News Federnotizie
Ordinanza 377/2024 della Corte di Cassazione: una nuova ipotesi di libera commerciabilità degli alloggi PEEP
A cura di Gian Marco Antonelli La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 377 del 5 gennaio 2024, afferma la non soggezione degli alloggi cc. dd. PEEP in diritto di superficie al vincolo di prezzo massimo di cessione di cui all’art. 35 co. 8. Legge n. 865/1971, ove la convenzione non indichi i criteri per ...
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La rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare: cos’è cambiato dopo l’intervento delle Sezioni Unite
La rinuncia abdicativa al diritto di proprietà è stata nell’ultimo decennio un tema di particolare interesse, che ha più volte sollecitato l’attenzione del giurista, alimentando un vivace dibattito dottrinale. Già in auge qualche anno fa dopo il parere, reso dall’Avvocatura Generale dello Stato con nota prot. N. 137950 del 14 marzo 2018, con riguardo a ...
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Credito d’imposta prima casa: chiarimenti (e conferme) dall’Agenzia delle Entrate
Con la Risposta 238 del 10 settembre 2025 (.PDF), l’Agenzia delle Entrate si pronuncia sulla spettanza del credito di imposta prima casa e sulla relativa misura, anche a seguito della modifica normativa del termine per rivendere l’abitazione agevolata preposseduta. L’occasione di un breve commento alla Risposta in esame offre l’opportunità di segnalare al lettore – ...
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Le convenzioni in previsione della futura crisi coniugale
A cura di Gabriele Fanti 1. Introduzione Un grande risalto ha ricevuto nella stampa di settore l’ordinanza della Cassazione civile sez. I – 21/07/2025, n. 20415, con cui la Suprema Corte sembra aver ammesso definitivamente (ma è bene dirlo fin da subito: non è la prima volta) la legittimità e meritevolezza degli accordi di regolamentazione ...
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Onlus, estinzione di una specie (note operative)
A cura di Alessandro Balti e Giuseppe Gallizia 1. L’ESTINZIONE DELLE ONLUS – 1.1. Genesi delle Onlus – 1.2 Fine delle Onlus – 1.3 Cancellazione dall’anagrafe delle Onlus – 1.4 Devoluzione del patrimonio a seguito di cancellazione – 1.5 I trust Onlus – 2. INDICAZIONI OPERATIVE PER GLI ADEGUAMENTI – 2.1. Adeguamento statutario e migrazione ...
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L’esercizio della attività di noleggio auto con conducente mediante società
A cura di Paolo Guida e Marco Tanzillo La materia degli oggetti sociali può essere insidiosa, perché talvolta con essa interferiscono normative di diritto amministrativo della cui esistenza, per la loro portata settoriale e di spiccato dettaglio, il civilista potrebbe non avere contezza – e non di rado il difetto di conoscenza dovrebbe reputarsi addirittura ...
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Donazione indiretta tramite bonifico per l’acquisto di un immobile
Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda – 3. La decisione – 4. Liberalità indiretta realizzata mediante dazione di somma di denaro finalizzata all’acquisto di un immobile – 5. Conclusione
1. PremessaLa recente sentenza del tribunale di Catanzaro n. 1208 del 17 giugno 2025 esamina una fattispecie molto interessante per l’attività notarile: la messa a disposizione di una somma di denaro, per spirito di liberalità, finalizzata all’acquisto di un immobile intestato al beneficiario della liberalità. L’accennata procedura è frequentissima negli acquisti immobiliari da parte di giovani a favore dei quali gli ascendenti, qualche tempo prima della data fissata per l’atto notarile di acquisto dell’immobile, mettono a disposizione somme di denaro, non di modico valore, tramite bonifici bancari accreditati nel conto corrente del futuro acquirente dell’immobile.
La fattispecie esaminata dalla sentenza in esame riguarda l’aspetto patologico della vicenda, in cui il disponente, dopo avere effettuato bonifici bancari di rilevante valore, chiede giudizialmente la restituzione delle somme alla beneficiaria, come si dirà in seguito. La sentenza è interessante perché analizza gli elementi essenziali della fattispecie idonei a realizzare una liberalità indiretta valida, nonostante la dazione di somme di denaro di rilevante valore sia stata effettuata senza l’atto pubblico con la presenza dei testimoni.
