commi 2-bis e 2-ter resta fermo quanto disposto dall’articolo 29, comma 7-bis.
Al fine di attuare gli obiettivi previsti dalla missione 1, componente 2, del PNRR, consistenti nel riesame e nell’aggiornamento della legislazione in tema di start-up e PMI innovative e nella promozione degli investimenti in capitale di rischio da parte di investitori privati e istituzionali, l’art. 28, commi 1 e 2, della legge 16 dicembre 2024 n° 193 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023) ha introdotto delle rilevanti novità in tema di start-up innovative, modificando l’art. 25 del D.L. 18 ottobre 2012 n° 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012 n° 221 (c.d. start-up Act). I punti cruciali della riforma attengono:
- ai requisiti per la qualificazione di una società come start-up innovativa;
- alle condizioni per la permanenza della start-up innovativa nella sezione speciale del Registro delle Imprese.
Fermo restando quanto già previsto dal vecchio testo dell’art. 25 del D.L. 18 ottobre 2012 n° 179, l’art. 28 della legge 16 dicembre 2024 n° 193 integra i requisiti previsti per la qualificazione di una società di capitali come start-up innovativa e richiede che:
- la start-up innovativa sia una microimpresa o piccola o media impresa, come definita dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003[1];
- la start-up innovativa non svolga come attività prevalente quella di consulenza e agenzia.
Quanto alla determinazione del requisito dimensionale, l’art. 25 rinvia alla definizione di micro, piccola e media impresa offerta dalla raccomandazione 2003/361/CE[2], la quale sancisce genericamente che la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese:
- che occupano meno di 250 persone,
- il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
Inoltre la Raccomandazione precisa che, nella categoria delle PMI, si definisce piccola impresa un’impresa che:
- occupa meno di 50 persone e
- realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro,
e si definisce microimpresa un’impresa che
- occupa meno di 10 persone e
- realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro[3].
I parametri di riferimento per la qualificazione sono, quindi, il criterio del numero degli occupati (c.d. “criterio degli effettivi”), quale criterio principale, e il criterio finanziario, quale criterio complementare, necessario per rilevare i risultati dell’impresa nel mercato, anche rispetto ai concorrenti. Il criterio finanziario richiama alternativamente il parametro del fatturato, attualizzato, tenendo conto dell’andamento sia dei prezzi sia della produttività, al netto dell’IVA e di altri diritti o imposte indirette, e il parametro del totale di bilancio, che riflette l’insieme degli averi di un’impresa.
I dati impiegati per calcolare gli effettivi e gli importi finanziari sono quelli riguardanti l’ultimo esercizio contabile chiuso, quali risultanti dal bilancio di esercizio, e vengono calcolati su base annua.
Quando invece l’impresa è di nuova costituzione e i conti non sono ancora stati chiusi, per il computo degli effettivi e degli importi finanziari si fa riferimento ad una stima in buona fede condivisa da tutti i soci in sede di perfezionamento dell’atto costitutivo. Se l’impresa è già costituita ma in attesa di chiudere i conti del primo esercizio, la stima viene effettuata dagli amministratori[4].
L’attribuzione della qualifica dipende, quindi, da fattori per natura variabili nel tempo, per cui potrebbe verificarsi che essi non siano rispettati in modo continuativo. Per tale ragione, la Raccomandazione contempla un periodo di “tolleranza” prima di sancire la perdita della qualifica di media, piccola o micro impresa, a seguito del superamento delle soglie. Difatti se un’impresa, alla data di chiusura dei conti, constata di aver superato, su base annua, le soglie degli effettivi o le soglie finanziarie, essa perde (o acquisisce) la qualifica di media, piccola o micro impresa solo se questo superamento avviene per due esercizi consecutivi.
L’art. 28 della legge 16 dicembre 2024 n° 193 introduce, infine, un’ulteriore specifica sui requisiti della start-up innovativa, e in particolare sull’attività da svolgere.
Difatti, nel confermare che la società debba avere come oggetto esclusivo o prevalente lo sviluppo di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico, esclude la possibilità che la start-up innovativa possa svolgere come attività prevalente quella di agenzia e consulenza. Prescindendo, quindi, da qualsiasi valutazione della Camera di Commercio, il legislatore ha sancito ex ante la non innovatività dell’attività di agenzia e consulenza.
1.2. Novità in tema di permanenza nella sezione speciale del Registro delle ImpreseL’art. 28 della legge 16 dicembre 2024 n °193 introduce anche i commi 2bis, 2ter e 2quater all’art. 25 del D.L. 18 ottobre 2012 n° 179, i quali disciplinano i requisiti richiesti per la permanenza della società nella sezione speciale del Registro delle Imprese. Difatti non è più sufficiente, ai fini della qualificazione della società come start-up innovativa, che la società rispetti i parametri di cui al comma 2 nel momento della nascita della start-up medesima e li conservi nei cinque anni successivi, ma è necessario nel tempo l’acquisizione di ulteriori requisiti.
In particolare, dopo la conclusione del terzo anno, è possibile la permanenza nella sezione speciale fino a 5 anni dalla data di iscrizione nella medesima sezione, solo se la società possiede una delle seguenti caratteristiche:
- incremento al 25 per cento della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo, come definite al comma 2, lettera h), numero 1) del D.L. 18 ottobre 2012 n° 179. Dunque, mentre nella prima fase di vita della start-up innovativa, le spese in ricerca e sviluppo devono essere uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione, a partire dal quarto anno, deve registrarsi un aumento della percentuale di spese di ricerca e sviluppo, fino almeno al raggiungimento della soglia del 25%;
- stipulazione di almeno un contratto di sperimentazione con una pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 158, comma 2, lettera b), del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. 31 marzo 2023 n° 36;
- incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1) del conto economico, di cui all’art. 2425 c.c., o dell’occupazione, superiore al 50 per cento dal secondo al terzo anno. Il legislatore richiede, quindi, che la società registri, dal secondo al terzo anno, un aumento notevole dei ricavi o dell’occupazione, così escludendo dal beneficio le società non realmente attive od operative;
- costituzione di una riserva patrimoniale superiore a 50.000 euro, attraverso l’ottenimento di un finanziamento convertendo o un aumento di capitale a sovrapprezzo che porti ad una partecipazione non superiore a quella di minoranza da parte di un investitore terzo professionale, di un incubatore o di un acceleratore certificato, di un investitore vigilato, di un business angel ovvero attraverso un equity crowdfunding svolto tramite piattaforma autorizzata, e incremento al 20 per cento della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo, come definite dal comma 2, lettera h), numero 1). In questo caso, la permanenza nella sezione speciale del Registro delle Imprese è strettamente correlata alla capacità della società di conquistare risorse esterne e fiducia di terzi nel progetto innovativo, necessari per la crescita della start-up medesima[5]. E’ richiesto il raggiungimento di un duplice obiettivo: incremento al 20% della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo e creazione di una riserva patrimoniale superiore a 50.000 euro. La riserva dovrà crearsi a seguito di un finanziamento convertendo[6] o un aumento di capitale con sovrapprezzo da parte di investitori terzi, incubatori, acceleratori certificati o tramite equity crowdfunding;
- ottenimento di almeno un brevetto.
E’ possibile poi allungare il periodo di permanenza nella sezione speciale del Registro delle Imprese di ulteriori periodi di due anni, consentendo al massimo una estensione da cinque a nove anni, se si verifica almeno uno dei seguenti eventi:
- aumento di capitale a sovrapprezzo da parte di un organismo di investimento collettivo del risparmio, di importo superiore a 1 milione di euro, per ciascun periodo di estensione;
- incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1) del conto economico, di cui all’art. 2425 c.c., superiore al 100 per cento annuo.
Art. 37 Iniziativa per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alla liquidazione giudiziale
1. La domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza è proposta con ricorso del debitore.
Testo attuale art. 37 del Codice della crisiArt. 37 Iniziativa per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alla liquidazione giudiziale
1. La domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza è proposta con ricorso del debitore. In deroga a quanto previsto dall’articolo 31 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n° 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n° 221, le start-up innovative diverse dalle imprese minori possono richiedere, con domanda proposta esclusivamente dal debitore, l’accesso agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal presente codice nonché l’apertura della liquidazione giudiziale.
In passato il legislatore aveva previsto un regime di favore per le start-up innovative[7], inserendole nella categoria dei soggetti non fallibili anche in caso di superamento dei limiti dimensionali di cui all’art.1 della legge fallimentare (ora art. 2, lettera d), del codice della crisi). L’obiettivo era quello di agevolare e supportare iniziative imprenditoriali particolarmente rischiose, perché operanti nel settore dell’innovazione tecnologica, e di sottrarre tali società agli oneri, alle lungaggini e agli svantaggi, compresi i danni di immagine aziendale, propri del fallimento (ora liquidazione giudiziale).