2. La vicendaL’attore assumeva di avere conosciuto la convenuta per ragioni di lavoro e di averla incaricata di acquistare un’abitazione e precisava che, per l’acquisto dell’immobile, le aveva trasferito la somma complessiva di euro 280.000, mediante diversi bonifici bancari, tra dicembre 2022 e febbraio 2023, con causale “per acquisto casa”; chiedeva al tribunale di ordinare la restituzione della somma di euro 280.000 per l’inadempimento della convenuta al mandato conferitole o, in subordine, per la nullità della donazione della somma di denaro per difetto di forma. La convenuta replicava che la somma di euro 280.000 era stata corrisposta a titolo di donazione indiretta e quale liberalità al fine di acquistare l’immobile da intestare alla stessa e che l’acquisto era effettivamente avvenuto.
3. La decisioneIl tribunale, sulla base delle risultanze istruttorie, costituite principalmente da messaggi WhatsApp tra le parti, oltre a una testimonianza, ha accertato che l’attore aveva espresso nel dicembre 2022 la libera e consapevole volontà di acquistare un immobile da donare alla convenuta, insistendo affinché quest’ultima accettasse la sua proposta, senza porre condizione alcuna, autorizzandola anche a intestare il preliminare di vendita direttamente a se stessa e che l’acquisto dell’immobile risultava concretamente realizzato.
Il tribunale ha, quindi, accertato che l’attore aveva corrisposto alla convenuta la somma di euro 280.000 proprio al fine di consentire alla stessa di acquistare un’abitazione, per puro spirito di liberalità, e che era dimostrato il nesso strumentale e teleologico che legava la corresponsione del denaro con l’acquisto dell’immobile, confermato dalla perfetta coincidenza tra il prezzo del bene e la somma trasferita alla convenuta con diversi bonifici di ingente valore.
Il tribunale ha concluso che «l’intera operazione negoziale assume espliciti connotati identificativi di un negozio indiretto; si caratterizza, infatti, da un primo atto giuridico (corresponsione di denaro) e da un secondo negozio (compravendita), entrambi intrinsecamente collegati, dai quali si evince chiaramente – per le anzidette ragioni – lo spirito di liberalità sotteso all’approvvigionamento della somma necessaria a consentire alla convenuta l’acquisto dello specifico immobile».
La decisione è apprezzabile perché ricostruisce in maniera corretta la procedura di realizzazione della liberalità indiretta effettuata mediante la corresponsione di una somma di denaro non di modico valore finalizzata all’acquisto di un immobile, sulla base di un accordo solitamente verbale tra disponente e beneficiario. Si tratta di una fattispecie di liberalità indiretta analizzata dalla giurisprudenza[1] che va tenuta nettamente distinta sia dalla donazione diretta della somma di denaro necessaria all’acquisto dell’immobile, che richiede la forma dell’atto pubblico con la necessaria presenza dei testimoni (art. 782 c.c. e art. 48 legge n. 89/1913), sia dall’adempimento del terzo in cui il disponente estingue il debito del beneficiario della liberalità pagando tutto o parte del prezzo della compravendita direttamente al venditore, fattispecie nella quale manca un trasferimento diretto di denaro dal patrimonio del disponente al patrimonio del beneficiario.
4. Liberalità indiretta realizzata mediante dazione di somma di denaro finalizzata all’acquisto di un immobileLa fattispecie affrontata dalla sentenza in esame, che si pone al confine tra la donazione e la liberalità indiretta[2], consiste nella dazione, mediante bonifico bancario accreditato sul conto corrente intestato al beneficiario, di una somma di denaro di valore non modico, destinata, per intesa tra le parti, all’acquisto di un immobile da parte del beneficiario nei giorni successivi all’accreditamento della somma.
La fattispecie potrebbe essere inquadrata in una donazione di somma di denaro, di valore non modico, nulla per difetto della forma dell’atto pubblico notarile ricevuto alla presenza di due testimoni[3].