Per tali ragioni, alle start-up innovative il legislatore aveva riservato le procedure da sovraindebitamento di cui al D.L. 18 ottobre 2012 n° 179, in un primo momento, e il concordato minore e la liquidazione controllata, a seguito dell’entrata in vigore del codice della crisi.
L’art. 11 del D.Lgs. 13 settembre 2024 n° 136, in vigore dal 28 settembre 2024[8], modificando l’art. 37 del codice della crisi, ha previsto che, in deroga a quanto statuito dall’art. 31 del D.L. 18 ottobre 2012 n° 179, le start-up innovative, diverse dalle imprese minori, possono richiedere, con domanda proposta esclusivamente dal debitore, l’accesso agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal codice della crisi, nonché l’apertura della liquidazione giudiziale[9].
Il regime applicabile alle start-up innovative, pertanto, si distingue a seconda che siano superati i requisiti dimensionali di cui all’art. 2, lettera d), del codice della crisi[10].
Se i limiti non sono superati e, quindi, la start-up innovativa può essere qualificata come impresa minore, si applica la disciplina sul sovraindebitamento; se, invece, la società supera detti limiti dimensionali, può accedere, su domanda del debitore, anche agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza[11] previsti per l’imprenditore maggiore e alla liquidazione giudiziale. Si tratta di possibilità del tutto volontaria volta – secondo quanto previsto dalla Relazione Illustrativa al decreto – ad agevolare e aumentare i possibili percorsi di risanamento delle imprese che, pur essendo nelle fasi iniziali dell’attività, possono essere di dimensioni o rilevanza tali da necessitare di procedure maggiormente strutturate.
L’accesso alla liquidazione giudiziale presenterebbe però una peculiarità: a differenza di quanto previsto per le altre imprese, potrà essere richiesto solo su istanza della società debitrice e non dei suoi creditori. Secondo i primi commentatori, tale divergenza è irragionevole, così come è ingiustificato lasciare alla società la scelta, in via esclusiva, tra liquidazione controllata, che costituisce un modello di concorsualità più debole, e liquidazione giudiziale, che invece rappresenta un modello di concorsualità più forte. Nella liquidazione controllata, infatti, non è prevista l’azione revocatoria fallimentare contro gli atti compiuti prima della domanda, che invece potrebbe giovare ai creditori, e a carico del debitore non si producono gli effetti personali e penali della liquidazione giudiziale[12].
Note[1] L’esistenza di definizioni diverse di piccola e media impresa a livello comunitario e a livello nazionale poteva essere fonte di incoerenza e, nell’ottica di un mercato unico privo di frontiere interne, si rivelava necessaria una comune regolamentazione delle imprese. La raccomandazione 2003/361/CE sostituisce la raccomandazione 96/280/CE a decorrere dal 1° gennaio 2005.
La dottrina prevalente ha ritenuto, in assenza di chiarezza legislativa, di dover fare riferimento alla medesima definizione di PMI offerta dalla raccomandazione 2003/361/CE, ai fini dell’applicazione dell’art.26 del D.L. 18 ottobre 2012 n° 179 in tema di deroga al diritto societario. Notari M., Introduzione, in AA.VV., Pmi, categorie di quote e le nuove frontiere delle società a responsabilità limitata, Atti del convegno annuale di Federnotizie, 21 maggio 2019, 2020, p.5: Non essendovi alcuna definizione di PMI nel suddetto D.L., erano astrattamente ipotizzabili diverse opzioni interpretative, derivanti da differenti fonti normative europee: si poteva cioè fare riferimento alle definizioni di PMI di cui alla raccomandazione 2003/361/CE, di cui alla direttiva UE/2013/34, sui bilanci di società, e di cui al regolamento UE/2017/1129, sui prospetti di offerte pubbliche; Massima I. n° 1 della Commissione Società del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Definizione di s.r.l. – pmi: “Per la definizione di s.r.l. – PMI occorre far riferimento alla raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE, allegato 1, sia per quanto riguarda le caratteristiche oggettive sia per quanto riguarda i criteri di accertamento di tali caratteristiche.”; MALTONI M.- RUOTOLO A.- BOGGIALI D., La nuova disciplina delle (PMI) società a responsabilità limitata, Studio del C.N.N. Commissione Studi Impresa numero 101-2018/I del 19 aprile 2018, nel quale inoltre si precisa che: “La qualifica di PMI a differenza di quella di start-up innovativa, non dipende né è evincibile da alcuna iscrizione del Registro delle Imprese. Decisive sono, invece, le risultanze del bilancio di esercizio: – per verificare il fatturato annuo (non superiore a euro 50.000.000) occorre prendere in esame il conto economico (art. 2425 c.c.), e precisamente quanto riportato alla lettera A 1); – il totale dell’attivo patrimoniale (non superiore a euro 43.000.000) si ricava dallo stato patrimoniale (art. 2424 c.c.), numero finale complessivo dopo i “Ratei e risconti”; – il numero medio dei dipendenti (inferiore a 250) è indicato nella nota integrativa (art. 2427 c.c.), al n° 15. In alternativa si può chiedere una dichiarazione del consulente del lavoro.”
[2] In primis, la Raccomandazione chiarisce che per “impresa” deve intendersi “qualsiasi entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che svolga un’attività economica, incluse in particolare le entità che svolgono un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono regolarmente un’attività economica.”
[3] Le tipologie di imprese considerate ai fini del calcolo degli effettivi e gli importi finanziari sono le imprese autonome, le imprese associate (vale a dire le imprese legate da un rapporto per cui un’impresa – impresa a monte – detiene, da sola o insieme a una o più imprese collegate, almeno il 25% del capitale o dei diritti di voto di un’altra impresa – impresa a valle – e le imprese collegate (vale a dire le imprese fra le quali esiste un rapporto per cui un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un’altra impresa, ha il diritto di esercitare un’influenza dominante su un’altra impresa in virtù di un contratto, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di un’altra impresa). Non si considerano, quindi, solo i dati dimensionali della singola impresa, ma dell’intero gruppo di afferenza dell’ente. La Raccomandazione 2003/361/CE, inoltre, precisa che il livello del 25% di partecipazione quale soglia, indicata dalla raccomandazione 96/280/CE, al di sotto della quale l’impresa è considerata autonoma, rimane immutato e che un’impresa in cui almeno il 25% dei diritti di capitale o di voto è controllato da un organismo collettivo pubblico o da un ente pubblico non è qualificabile come PMI.
[4] Massima I.n° 1 della Commissione Società del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Definizione di s.r.l. – pmi: “Detta stima non è assimilabile ad una perizia, in quanto consiste nella previsione di eventi futuri e non nell’accertamento di una situazione attuale, per cui non è richiesto che sia effettuata da un terzo indipendente né che sia asseverata con giuramento.”
[5] Sulle difficoltà del finanziamento delle start-up innovative: Percoco G., Il work for equity nelle start-up innovative a responsabilità limitata, in Ricerche Giuridiche, 9, 2, 2020, p.157.
[6] Trattasi di finanziamenti che attribuiscono alla società emittente e/o a soggetti diversi dai finanziatori, e non al finanziatore, il diritto di convertire il prestito in partecipazioni sociali oppure trattasi di finanziamenti che prevedono detta conversione al verificarsi di eventi specifici o situazioni predeterminate. In tema di obbligazioni convertende: Giannelli A., Obbligazioni convertibili, convertende e a conversione sintetica, in Riv. Soc., 2016, p.702: “Gli obbligazionisti accettano sin dall’emissione che la conversione in azioni possa avvenire per effetto di circostanze o scelte del tutto indipendenti dalla loro volontà; in tale prospettiva, […] la conversione è imposta ai possessori delle obbligazioni, e non da essi prescelta.”; Massima della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano n° 139 del 28 ottobre 2014, Obbligazioni che danno diritto di acquisire ovvero sottoscrivere azioni.
[7] Altro elemento di favore consisteva e consiste tuttora nell’”attenuazione del principio “ricapitalizza o liquida”: il termine entro il quale la perdita di capitale di cui agli artt. 2446, comma 2, e 2482-bis c.c. deve essere diminuita a meno di un terzo è posticipato al secondo esercizio successivo; mentre, qualora la società versi nella condizione di perdita di cui agli artt. 2447 e 2482-ter c.c., l’assemblea, convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa alla immediata riduzione e al contestuale ripristino del capitale, può rinviare la decisione alla chiusura dell’esercizio successivo”: Perreca F., La composizione negoziata nelle start-up innovative dopo il terzo correttivo al codice della crisi, in Nuove Leggi Civ. Comm., 6, 2024, p.1350.
[8] Ai sensi dell’art. 56, comma 4, del D.Lgs. 13 settembre 2024 n° 136, la modifica è entrata in vigore il 28 settembre 2024 e si applica ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore e a quelli instaurati o aperti successivamente.
[9] Parte della dottrina ha valutato la possibile applicazione della composizione negoziata, ai sensi degli artt. 12 e 25 quater del codice della crisi, alle start-up innovative, considerando il fatto che non vi è alcuna disposizione che consente a tali società l’accesso alla composizione negoziata, né vi è alcuna norma che lo esclude: Di Sarli M., Composizione negoziata della crisi e concordato semplificato: il D.L. 118/2021 ha dimenticato le start-up innovative?, in www.ilcaso.it, 2021;Russo R., Start-up innovativa, impresa minore e composizione negoziata. Un trinomio complesso nella cornice del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Giur. Comm., 2023, I, p.980; Perreca F., La composizione negoziata nelle start-up innovative dopo il terzo correttivo al codice della crisi, in Nuove Leggi Civ. Comm., 6, 2024, p.1350.
Dopo il correttivo al codice della crisi di cui al D.Lgs. 13 settembre 2024 n° 136, vi è chi, propendendo per l’ammissibilità (Perreca F., La composizione negoziata nelle start-up innovative dopo il terzo correttivo al codice della crisi, in Nuove Leggi Civ. Comm., 6, 2024, p.1350), precisa che:
- la facile erosione della liquidità e le maggiori difficoltà di collocamento dei prodotti innovativi sul mercato comporta il fatto che le start-up innovative non possono essere considerate in crisi solo perché, per un lasso (anche ampio) di tempo, non riescono a sostenere i flussi in uscita con quelli in entrata. Pertanto “il riferimento alla probabilità di crisi o di insolvenza è da interpretare al pari dalla probabilità di insolvenza che definisce lo stato di crisi, dunque, come un rischio probabile di insolvenza a causa di squilibri patrimoniali o economico-finanziari che non possono essere ricondotti alla “normale” gestione dell’impresa. […] La doverosità di attivare la procedura dovrebbe sorgere nel momento in cui la start-up innovativa versi in una condizione di squilibrio patrimoniale che, per misura, origine e qualità, possa essere superato in modo più idoneo nella fase di composizione negoziata, in luogo di una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza.”
- l’aspetto favorevole della composizione negoziata risiede proprio nella possibilità di condurre le trattative al riparo da azioni individuali, mediante una negoziazione diretta tra i soggetti coinvolti, nella possibilità degli amministratori di conservare la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, e, rispetto alle procedure concordatarie, nella possibilità per i soci di conservare un potere di ingerenza.
[10] L’art. 2, lettera d), del codice della crisi qualifica “impresa minore” “l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.”
[11] L’art. 2, lettera mbis), del codice della crisi definisce “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” “le misure, gli accordi e le procedure, diversi dalla liquidazione giudiziale e dalla liquidazione controllata, volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio, o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi.”
[12] Della Tommassina L., Le azioni revocatorie nella liquidazione controllata dell’impresa agricola, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, p.1040: “Non sembra azzardato affermare che la liquidazione giudiziale realizza una forma di “concorso forte”, mentre la liquidazione controllata si arresta alle soglie di un “concorso debole”. Nel senso che:
- il sistema revocatorio speciale disciplinato dagli artt. 163 ss. c.c.i. presuppone il “concorso dei creditori” (e qui la parola “concorso” è usata nella sua accezione debole: blocco imperativo delle iniziative individuali di tutela del credito in funzione di un accertamento centralizzato e incrociato delle pretese) e in aggiunta traguarda un obiettivo di “concorso dei creditori” (e qui la parola “concorso” è usata nella sua accezione forte: “concorso” come creazione artificiale di un “mercato” in cui tutti i creditori sono chiamati a sopportare gli effetti negativi dell’insolvenza del comune debitore. Con la conseguenza che il “concorso” è sia il mezzo che lo scopo della liquidazione giudiziale;
- la liquidazione controllata, invece, conosce il “concorso” soltanto nella prima accezione, l’accezione debole. Essa non tocca i rapporti di forza tra coloro che hanno fatto credito al sovraindebitato. Non interessa se un creditore è arrivato prima e ha ottenuto il pagamento, spontaneamente o coattivamente, come pure non interessa se un creditore si è allertato per tempo, conseguendo un privilegio che altri non hanno ottenuto: il quadro dei rapporti di forza tra i creditori è un dato che la liquidazione controllata si limita a recepire (e a gestire con strumenti “concorsuali”, ovvero: paralizzando le iniziative individuali di tutela del credito e veicolando le rispettive pretese all’interno di un accertamento unitario), senza ridiscuterlo ed eventualmente alterarlo a scopi di par condicio, e cioè in funzione di un obiettivo — in altra accezione — “concorsuale” (dove “concorso” significa allora “distribuzione delle perdite su tutto il ceto creditorio”).”; Macagno G.P., Esenzione temporanea delle start-up innovative dall’applicazione delle procedure concorsuali e accesso al procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2020, p.1136; Brogi R., Le modifiche del D.Lgs. n° 136/2024 alla disciplina sul sovraindebitamento, in Fallimento, 1, 2025, p.130.
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L’imposta sulle transazioni finanziarie (cosiddetta “Tobin Tax”): spunti di interesse notarile
L’articolo 1, comma 491[1], legge 24 dicembre 2012, n. 228[2], ha istituito la «imposta sulle transazioni finanziarie» (in acronimo, “ITF” o, in inglese, “FTT”)[3], prescrivendo che la ITF si applica[4] («con l’aliquota dello 0,2[5] per cento sul valore della transazione»[6]), tra l’altro (e, cioè, limitando l’osservazione alle fattispecie nelle quali vi è o vi può essere l’intervento di un notaio), all’operazione di:
- «trasferimento»[7] del diritto «di [piena] proprietà» (o del diritto di nuda proprietà)[8] «di azioni[9] e di altri strumenti finanziari partecipativi» (di cui all’articolo 2346, comma 6, codice civile) emessi da società residenti nel territorio dello Stato;
- «trasferimento» del diritto «di [piena] proprietà» (o del diritto di nuda proprietà) di «titoli rappresentativi dei predetti strumenti» indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente (e, così, alla compravendita del diritto di opzione rinveniente da una deliberazione di aumento del capitale sociale);
- «trasferimento» del diritto «di [piena] proprietà»(o del diritto di nuda proprietà) «di azioni che avvenga per effetto della conversione di obbligazioni».
I soggetti obbligati al versamento della ITF possono sospendere l’esecuzione dell’operazione fino a che non ottengano provvista per il versamento dell’imposta (articolo 1, comma 498, legge 228/2012).