È possibile una diversa ricostruzione dell’operazione, più aderente all’effettiva volontà delle parti, valutando la dazione della somma di denaro come primo atto di un procedimento complesso con cui il disponente, per spirito di liberalità, intende consentire al beneficiario l’acquisto di un immobile con denaro fornito in tutto o in parte dal disponente. La somma versata sul conto corrente del beneficiario da parte del disponente è destinata all’acquisto dell’immobile; se non fosse impiegata per quello scopo, il disponente chiederebbe la restituzione della somma, non tanto per il difetto di forma della donazione ma per il mancato utilizzo della provvista per lo scopo a cui era destinata. Il procedimento posto in essere dalle parti si conclude con l’impiego della somma per l’acquisto dell’immobile e (solitamente) con la dichiarazione dell’acquirente che parte del prezzo è stata fornita dall’ascendente. È possibile dare una configurazione giuridica al procedimento in discorso, applicando la disciplina del mandato ad acquistare un immobile[4]: la dazione della somma di denaro dal disponente al beneficiario costituisce la somministrazione da parte del mandante dei mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (art. 1719 c.c.). Ne consegue la facoltà del mandante di richiedere la restituzione della somma fornita per l’esecuzione del mandato nel caso di mancato acquisto dell’immobile da parte del mandatario, senza necessità di far valere, in via giudiziale, la nullità della donazione per difetto di forma.
La circostanza che quell’accordo tra disponente e beneficiario sia verbale non è di ostacolo all’inquadramento dell’accordo nello schema del mandato. L’accordo disciplina l’impegno del beneficiario di procedere all’acquisto in nome proprio dell’immobile, utilizzando la provvista fornita dal disponente e non comporta alcun obbligo di trasferimento immobiliare dal beneficiario al disponente. Per il contratto di mandato non è prescritto alcun onere di forma; la forma scritta è richiesta, secondo la tesi più rigorosa[5], per l’assunzione dell’obbligo di trasferimento immobiliare eventualmente contenuto nel mandato, applicando per analogia l’art. 1351 c.c. sulla forma del contratto preliminare. La giurisprudenza più recente[6] ha escluso l’obbligo della forma scritta per il mandato ad acquistare senza rappresentanza, che non costituisce fonte di alcun atto di dismissione di un diritto di proprietà o altro diritto reale su bene immobile in capo al mandante ma determina l’insorgenza di un mero diritto del medesimo al compimento dell’attività gestoria da parte del mandatario. Nel rapporto interno tra le parti sorgono effetti solo obbligatori che non comportano quelle problematiche di responsabilizzazione del consenso o certezza dell’atto che sono alla base dell’onere di forma. La Cassazione, a sezioni unite[7] ha recentemente escluso la necessità della forma scritta per il patto fiduciario che comporta l’attività di gestione di un immobile da parte del fiduciario e l’obbligo di ritrasferimento successivo dell’immobile al fiduciante solvendi causa.
Di regola, il descritto procedimento di realizzazione della liberalità indiretta si conclude con la dichiarazione, all’interno dell’atto di acquisto immobiliare, da parte del beneficiario che la somma impiegata per l’acquisto è stata messa a sua disposizione, in tutto o in parte, dal disponente mediante bonifico bancario. La dichiarazione ha una funzione civilistica, nel senso di rendere evidente la liberalità indiretta realizzata dal disponente con il complesso procedimento che si è esaminato, ma anche fiscale per favorire la presa d’atto da parte del fisco della provenienza del denaro impiegato per l’acquisto ed evitare un eventuale accertamento di ipotetici redditi non dichiarati dall’acquirente dell’immobile negli anni precedenti l’acquisto immobiliare. È possibile anche l’intervento in atto del disponente che conferma la liberalità indiretta realizzata con il complesso procedimento: tale dichiarazione ha natura di confessione stragiudiziale fatta alla parte (art. 2735 c.c.) che ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale[8] e, nella fattispecie al vaglio, rende certa l’esistenza dell’animus donandi, la causale del trasferimento della somma al beneficiario (mandato ad acquistare bene immobile) e l’irripetibilità della somma bonificata per l’acquisto immobiliare[9].
In conclusione, la fattispecie in esame rappresenta una ipotesi di liberalità indiretta poiché l’arricchimento (definitivo e irrevocabile) del patrimonio del donatario, per spirito di liberalità, è realizzato dal donante con una procedura complessa caratterizzata dai seguenti elementi: i) bonifico bancario di valore rilevante dal disponente al beneficiario; ii) acquisto dell’immobile da parte del beneficiario con l’impiego della somma fornita dal disponente; iii) accordo solitamente verbale, ma essenziale e dimostrabile, comportante l’impegno del beneficiario di utilizzare il denaro fornito dal disponente per l’acquisto dell’immobile e rivelatore dello spirito di liberalità del disponente che intende favorire l’acquisto dell’immobile da parte del beneficiario.