Fattispecie non soggette a ITF o esenti da ITFInvece, la ITF non si applica (per ragioni, caso per caso, o di “esenzione” o di “esclusione”), tra l’altro[10]:
- al trasferimento che «avvenga per successione o donazione» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- alle operazioni «di emissione e di annullamento dei titoli azionari e dei predetti strumenti finanziari» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- alle operazioni «di conversione in azioni di nuova emissione» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012) e, quindi, alla operazione di conversione di una categoria di azioni in altra categoria di azioni di nuova emissione oppure alla operazione di conversione di obbligazioni o di altri strumenti finanziari convertibili in azioni di nuova emissione;
- ai «trasferimenti di proprietà di azioni negoziate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione emesse da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre dell’anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà sia inferiore a 500 milioni di euro»[11] (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- alle operazioni (aventi a oggetto quote di partecipazione di qualsiasi caratura e, quindi, non solo “pacchetti” di controllo) poste in essere da società[12] (anche non residenti in Italia)[13] «fra le quali sussista» (direttamente o indirettamente)[14] «il rapporto di controllo» di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 1)[15] e n. 2)[16], codice civile, e all’articolo 2359, comma 2[17], codice civile (articolo 1, comma 494, lett. d), legge 228/2012)[18] o «che siano controllate dalla stessa società» (articolo 15, comma 1, lett. g), d.m. 21 febbraio 2013), e ciò al fine di non ostacolare le operazioni di riorganizzazione aziendale e, cioè, quelle operazioni che, pur determinando il trasferimento della proprietà delle azioni, non modificano la loro “appartenenza economica” al medesimo gruppo societario;
- alle operazioni «di riorganizzazione aziendale effettuate alle condizioni indicate» nel d.m. 21 febbraio 2013 (articolo 1, comma 494, lett. d), legge 228/2012)[19], anche in questo caso al fine di non penalizzare l’effettuazione di dette operazioni;
- al trasferimento della proprietà di azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), ivi incluse le azioni di società di investimento a capitale variabile (articolo 2, comma 2, d.m. 21 febbraio 2013);
- alle operazioni di «riacquisto dei titoli da parte dell’emittente» (articolo 15, comma 1, lett. c), d.m. 21 febbraio 2013) e, quindi, all’acquisto di “azioni proprie” da parte della società emittente cui consegua il loro annullamento[20];
- alle operazioni di assegnazione di azioni, strumenti finanziari partecipativi e titoli rappresentativi a fronte di distribuzione di utili, riserve o di restituzione di capitale sociale (articolo 15, comma 1, lett. d-bis), d.m. 21 febbraio 2013);
- al trasferimento di proprietà di azioni nell’ambito di operazioni di garanzia finanziaria derivanti da un contratto con il quale il datore di una garanzia finanziaria trasferisce la piena proprietà della garanzia finanziaria al beneficiario di quest’ultima, allo scopo di assicurare l’esecuzione delle obbligazioni finanziarie garantite, inclusa la restituzione al termine della garanzia (in tali ipotesi, l’imposta si applica qualora il trasferimento della proprietà divenga definitivo oppure nei casi di escussione della garanzia, compensazione della garanzia con l’obbligazione finanziaria garantita o utilizzo della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita o per altra ragione che comporti comunque un trasferimento definitivo della proprietà): (articolo 15, comma 1, lett. e), d.m. 21 febbraio 2013);
- alle operazioni di garanzia su azioni che non comportano il loro trasferimento (articolo 15, comma 1, lett. e), ultimo periodo, d.m. 21 febbraio 2013).
E’ importante notare che, essendo, in alcuni casi, le fattispecie di non soggezione e di esenzione non facili da individuare, i soggetti obbligati al versamento della ITF «non sono tenuti al versamento dell’imposta nel caso in cui il contribuente attesti […] che l’operazione rientra tra le ipotesi di esclusione […] o di esenzione […] e nelle ipotesi in cui non sappiano o non abbiano ragione di sapere, in base all’ordinaria diligenza, che l’attestazione del contribuente è falsa o non affidabile. L’attestazione consiste nella dichiarazione in forma scritta, da parte del contribuente, del ricorrere dei presupposti delle suddette esenzioni o esclusioni» (paragrafo 3.1.1. del Provvedimento 87896/2013).
Disciplina della ITFL’ITF:
- è dovuta indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione e dallo Stato di residenza delle parti contraenti (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- grava (ne è il “soggetto passivo”) sul soggetto a favore del quale avviene il trasferimento (articolo 1, comma 494, legge 228/2012; articolo 5, d.m. 21 febbraio 2013);
- deve essere versata[21] (ne sono i “responsabili”), in modo cumulativo (mediante il modello “F24”)[22], dalle banche, dalle società fiduciarie e dalle imprese di investimento nonché dagli altri soggetti che comunque intervengono nell’esecuzione delle predette operazioni imponibili (ivi compresi «i notai[23] che intervengano nella formazione o nell’autentica di atti relativi alle medesime operazioni»: articolo 19, comma 1, d.m. 21 febbraio 2013); qualora nell’esecuzione dell’operazione intervenga una pluralità di detti soggetti, l’imposta è versata dal soggetto che riceve direttamente dall’acquirente o dalla controparte finale l’ordine di esecuzione (articolo 1, comma 494, legge 228/2012).
I soggetti obbligati al versamento della ITF sono altresì gravati da un obbligo dichiarativo annuale[24].
In ordine all’accertamento, alla riscossione e alle sanzioni[25] si applica la normativa in tema di imposta sul valore aggiunto (articolo 1, comma 498, legge 228/2012; articolo 20, d.m. 21 febbraio 2013).
Le istanze di rimborso della ITF versata in misura maggiore di quella dovuta sono normate dall’articolo 22, d.m. 21 febbraio 2013.
Note[1] Cfr. CARLUCCI-MIELE-POSA, Caratteristiche e ambito di applicazione della nuova imposta sulle transazioni finanziarie, in Corr. Trib., 2013, 2, 106; CASSINA-DEL GIUDICE, Il ritorno dell’imposta sulle transazioni finanziarie: esigenze di gettito e finalità antispeculative, in Amm. Fin., 2013, 4, 18; FRANSONI, Spunti di riflessione in tema di presupposti delle imposte sulle transazioni finanziarie, in Rass. Trib., 2013, 6, 1257; MOLINARO, L’imposta di bollo sulle transazioni finanziarie, in Corr. Trib., 2012, 43, 3321; PIAZZA, Tassazione “indiretta” sulle partecipazioni societarie, in Fisc. Comm. Internaz., 2013, 1, 77; RIBACCHI, Tobin Tax: il decreto attuativo del MEF, in Prat. Fisc. Prof., 2013, 12, 26.
[2] Intitolata “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)”. La regolamentazione attuativa di questa normativa è recata dal d.m. 21 febbraio 2013, intitolato “Attuazione dei commi da 491 a 499 della legge n. 228/2012 (stabilità 2013) – imposta sulle transazioni finanziarie” e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28 febbraio 2013.
Occorre precisare che, ai sensi dell’articolo 99, comma 1, lett. e), e dell’articolo 100 d. lgs. 5 novembre 2024, n. 174 (intitolato “Testo unico dei tributi erariali minori”), i commi da 491 a 497, 499 e 500 dell’articolo 1, d. lgs. 228/2012 restano in vigore fino al 31 dicembre 2025 e che dal 1° gennaio 2026 prenderanno vigore i corrispondenti articoli 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49 e 50, d. lgs. 174/2024.
[3] Detta anche “Tobin Tax” per la ragione che venne ideata, nel 1972, dall’economista James Tobin (premio Nobel per l’economia nel 1981).
[4] Nel momento in cui si verifica l’effetto traslativo (articolo 3, comma 2, d.m. 21 febbraio 2013).
[5] L’aliquota è ridotta alla metà per i trasferimenti che avvengono in mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione (articolo 1, comma 491, legge 228/2012). La nozione di «mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione» è recata dall’articolo 1, comma 2, lett. c), d.m. 21 febbraio 2013). Cfr. Brunello-Baldascino, Tobin Tax ad aliquota ridotta per i trasferimenti di azioni nel contesto di un’OPA?, in Corr. Trib., 2021, 4, 386.
[6] Il concetto di «valore della transazione» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012) è specificato nell’articolo 4, d.m. 21 febbraio 2013. In particolare, la norma stabilisce che si tratta del «corrispettivo contrattualmente stabilito» oppure, in mancanza, del «valore normale» determinato ai sensi dell’articolo 9, comma 4, d.P.R. 917/1986.
Nelle Faq (al n. 11) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate si legge che la ITF è dovuta anche in relazione agli “aggiustamenti del prezzo” che intervengano a seguito di apposite clausole contrattuali (cosiddette clausole di earn out): «Si ritiene che l’imposta sulle transazioni finanziarie vada applicata anche sulla parte di prezzo variabile, derivante dalle suddette clausole, che costituisce integrazione del prezzo fissato al momento del closing. L’imposta è dovuta alla data in cui spetta contrattualmente il versamento di tale integrazione del prezzo. In caso di revisione del prezzo in diminuzione il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta versata in eccesso».
Cfr. anche Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito Tributario n. 26-2016/T, Tobin tax e clausole earn out, in CNN Notizie del 7 giugno 2018, ove si osserva che «l’imposta cd. Tobin tax sarà dovuta, all’atto del trasferimento dei titoli, sul prezzo minimo fissato alla conclusione del contratto, fermo restando che al momento del versamento del prezzo così come determinato all’esito della verifica della situazione patrimoniale i contribuenti dovranno, ex art.19, comma 1 del citato d.m., procedere al versamento della Tobin tax. Ovviamente l’imposta dovrà essere corrisposta dai contribuenti al netto di quanto già versato dal notaio. Alla luce di queste considerazioni, apparirebbe opportuna una clausola che prenda spunto dalla citata risposta del MEF (n.11) a conferma del ruolo del notaio quale responsabile d’imposta solo relativamente al prezzo “minimo” stabilito dalle parti e dia atto del consenso dei contribuenti (ex art.3, comma 1, del citato d.m.) ad assumere per data dell’operazione la data di liquidazione contrattualmente prevista».
[7] In tale nozione rientra, pertanto, qualsiasi negozio avente un effetto traslativo (cfr. CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Studio Tributario n. 218-2013/T del 19 aprile 2013, Il ruolo del notaio nell’applicazione della Tobin Tax (art.1, commi 491-500, l. 24 dicembre 2012, n. 228), in CNN Notizie del 21 maggio 2013): la compravendita, la permuta (a meno che, con tale operazione, venga acquisito il controllo della società le cui azioni sono date in permuta), la dazione in pagamento, la transazione, il conferimento in società, eccetera (e, quindi, non anche la divisione o le operazioni societarie prive di effetto traslativo, come la trasformazione; e neppure, stante la sua natura non traslativa sotto il profilo fiscale, l’apporto di azioni in un trust).
Nella “Relazione illustrativa” al d.m. 21 febbraio 2013, si legge che «Devono ritenersi escluse da imposta anche l’assegnazione di titoli o strumenti finanziari partecipativi a fronte di distribuzioni di utili o di riserve e l’assegnazione di azioni di nuova emissione a fronte di piani di stock options».
Nella Risposta a interpello n. 463 del 12 ottobre 2020, osservando che la ITF si applica ai «negozi suscettibili di produrre l’acquisto a titolo derivativo e oneroso della proprietà», è stato escluso da imposizione il trasferimento di azioni ordinato da una sentenza al fine di reintegrare la situazione antecedente a un contratto di compravendita dichiarato inefficace (ritrasferimento effettuato mediante reintestazione delle azioni al proprietario precedente, con conseguente restituzione del relativo prezzo di cessione).
[8] Il trasferimento del diritto di nuda proprietà è espressamente contemplato nell’articolo 2, comma 1-bis, d.m. 21 febbraio 2013.
Quanto al trasferimento del diritto di usufrutto, in CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Prassi, Tobin Tax: precisate nuove regole di attuazione, in CNN Notizie del 23 settembre 2013, si osserva che dal predetto esplicito riferimento al diritto di nuda proprietà si trae «conferma» della «irrilevanza agli effetti dell’applicazione del tributo della costituzione o della cessione di diritti reali diversi dalla proprietà, ad esempio l’usufrutto, non essendo fattispecie equivalente al trasferimento della proprietà delle azioni».
[9] Per «azioni» si intendono i titoli di partecipazione (anche se di categoria speciale e indipendentemente dall’attribuzione di determinati diritti amministrativi o patrimoniali) in società per azioni (comprese le società consortili per azioni), società in accomandita per azioni, società europee e società cooperative normate dalla legislazione in tema di società per azioni (articolo 1, comma 2, lett. c), d.m. 21 febbraio 2013). Sono, pertanto, escluse dal perimetro applicativo della ITF le quote di partecipazione al capitale sociale di società a responsabilità limitata e di società di persone.
Sono, inoltre, esplicitamente escluse le «le operazioni su obbligazioni o titoli di debito, che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata»: (articolo 15, comma 1, lett. b), d.m. 21 febbraio 2013).
[10] Cfr. CARLUCCI-MIELE-POSA, Esenzioni ed esclusioni in materia di imposta sulle transazioni finanziarie, in Corr. Trib., 2013, 15, 1151.
[11] Ai sensi dell’articolo 17, d.m. 21 febbraio 2013, la Consob, entro il 10 dicembre di ogni anno, redige la lista delle società che rispettano il predetto limite di capitalizzazione e le cui azioni sono negoziate in un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione italiano.
[12] E probabilmente anche tra una persona fisica e la società da essa controllata: invero, se la Risposta a interpello n. 170 del 9 giugno 2020 (di cui oltre) ha esteso alle operazioni effettuate da persone fisiche l’esenzione per le operazioni «di riorganizzazione aziendale» (di cui oltre), non vi sarebbe ragione di negare l’estensione dell’esclusione da ITF alle operazioni effettuate tra una persona fisica e la società da essa controllata.,
[13] Cfr. in tal senso le Faq (al n. 21) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
[14] Cfr. in tal senso le Faq (al n. 20) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
[15] Detto n. 1) concerne «le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria».
[16] Detto n. 2) concerne «le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria». La norma in esame, pertanto, non concerne il controllo “contrattuale” di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 3), codice civile («le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa»), né la fattispecie del “collegamento” tra società, di cui all’articolo 2359, comma 3, codice civile («le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole»).
[17] In detto comma 2 è specificato che ai fini della individuazione del rapporto di controllo (di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 1), codice civile) e del rapporto di influenza dominante (di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 2), codice civile) «si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi».
[18] Nella Risposta n. 956-905/2018 (senza data) a un interpello presentato il 15 giugno 2018 (sulla quale cfr. BUSANI, Tobin tax non dovuta per azioni cedute tra società sorelle, in Quot. Fisco, 9 aprile 2019), l’Agenzia delle Entrate ha osservato che la ITF non è dovuta se le azioni siano cedute da una società (Alfa) ad altra società (Beta) le quali abbiano la medesima compagine sociale (e cioè se sia di Alfa che di Beta siano socie, al 50 per cento ciascuno, Gamma e Delta) a condizione che Alfa e Beta abbiano una «governance […] identica […] in termini di diritti amministrativi, patrimoniali e di patti parasociali». Quanto alla nozione di «controllo», l’Agenzia ha rammenta che: a) può trattarsi anche di un controllo “indiretto”, vale a dire che se la cessione avviene tra Alfa e Beta, Alfa non deve necessariamente essere la diretta partecipante di Beta, ma può parteciparvi attraverso una “catena” di altre società; b) può trattarsi anche di un controllo “comune” da parte di «un’unica società controllante», vale a dire che se la cessione avviene tra Alfa e Beta, la IFT non si paga se sia Alfa che Beta sono “sorelle” perché partecipate entrambe (anche in questo caso, direttamente o indirettamente) da Teta. Da questo panorama normativo e interpretativo discende dunque che, secondo l’Agenzia, la medesima valenza riorganizzativa deve essere, a maggior ragione, riconosciuta anche all’operazione con la quale un pacchetto di azioni viene trasferito tra due società che abbiano gli stessi soci, titolari delle medesime quote di partecipazione, e «le medesime regole di governance […] in termini di diritti amministrativi, patrimoniali e di patti parasociali». In tal caso, infatti, essendo sia la parte venditrice sia la parte acquirente composte dalla stessa compagine sociale, anche a seguito di questa operazione, al pari di un’operazione infragruppo, la titolarità delle azioni cedute continua a fare riferimento agli stessi soci e non è ravvisabile un intento speculativo correlato alla negoziazione di titoli. Si tratta infatti di una operazione di carattere riorganizzativo e, pertanto, esclusa dall’applicazione della Tobin Tax.
La predetta Risposta a interpello ha evidentemente ispirato la Risoluzione n. 38/E del 29 marzo 2019, nella quale è ripetuto il medesimo ragionamento e sono raggiunte le medesime conclusioni.
Cfr. anche MOLINARO, L’imposta sulle transazioni finanziarie non si applica alle cessioni con funzioni riorganizzative, in il fisco, 2019, 21, 2053.
[19] L’articolo 15, comma 1, lett. h), d.m. 21 febbraio 2013, concerne il trasferimento di proprietà degli strumenti di cui all’articolo 1, comma 491, legge 228/2012, derivanti da operazioni di ristrutturazione di cui all’articolo 4 della Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008; a sua volta:
- l’articolo 4, comma 1, lett. a), della Direttiva 2008/7/CE, si riferisce alle operazioni di «trasferimento da parte di una o più società di capitali della totalità dei loro patrimoni, o di uno o più rami della loro attività, a una o più società di capitali in via di costituzione o già esistenti, a condizione che il trasferimento sia remunerato perlomeno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della società acquirente», ciò da cui dovrebbe conseguire che l’ITF non si dovrebbe applicare nel caso di conferimento di un’azienda o di un ramo d’azienda nel cui àmbito vi sia un pacchetto azionario né nel caso di una cessione di un’azienda comprendente un pacchetto azionario remunerata «perlomeno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della società acquirente» (né nel caso di incorporazione di una società proprietaria di un pacchetto azionario oppure di scissione di un ramo d’azienda comprendente un pacchetto azionario);
- l’articolo 4, comma 1, lett. b), della Direttiva 2008/7/CE, si riferisce alle operazioni di «acquisizione da parte di una società di capitali in via di costituzione o già esistente di quote sociali che rappresentano la maggioranza dei diritti di voto di un’altra società di capitali, a condizione che i conferimenti siano remunerati per lo meno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della precedente società. Se la maggioranza dei diritti di voto è raggiunta in seguito a due o più operazioni, solo l’operazione con la quale è raggiunta la maggioranza dei diritti di voto e le operazioni successive sono considerate operazioni di ristrutturazione».