Si tratta chiaramente di una liberalità realizzata con uno strumento diverso dalla donazione tipica delineata dall’art. 769 c.c.[10] – che prevede il trasferimento di un diritto dal patrimonio del donante a quello del donatario oppure l’assunzione di un’obbligazione del donante nei confronti del donatario – liberalità che rientra, invece, nel novero degli atti diversi dalla donazione, secondo la definizione contenuta nell’art. 809 c.c., che sono soggetti alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari ed a collazione, ai sensi dell’art. 737 c.c., che assoggetta a collazione tutto ciò che i figli e i loro discendenti ed il coniuge, che concorrono alla successione, “hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati”.
Questa nozione è stata accolta anche dalla giurisprudenza secondo la quale si ha liberalità indiretta quando l’intento di realizzare l’arricchimento del beneficiario è raggiunto attraverso l’utilizzazione strumentale di un negozio diverso da quello della donazione tipica di cui all’art. 769 c.c., che produce, in concomitanza con l’effetto che gli è proprio, l’effetto indiretto dell’arricchimento senza corrispettivo animo donandi del destinatario della liberalità[11].
5. ConclusioneLa fattispecie in esame conferma la correttezza della tesi dottrinale[12] che ricostruisce le liberalità indirette come due negozi tra loro collegati: il negozio prescelto dalle parti quale strumento per il raggiungimento del risultato ulteriore voluto (adempimento del terzo, mandato ad acquistare, vendita a prezzo vile, vendita a prezzo dilazionato, conferimento in società, ecc.) e il secondo negozio che racchiude la volontà delle parti di realizzare l’arricchimento per spirito di liberalità del beneficiario. Chi compie una liberalità indiretta non vuole realizzare il risultato tipico del negozio mezzo utilizzato ma il risultato ulteriore corrispondente alla liberalità; il negozio mezzo è solo una fase del più complesso procedimento.
L’amplissimo novero di possibili liberalità indirette, in continuo divenire, richiede nell’interprete, che si trovi ad esaminare uno o più atti che hanno come effetto l’arricchimento senza corrispettivo di una delle parti, la ricerca dell’effettiva connotazione causale, cioè della causa in concreto dell’operazione, valutando la sussistenza dello spirito di liberalità che costituisce elemento essenziale della liberalità indiretta[13].
Poiché le parti utilizzano uno strumento diverso dal contratto di donazione, è sufficiente il rispetto della forma prevista dalla legge per l’atto utilizzato mentre non è necessaria la forma dell’atto pubblico ricevuto in presenza dei testimoni; inoltre l’animus donandi non deve necessariamenterisultare dall’atto utilizzato, fermo restando la necessità della prova dell’animus donandi che garantisce la stabilità dell’attribuzione patrimoniale e quindi l’opportunità di far emergere la liberalità indiretta nell’atto notarile di acquisto dell’immobile.
La dazione della somma di denaro, che costituisce la provvista per il successivo acquisto dell’immobile, effettuata mediante bonifico bancario, non richiede, per la sua validità, la forma dell’atto pubblico ricevuto con la presenza di due testimoni, poiché non costituisce oggetto di una donazione di somma di denaro di valore non modico bensì la somministrazione da parte del mandante dei mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (art. 1719 c.c.). La dazione della somma di denaro non ha il fine di arricchire il patrimonio del beneficiario ma è finalizzata (e quindi condizionata) al successivo acquisto dell’immobile da parte del beneficiario, la cui mancata realizzazione comporta il diritto alla ripetizione della somma da parte del disponente. L’unica forma richiesta per la realizzazione del procedimento di liberalità indiretta attuata mediante la dazione della somma di denaro finalizzata al successivo acquisto dell’immobile è quella prescritta dalla legge per l’acquisto immobiliare: forma scritta per la validità dell’atto (art. 1350, comma 1, n. 1) c.c.), atto pubblico o scrittura privata autenticata per la trascrizione dell’atto (art. 2657 c.c.). L’accordo tra le parti, che può essere anche verbale, rivela lo spirito di liberalità e dispensa il mandatario dall’obbligo di ritrasferire l’immobile acquistato al mandante, cioè a colui che ha fornito la provvista per l’acquisto dell’immobile. Il riconoscimento, nell’atto di acquisto, da parte del beneficiario, della dazione della somma di denaro finalizzata all’acquisto immobiliare è opportuno per dimostrare la provenienza del denaro ed evitare possibili accertamenti di redditi non dichiarati da parte del fisco e per lasciare traccia della liberalità indiretta ai fini della corretta valutazione del patrimonio del donante nella sua successione mortis causa e degli istituti che collegano le liberalità fatte dal de cuius con la sua successione (riunione fittizia, imputazione ex se, collazione e riduzione)[14].