Dato che la predetta normativa dispone l’esenzione da ITF nel presupposto che:
- l’oggetto del conferimento sia un pacchetto azionario comportante l’acquisizione, da parte della società conferitaria, della «maggioranza dei diritti di voto» nell’assemblea della società le cui partecipazioni siano oggetto di conferimento, nella Risposta a interpello n. 54 del 21 gennaio 2021 e nella Risposta a interpello n. 377 del 27 maggio 2021 sono state osservate operazioni di conferimento di azioni nelle quali è stata ravvisata l’applicabilità della ITF poiché oggetto del conferimento era un pacchetto azionario non comportante l’acquisizione, da parte della società conferitaria, di detta «maggioranza dei diritti di voto»;
- la società conferitaria remuneri (almeno in parte) l’oggetto del conferimento mediante titoli rappresentativi del proprio capitale (in altri termini, tale disposizione ravvisa la sussistenza di una fattispecie di ristrutturazione aziendale nella circostanza la società conferente non si limiti ad essere remunerata da “sola cassa” bensì partecipi – almeno in parte – al capitale delle società conferitaria), nella Risposta a interpello n. 417 del 17 giugno 2021 è stato escluso che l’esenzione si applichi alla «operazioni di “mera vendita”, vale a dire quelle operazioni in cui oggetto del corrispettivo che la società acquirente è tenuta a corrispondere alla società venditrice è rappresentato da valori mobiliari diversi dai titoli rappresentativi del capitale della società acquirente» (occorre precisare che l’attribuzione di azioni al soggetto conferente è esclusa dall’applicazione dell’ITF in quanto operazione di “emissione” di azioni).
Nella Risposta a interpello n. 170 del 9 giugno 2020 è stato affermato che, al ricorrere dei predetti presupposti, l’esenzione compete anche nel caso di conferimento effettuato da parte di persone fisiche.
[20] Nelle Faq (al n. 15) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate si legge quanto segue: «L’acquisto di azioni proprie è escluso da tassazione solo se finalizzato all’annullamento delle stesse. Qualora l’annullamento sia deliberato successivamente all’acquisto di azioni proprie, l’acquisto è soggetto ad imposta, in quanto, al momento in cui è stato realizzato, non era finalizzato all’annullamento delle azioni».
[21] Entro il giorno 16 del mese successivo a quello del trasferimento della proprietà (articolo 1, comma 494, legge 228/2012).
Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 luglio 2013, prot. n. 87896, è stata fornita la “Definizione degli adempimenti dichiarativi, delle modalità di versamento dell’imposta, dei relativi obblighi strumentali, delle modalità di rimborso, ai sensi dell’articolo 19, commi 5 e 8 e dell’articolo 22 del decreto del Ministro dell’economia e finanze del 21 febbraio 2013”.
Con la Risoluzione n. 62/E del 4 ottobre 2013 è stato istituito il codice tributo “4058” per il versamento della “Imposta sulle transazioni di azioni e di altri strumenti partecipativi – art. 1, c. 491, l. n. 228/2012”.
[22] Paragrafo 3.2.1. del Provvedimento 87896/2013.
[23] Nel paragrafo 2.1., lett. c), del Provvedimento 87896/2013, è prescritto che sono obbligati al versamento anche «i notai e gli altri soggetti che intervengono nelle operazioni effettuate tramite la formazione o l’autentica di atti, compresi quelli esercenti l’attività fuori dal territorio dello Stato, sempreché il contribuente non attesti che l’imposta sia stata già applicata. Per le operazioni effettuate tramite atti formati o autenticati all’estero e oggetto di deposito presso un notaio esercente in Italia, l’imposta deve essere versata da tale ultimo soggetto, sempreché il contribuente non attesti che l’imposta sia stata già applicata».
Quanto all’obbligo di «predisporre un registro cronologico giornaliero» (paragrafo 5.9. del Provvedimento 87896/2013), per i notai si tratta di un obbligo assolto mediante la compilazione del repertorio delle girate azionarie, di cui all’articolo 28, r.d. 29 marzo 1942, n. 239: cfr. in tal senso CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Quesito Tributario n. 92-2015/T, Modalità di tenuta del registro delle operazioni imponibili dell’imposta sulle transazioni finanziarie per gli “altri” soggetti responsabili, tra cui i notai, in CNN Notizie del 22 marzo 2016.
[24] Cfr. il Provvedimento prot. n. 294475 del 15 dicembre 2017 con il quale l’Agenzia delle Entrate, in attuazione del d.m. 18 luglio 2013, ha approvato (in sostituzione del modello approvato con il Provvedimento prot. n. 2169 del 4 gennaio 2017 che, a sua volta, aveva sostituito il Provvedimento prot. n. 2013/154577 del 27 dicembre 2013) il nuovo modello per la dichiarazione dell’imposta sulle transazioni finanziarie, delle relative istruzioni e delle specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei dati. In materia cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Segnalazioni Novità Normative, Il 31 marzo 2014 scade il termine per la dichiarazione Tobin Tax, in CNN Notizie del 20 febbraio 2014; Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito tributario n. 188-2014/T, Operazioni rilevanti dichiarazione FTT (cd. Tobin Tax), in CNN Notizie del 21 marzo 2014; Consiglio Nazionale del Notariato, Segnalazioni Novità Prassi Interpretative, Approvato il nuovo modello FTT per la dichiarazione dell’imposta sulle transazioni finanziarie (cd. Tobin Tax), in CNN Notizie del 18 gennaio 2017.
[25] Cfr., in materia, Consiglio Nazionale del Notariato, Segnalazioni Novità Prassi Interpretative, Scadenza dichiarazione tobin tax: le sanzioni in caso di omessa presentazione, in CNN Notizie, 15 marzo 2016.
L'articolo L’imposta sulle transazioni finanziarie (cosiddetta “Tobin Tax”): spunti di interesse notarile sembra essere il primo su Federnotizie.
Tribunale di Milano: l’atto ricognitivo di intervenuta accessione è trascrivibile
Con decreto del giorno 21 gennaio 2025, ruolo n. 12531/2024 V.G. il Tribunale di Milano ha accolto il reclamo del notaio avverso la trascrizione con riserva del Conservatore, dell’atto ricognitivo della proprietà per intervenuta accessione, statuendone la trascrivibilità ai sensi dell’art. 2643 n. 1 c.c.
Il casoLa società XX era proprietaria di un fabbricato industriale, sul cui lastrico solare un’altra società del medesimo gruppo YY aveva costruito a sue cure e spese un impianto per la produzione di energia elettrica, impianto che era stato accatastato negli anni (sine titulo), in ditta alla società YY, titolare peraltro di tutte le relative convenzioni di scambio dell’energia con il gestore.
Il predetto impianto fotovoltaico era in realtà, fin dal momento in cui era stato installato, in quanto bene immobile, e per il principio dell’accessione, di piena proprietà della società XX, nonostante l’errata intestazione catastale e la titolarità della convezione in capo alla società YY.
Ai fini della voltura della convenzione, nonché al fine di ripristinare la conformità catastale cd. “soggettiva”, le parti e i terzi interessati chiedevano apposito atto notarile.
Veniva sottoscritto pertanto atto notarile ricognitivo della proprietà e di identificazione catastale, con il quale le parti prendevano atto e riconoscevano che la proprietà dell’impianto era della società XX per il principio dell’accessione, ne autorizzavano la trascrizione e tutte le conseguenti volture.
La trascrizione veniva dapprima rigettata, sia come atto ricognitivo sia come atto di identificazione catastale, per poi essere accettata con riserva.
Proposto il reclamo nei termini di legge, il Tribunale di Milano ha accolto l’istanza, riconoscendo trascrivile l’atto ricognitivo dell’acquisto per accessione ai sensi dell’art. 2643 n 1 c.c.
Le motivazioniIl notaio insisteva per la trascrivibilità dell’atto sulla base di due argomentazioni principali:
1) il principio di tassatività dell’articolo 2643 c.c., principio cardine dell’ordinamento, ha ad oggetto la tassatività degli effetti e non degli atti in forza del comb. disp. con l’art. 2645 c.c.: principio peraltro condiviso anche dal Conservatore nelle motivazioni del rifiuto.
Da tale assunto, il notaio ritiene che l’atto ricognitivo di un acquisto già avvenuto ex lege sia trascrivibile, in quanto documenta l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà, effetto ricompreso nel dato testuale dell’art. 2643 n. 1 c.c., norma peraltro che in nessun punto distingue tra gli acquisti a titolo derivativo e gli acquisti a titolo originario. In forza del successivo articolo 2645 c.c., tale effetto può risultare da un contratto, da un altro atto o da un provvedimento, purché trattasi di un titolo idoneo alla trascrizione ex art. 2657 c.c.
L’acquisto a titolo originario infatti non può essere normalmente trascritto per la mancanza di un titolo idoneo, e non già per la tipologia degli effetti da esso prodotti. Qualora un titolo ci sia, per sentenza o per atto di notaio – atto che per l’appunto non potrà che essere un atto ricognitivo di un acquisto già prodottosi ex lege – non si vedono cause ostative alla sua trascrivibilità. Nel caso di specie, l’atto ricognitivo è quindi il titolo materiale (e quindi il supporto trascrivibile) in cui viene incorporato l’acquisto.
Per dirla con Santoro Passarelli è il documento; ovvero la “cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante” (il trasferimento o l’acquisto originario di un diritto immobiliare), trascrivibile ex art. 2643 n. 1 c.c.
E infatti l’utilità del documento è squisitamente strumentale; si connota per la speciale accessorietà al rapporto giuridico che rappresenta.
Se non in applicazione diretta del dato testuale, il notaio chiedeva l’applicazione dell’articolo 2643 n. 1, c.c. in forza del principio dell’interpretazione estensiva, principio ammesso in materia di pubblicità, a differenza dell’analogia. D’altronde, preso atto del nuovo scenario normativo e degli obblighi oggi vigenti e non previsti nell’originario impianto del codice civile, quali ad esempio la conformità catastale cd. “soggettiva”, le norme devono essere interpetrate anche in funzione del mutato quadro sistematico.
2) Il principio di uniformità di applicazione della legge sul territorio italiano e della certezza del diritto: in altre Conservatorie è prassi applicativa constante, e pacifica, la trascrizione sia di atti ricognitivi della proprietà sia di atti di identificazione catastale, in via autonoma. Il medesimo identico atto era infatti stato ricevuto, tra parti diverse, ma in un caso identico, circa un anno prima, e trascritto senza riserva alcuna presso altra Conservatoria.
Il Conservatore insisteva, sia nelle motivazioni della trascrizione con riserva, sia nelle memorie depositate nel corso del procedimento, per il rigetto del reclamo.
In particolare veniva qualificato l’atto come negozio “latu sensu” identificativo e di accertamento in materia di diritti reali e si richiamava l’ampia giurisprudenza, anche di Cassazione, che non ammette la trascrizione del negozio di accertamento, in quanto ritenuto atto non traslativo (punto peraltro non pacifico, in quanto parte della dottrina tra cui il citato Santoro Passarelli ritiene che il negozio di accertamento “privato” sia sempre traslativo).
Neanche si sarebbe potuto trascrivere ai sensi del n.13 dell’articolo 2643, quale transazione, non essendo questa la natura dell’atto in oggetto.
Si concludeva quindi, richiamando l’ampia giurisprudenza in materia, che l’atto non era trascrivibile, e che tale acquisto per accessione si sarebbe potuto trascrivere solo se accertato con sentenza ex art. 2651 c.c.
Si richiamava tra le altre la recente sentenza del Tribunale di Milano in materia di negozio di accertamento dell’usucapione che ne aveva escluso la trascrivibilità (RG 11046/2022).
La decisioneIl Tribunale accoglie il reclamo, con le seguenti motivazioni: l’atto oggetto del reclamo viene qualificato come atto ricognitivo, e non come negozio di accertamento. In particolare, il Tribunale ritiene che l’atto ricognitivo sia trascrivibile perché comporta una ricognizione di un acquisto della proprietà verificatosi ex lege dove, “a differenza dell’acquisto della proprietà per usucapione, non occorre la previa verifica della sussistenza dei relativi presupposti”.
In tal modo, facendo salva la giurisprudenza del medesimo Tribunale in materia di non trascrivibilità degli acquisti per usucapione, ammette che, nelle ipotesi in cui non c’è attività di accertamento dei presupposti – attività riservata all’autorità giudiziaria – gli atti ricognitivi possano essere trascritti, e tutto ciò ai sensi dell’articolo 2643 n. 1 c.c.
Ciò perché le parti non stanno accertando una situazione incerta, ma hanno inteso incorporare in un titolo idoneo alla trascrizione un effetto legale già prodottosi per legge, in ordine al quale nessuna incertezza vi era.
Senza comportare alcun cambio di orientamento in materia di negozio di accertamento dell’usucapione, il Tribunale ritiene quindi trascrivibile l’atto che si limiti a riconoscere un acquisto della proprietà avvenuto in forza di una disposizione normativa, ogni qual volta non ci siano dei presupposti che vadano accertati da parte dell’autorità giudiziaria.
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Sezioni Unite: la competenza sull’azione revocatoria della scissione spetta al Tribunale Fallimentare
Con la sentenza 26 febbraio 2025, n. 26337, la Corte di Cassazione a Sezioni unite ha stabilito che, sebbene la competenza a conoscere dell’azione revocatoria nei confronti della scissione spetti in via generale alla sezione specializzata in materia d’impresa, qualora sia il curatore a promuovere l’azione (tanto fallimentare quanto ordinaria), la competenza spetta inderogabilmente al tribunale fallimentare, poiché si tratta di azione che deriva dal fallimento.
La competenza della sezione specializzata in materia d’impresa sull’azione revocatoria della scissione era già stata affermata da Cass., 5 febbraio 2020, n. 2754, alla quale non avevano aderito, però, né il Tribunale di Bologna con la sentenza nei cui confronti è stato proposto il regolamento di competenza dal quale trae origine la decisione in epigrafe, né l’ordinanza interlocutoria con cui la Sez. I aveva rimesso il procedimento al Primo Presidente (n. 24237/2023).
Benché la decisione sia riferita alla legge fallimentare, essa non è priva di interesse anche per il regime del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: da un lato, infatti, deve ritenersi che l’azione revocatoria promossa dal curatore rientri nelle controversie da decidere alla stregua del procedimento unitario di cui al titolo III del Codice, che spettano quindi alla sezione procedure concorsuali del tribunale in cui ha sede la sezione specializzata in materia d’impresa. Dall’altro lato, sembra rimanere valido il principio di diritto per cui, al di fuori del concorso, la competenza a conoscere della revocatoria è della sezione specializzata in materia d’impresa. Pertanto, l’azione revocatoria ordinaria nei confronti della scissione promossa da singoli creditori deve essere instaurata di fronte al tribunale territorialmente competente in cui ha sede tale sezione.
Con riferimento al merito della decisione, desta interesse che uno dei principali snodi dell’iter argomentativo (parr. 10-11) sia rappresentato dall’esplicita previsione (art. 3, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 168/2003) della competenza in capo alle sezioni specializzate per le azioni di responsabilità nei confronti degli organi societari «da chiunque promosse», ossia anche ai sensi dell’art. 2394 c.c. Secondo la Corte, infatti, siffatte controversie, ove non fossero esplicitamente menzionate, non rientrerebbero nella nozione di «rapporti societari» di cui al citato art. 3, comma 2, lett. a), intesi come rapporti che «tragg[ono] origine dal contratto di società» e attengono al«la società come organizzazione» (par. 6). La ratio dell’attribuzione alla sezione specializzata della competenza a conoscere tali controversie va ravvisata – in estrema sintesi – nel rilievo per cui, (anche) in queste ultime, il comportamento dedotto quale causa petendi del diritto azionato riveste una «caratterizzazione giuridica … corporativa», la quale giustifica che la controversia sia conosciuta dall’ufficio giudiziario dotato di apposite qualifiche in materia.
Pertanto, in maniera analoga a siffatto schema concettuale, pure nella domanda di revoca della scissione viene in rilievo, interno alla causa petendi, un «atto corporativo» (il negozio di scissione), il quale causa un pregiudizio – verrebbe da aggiungere: sociale – alla garanzia patrimoniale del creditore. Secondo la Corte, la conclusione è in linea con «la finalità perseguita dal legislatore, perché rimette al giudice specializzato l’apprezzamento dell’eventus damni, il quale … implica il delicato raffronto tra i valori patrimoniali attivi e passivi oggetto di trasferimento e programmati dal progetto di scissione» (par. 16).