Note[1] Sul tema cfr. la fondamentale Cass, sezioni unite, 5 agosto 1992, n. 9282, in Giust. civ., 1992, I, 2991; in Foro it., 1993, I, 1544; in Vita not., 1993, 261; in Riv. not., 1993, 144; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 373 che ha qualificato il procedimento in questione come liberalità indiretta dell’immobile sostenendo che nel caso del denaro dato al precipuo scopo dell’acquisto immobiliare e, quindi, o pagato direttamente all’alienante dal genitore stesso, presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell’immobile, o pagato dal figlio dopo averlo ricevuto dal padre in esecuzione del complesso procedimento che il donante ha inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità, dove c’è un collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio, si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto. In senso conforme, Cass. 14 maggio 1997, n. 4231; Cass. 29 maggio 1998, n. 5310; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3642, in Notariato, 2004, 237; Cass. 2 settembre 2014, n. 18541, in Notariato, 2014, 637; Cass. 4 settembre 2015, n. 17604; Cass. 30 maggio 2017, n. 13619.
[2] Sul confine tra donazione tra donazione e liberalità indiretta cfr. Cass., sezioni unite, 27 luglio 2017, n. 18725, in Notariato, 2017, 569, con nota di Iaccarino; in Giur. it., 2018, 304, con nota di Cicero; in Giur. it., 2018, 1082, con nota di Pisani; in Contratti, 2018, 275, con nota di Bilardo la quale ha stabilito che il trasferimento, per spirito di liberalità, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione diretta tipica ad esecuzione indiretta. La stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore. Cass. 5 dicembre 2024, n. 31170, in Riv. not., 2025, 116, con nota di Torroni ha affermato che il trasferimento di dossier titoli da parte del beneficiante nei confronti di un beneficiario non configura una liberalità atipica, riconducibile alla disposizione di cui all’art. 809 c.c., quando l’entità degli importi, le modalità del trasferimento e la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppongono la stipulazione dell’atto pubblico di donazione, predisposto dall’ordinamento al fine di tutelare il donante e assicurarsi che abbia effettiva contezza del compimento di atti di disposizione del proprio patrimonio, onde evitare scelte affrettate e conseguenze potenzialmente pregiudizievoli, integrando una donazione diretta ad esecuzione indiretta, suscettibile come tale di impugnazione per mancanza del requisito formale dell’atto pubblico.
[3] Secondo Krogh, Tracciabilità delle movimentazioni finanziarie nel sistema delle donazioni e degli atti ricognitivi di liberalità, studio del CNN n. 107-2009/C, in Studi e Materiali, 2009, 1015 nel caso della precedente dazione di somma di denaro senza il rispetto dalla forma vincolata dell’atto pubblico ricevuto in presenza dei testimoni, l’atto di accertamento non sanerà la nullità conseguente al difetto di forma ma integrerà la fattispecie della donazione indiretta di cui all’art. 809 c.c. se alla ricognizione dell’avvenuta dazione della somma di denaro seguirà la rinuncia del donante alla restituzione della somma stessa, in modo che nel suo complesso potrà essere qualificata come donazione indiretta attuata mediante remissione di debito.
[4] Ragazzini, Sulla collazione dell’acquisto immobiliare effettuato dal discendente con denaro dell’ascendente, in Riv. not., 1990, 991 ss. inquadra la fattispecie nel mandato senza rappresentanza, conferito per l’acquisto immobiliare dall’ascendente al discendente, quest’ultimo esonerato dall’obbligo di ritrasferire l’immobile. Sull’utilizzo del contratto di mandato per realizzare liberalità indirette, cfr. Iaccarino, in Successioni e donazioni, diretto da Iaccarino, Torino, 2023, 3156 s.
[5] Cass. 24 gennaio 2003, n. 1137, in Giur. it., 2003, 1864; Cass. 30 agosto 1994, n. 7590, in Giur. it., 1995, 1029.
[6] Cass. 2 settembre 2013, n. 20051, in Contratti, 2014, 675 ss., con nota di Buda; in Corr. giur., 2013, 1504 ss., con nota di Mariconda; in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 675 ss., con nota di Palma; in dottrina si è affermato che la forma scritta ad substantiam è richiesta ex art. 1392 solo per la procura e non anche per il mandato, come negozio diretto a regolare i rapporti interni tra mandante e mandatario (Giorgianni, Sulla forma del mandato senza rappresentanza, in Studi in onore di Cicu, I, Milano, 1951, 417); Calvo, La proprietà del mandatario, in I contratti di destinazione patrimoniale, a cura di Calvo e Ciatti, 2014, 67 ss. sottolinea che il mandato ad acquistare non produce effetti traslativi automatici ed è quindi inidoneo a determinare ex se la circolazione di diritti immobiliari.
[7] Cass., sezioni unite, 6 marzo 2020, n. 6459, in Riv. not., 2020, 930, con nota di Torroni e Gasparinetti ha stabilito che per il patto fiduciario con oggetto immobiliare che s’innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario.
[8] È giudiziale la confessione resa in giudizio. Essa forma piena prova contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili (art. 2733, commi 1 e 2, c.c.).
[9] Sul negozio di accertamento delle liberalità indirette, cfr. Iaccarino, Liberalità indirette, Enunciazione dell’intento liberale quale metodologia operativa, Milanofiori Assago, 2011; Musto, La controdichiarazione testamentaria, Contributo di studio agli itinerari delle dichiarazioni ricognitive del testatore, Napoli, 2021; Trimarchi, Atti ricognitivi di liberalità non donative nella prassi notarile, in Liberalità non donative e prassi notarile, I quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Milano, 2008, 163; Torroni, L’accertamento negoziale di precedenti liberalità, in Riv. not., 2011, 437 ss.
[10] Per un approfondimento sulle origini storiche e sui caratteri del contratto di donazione si consenta di rinviare a Torroni, in Successioni e donazioni, diretto da Iaccarino, Torino, 2023, 2545 ss.
[11] Cass. 19 agosto 2021, n. 23127; Cass. 7 giugno 2006, n. 13337, in Notariato, 2006, 667; Cass. 7 dicembre 1989, n. 5410, in Giur. it., 1990, 1590.
[12] Torrente, La donazione, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, edizione aggiornata da Carnevali e Mora, Milano, 2006, 40 ss.; Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2023, 1777 s.; la ricostruzione è stata recepita in giurisprudenza da Trib. Torino 15 luglio 2004, in Foro pad., 2006, I, 677 che ha affermato «la differenza tra donazioni dirette e donazioni indirette non consiste nella diversità dell’effetto pratico che da esse deriva, quanto piuttosto nel mezzo con il quale viene attuato il fine di liberalità: questo per le prime è il contratto di donazione, per le seconde un atto che pur essendo rivolto, secondo lo scopo pratico delle parti ad attuare il medesimo fine, lo realizza obliterando la causa tipica del negozio; nelle seconde l’elargizione di una liberalità viene attuata, anziché con il negozio tipico dell’art. 769, mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio e in collegamento con altro negozio, l’arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità stessa. La donazione indiretta costituisce un’ipotesi di collegamento negoziale, trattandosi non di un unico negozio, seppure con clausola speciale, bensì di due negozi diversi tra loro collegati, l’uno (c.d negozio mezzo) prescelto dalle parti quale strumento per vincolare le stesse al raggiungimento di un ulteriore risultato, e produttivo degli effetti normali, l’altro (c.d. negozio fine) accessorio ed integrativo intimamente connesso al primo produttivo degli effetti voluti dalle parti».
[13] Fusaro, In tema di liberalità non donative: ricognizione della casistica ed analisi della prassi, in Obbl. contratti, 2012, 864 ss.; Arceri, La donazione indiretta nella casistica giurisprudenziale, in Fam. dir., 2023, 73 ss.
[14] Sui rapporti tra donazione e divisione, cfr. Torroni, in Successioni e donazioni, diretto da Iaccarino, Torino, 2023, 2594 ss.