Deve altresì segnalarsi che, nel prendere posizione circa la questione di cui sopra, la Corte afferma l’effetto traslativo della scissione: «è ben vero che, come osservato in dottrina, l’atto di scissione assume un preciso significato sul piano della riorganizzazione societaria, attuando la destinazione di risorse da un progetto imprenditoriale ad altro progetto imprenditoriale … È tuttavia incontestabile che quell’effetto venga conseguito attraverso un atto, l’assegnazione patrimoniale di cui all’art. 2506, comma 1, c.c., che integra un vero e proprio trasferimento» (par. 15). Sul punto, tuttavia, la decisione non elabora in realtà un’autonoma argomentazione, ma si limita a rinviare esplicitamente a un principio di diritto già espresso da Sez. un., 15 novembre 2016, n. 23225.
Per vero, nel valutare l’impatto di siffatte asserzioni sul diritto sostanziale, va tenuto presente che i percorsi argomentativi nell’ambito dei quali esse si collocano tenore prevalentemente processuale: nella sentenza in epigrafe, affermare il carattere traslativo della scissione è funzionale a mettere a fuoco le conseguenze che discendono dall’accoglimento dell’azione revocatoria per determinare, così, qual è il giudice che meglio si trova nella posizione per svolgere tale apprezzamento; in Sez. un., 15 novembre 2016, n. 23225, la natura traslativa è sostenuta – in via pregiudiziale rispetto alle questioni di merito – al mero fine di affermare la legittimazione della società scissa a seguito della scissione intervenuta lite pendente, per mezzo dell’art. 111 c.p.c.
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Imposta di successione e curatore dell’eredità giacente: continua la querelle tra contribuente e Agenzia delle Entrate
Nell’articolo pubblicato su questa rivista il 23 febbraio 2024, dal titolo “Nessuna imposta di successione a carico del curatore dell’eredità giacente”, si prendeva spunto da due sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia (Sentenza n. 1626/2023 del 15 febbraio 2023 e Sentenza n. 2867-1 del 27 settembre 2023), per esaminare alcuni profili controversi della disciplina tributaria/fiscale della curatela dell’eredità giacente, con particolare riguardo all’imposta di successione, giungendo alla conclusione della sua non debenza, pur riconoscendo al Curatore dell’eredità giacente l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione.
La Suprema Corte, sulla scia di una sua precedente sentenza (Cassaz. n. 16428 del 15 luglio 2009), è recentemente ritornata sul tema (Cassazione n. 27081 del 18 ottobre 2024), statuendo che “In tema di imposte ipotecarie e catastali correlate alla successione, il curatore dell’eredità giacente è obbligato alla presentazione della dichiarazione di successione e risponde del pagamento dei relativi tributi nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso, in conformità agli artt. 36 e 28 del D.Lgs. n. 346 del 1990 e all’art. 530 cod. civ.“.
La previsione di un obbligo “tout court” di versamento dell’imposta di successione in capo al Curatore dell’eredità giacente travisa, in realtà, quanto previsto dallo stesso Legislatore, sia in materia di capacità contributiva, con particolare riguardo all’imposta di successione, sia in materia civilistica, con riguardo all’istituto del possesso e ciò, per le seguenti ragioni:
- il Curatore dell’eredità giacente non ha il possesso dei beni ereditari in quanto svolge unicamente un’attività di amministrazione del patrimonio ereditario, sulla base dell’incarico ricevuto dal Tribunale e sotto il diretto controllo di quest’ultimo; e per l’effetto, non ha il possesso sui beni ereditari, non potendo disporne a piacimento come fosse il proprietario, potendosi se del caso ravvisare in capo al medesimo la mera detenzione dei beni;
- in vigenza della giacenza dell’eredità non si assiste ad alcun trasferimento di diritto sui beni amministrati alla curatela né quest’ultima può in alcun modo assurgersi al rango di erede;
- l’Art. 28 del T.U.S. elenca tra i soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione di successione i curatori dell’eredità giacente, mentre l’Art. 36 non ricomprende tra i soggetti tenuti al versamento dell’imposta di successione il Curatore, con la conseguenza che può ragionevolmente affermarsi che, se il Legislatore avesse inteso onerare i curatori anche di tale obbligo contributivo, l’avrebbe fatto espressamente con la conseguenza che, non essendovi possesso, vi è per il Curatore solo un obbligo dichiarativo.
La tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate e confermata dalla Suprema con le sopra citate sentenze, genera quindi, sul piano pratico, evidenti distorsioni, difficilmente conciliabili con la ratio stessa dell’istituto della curatela. Dall’esame dell’Art. 1 del T.U.S., secondo il quale l’imposta di successione è un prelievo che si applica “ai trasferimenti di beni e diritti per successione per causa di morte“, e dell’Art. 5 del T.U.S., secondo il quale l’imposta di successione è dovuta “dagli eredi e dai legatari“, può desumersi che secondo il Legislatore il presupposto del tributo altro non è che l’incremento patrimoniale conseguito dall’erede e/o dal legatario, che assolutamente manca nella curatela di eredità giacente, dove tra la data di apertura della successione e quella dell’effettiva trasmissione ereditaria, non si verifica nessun tipo di arricchimento dei chiamati né il trasferimento dell’eredità nella sfera giuridica/patrimoniale del Curatore.
Se con le due sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia (sentenza n. 1626/2023 del 15 febbraio 2023 e sentenza n. 2867-1 del 27 settembre 2023) vi era stato un passo avanti nella risoluzione dell’annosa questione della debenza/non debenza delle imposte in capo al curatore dell’eredità giacente, con la sentenza n. 27081 del 18 ottobre 2024 della Cassazione si ritorna un passo indietro, dal momento che tutto è nuovamente rimesso in discussione.
Il fattoL’Agenzia delle Entrate notifica a un curatore di un’eredità giacente, considerandolo coobbligato al pagamento del tributo gravante sulla medesima eredità, plurimi avvisi di liquidazione e cartelle di pagamento, riferiti a imposte di bollo, catastale, ipotecaria e registro inerenti una procedura di successione, per le quali il curatore presenta ricorso, che viene accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca con sentenza n. 355/2017.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone appello, che si conclude con la Sentenza n. 295/2019 depositata il 21 febbraio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Toscana respinge l’appello.
Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso il curatore dell’eredità giacente. Tale ricorso viene accolto dalla Suprema Corte.
Il controricorrente – afferma la Cassazione – è destinatario dell’atto impositivo nella sua qualità di curatore della eredità giacente.
In tema di imposte ipotecarie e catastali correlate alla successione, il curatore dell’eredità giacente, in quanto soggetto obbligato, ai sensi dell’art. 28, comma 2, e 31 del T.U.S., alla presentazione della dichiarazione di successione, è per conseguenza tenuto, ai sensi dell’art. 36, commi 3 e 4 del T.U.S., anche al pagamento del relativo tributo, seppur nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso.
Dispone l’art. 36 T.U.S. che sono soggetti obbligati al pagamento dell’imposta solo “1. Gli eredi sono obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta nell’ammontare complessivamente dovuto da loro e dai legatari. 2. Il coerede che ha accettato l’eredità col beneficio d’inventario è obbligato solidalmente al pagamento, a norma del comma 1, nel limite del valore della propria quota ereditaria.”; mentre ai sensi del comma 3 è previsto che: “3. Fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti. Si applica l’art. 58 del testo unico sull’imposta di registro approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131“.
Deduce la Suprema Corte che, atteso che il curatore dell’eredità giacente è tenuto a presentare la dichiarazione, lo stesso rientra tra i soggetti obbligati al pagamento dell’imposta, tant’è che in capo allo stesso è espressamente previsto l’onere di promuovere la necessaria autorizzazione (art. 530 cod. civ.) per il pagamento dei debiti ereditari, dei quali è nel possesso (per tale dovendosi intendere la relazione con i beni, che debbono formare oggetto di inventario, sicuramente a fini fiscali).
Secondo la Corte quanto sopra trova ulteriore conferma proprio nell’art. 36 T.U.S che, al comma 4, prevede la facoltà di promuovere la nomina di un curatore da parte del fisco: se il curatore non potesse assolvere al debito tributario non vi sarebbe invero ragione alcuna di prevedere una siffatta facoltà.
Alla luce di tutte le argomentazioni sopra esposte, la Cassazione (richiamata la sentenza n. 16428 del 15 luglio 2009 della stessa Suprema Corte) cassa la decisione impugnata e accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo, in conclusione, che il curatore dell’eredità giacente, in quanto soggetto obbligato, ai sensi dell’art. 28, comma 2, e 31 del T.U.S., alla presentazione della dichiarazione di successione, sia tenuto, ai sensi dell’art. 36, commi 3 e 4 del T.U.S., al pagamento del relativo tributo, nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso, sui quali solo cade la responsabilità patrimoniale.
L'articolo Imposta di successione e curatore dell’eredità giacente: continua la querelle tra contribuente e Agenzia delle Entrate sembra essere il primo su Federnotizie.