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“Fiscalizzazione” degli abusi edilizi, tolleranze esecutive e regolare circolazione degli immobili
Relazione svolta al convegno organizzato da Federnotai dal titolo La conformità edilizia nelle vendite immobiliari e lo status giuridico delle proprietà. Garanzie del venditore e responsabilità del notaio fra norme di legge e disciplina contrattuale, tenutosi a Bologna il 23 maggio 2025.
1. Categorie rilevanti per l’apparato sanzionatorio del testo unico dell’ediliziaIl regime della c.d. fiscalizzazione degli abusi edilizi è previsto dagli artt. 33, 34 e 37 del testo unico dell’edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (di seguito TUE)[1]. Tali disposizioni si ritrovano nel Capo II del Titolo IV del TUE, titolo dedicato alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia e alle sanzioni; in particolare, il Capo II è specificamente dedicato alle sanzioni e rappresenta la parte del TUE che i notai frequentiamo maggiormente, poiché comprende gli artt. 30 e 46, che prevedono note fattispecie di nullità degli atti di trasferimento di beni immobili.
Peraltro, prima di analizzare le citate disposizioni, occorre intendersi sul significato del sintagma “fiscalizzazione”, che è estraneo al linguaggio tecnico-giuridico e richiede pertanto qualche precisazione. In particolare, l’espressione si presta ad essere utilizzata:
- in un senso più lato, per riferirsi al pagamento di una sanzione pecuniaria a fronte di un abuso edilizio;
- in un senso più stretto, per intendere la “trasformazione” – o, se si preferisce, la “conversione” – della sanzione della demolizione, prevista in via generale per gli abusi edilizi, in una sanzione pecuniaria.
Nel primo senso, può parlarsi di fiscalizzazione anche con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 37 TUE (interventi “eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività”), laddove la demolizione non è neppure contemplata dalla legge come possibile sanzione.
Nel secondo senso, invece, la fiscalizzazione è regolata dagli artt. 33 e 34 TUE, ossia per i casi – da un lato – di interventi di ristrutturazione eseguiti “in assenza di permesso di costruire o in totale difformità” e – dall’altro lato – di interventi “eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”. In questi due casi, il meccanismo della fiscalizzazione si atteggia – almeno nell’intenzione del legislatore – alla stregua di una regola di chiusura del sistema sanzionatorio relativo ad alcune tipologie di abuso.
Il sistema sanzionatorio previsto dal TUE per gli abusi edilizi non è particolarmente articolato, essendo imperniato – da un lato – sulla demolizione/rimozione dell’intervento illegittimo e – dall’altro lato – sulla sanzione pecuniaria, variamente graduata a seconda del tipo di intervento sanzionato, oltre naturalmente all’eventuale responsabilità penale al ricorrere delle fattispecie di reato di cui all’art. 44 TUE.
Le categorie di interventi rilevanti, ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dal TUE, sono principalmente quattro:
- gli interventi di costruzione “eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”, cui sono dedicati gli artt. 31-32 TUE;
- gli interventi di ristrutturazione eseguiti “in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”, cui è dedicato l’art. 33 TUE;
- gli interventi “eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, cui è dedicato in via principale l’art. 34 TUE;
- gli interventi “eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività”, di cui all’art. 37 TUE (parliamo ovviamente di SCIA non alternativa al permesso di costruire).
Vi sono poi gli interventi “eseguiti in base a permesso annullato”, di cui all’art. 38 TUE, ma si tratta di una categoria assai peculiare, in quanto presuppone l’originaria conformità delle opere ad un titolo successivamente caducato, e per la quale è prevista una vera e propria efficacia sanante del pagamento della sanzione pecuniaria. Tralasciamo quindi, per ora, la peculiare ipotesi dell’art. 38 TUE.
2. Sanzioni e loro presupposti. Sulla possibilità di autodichiarare i presupposti della fiscalizzazione nei casi di cui all’art. 34 TUESotto il profilo sanzionatorio, le quattro fattispecie appena ricordate conoscono un trattamento differenziato:
- per le opere eseguite in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dallo stesso o con variazioni essenziali rispetto ad esso, sono previste la demolizione e il ripristino, a pena – in caso di inottemperanza alla relativa ingiunzione – dell’acquisizione gratuita dell’opera al Comune e di una sanzione pecuniaria, oltre alla responsabilità penale per il reato previsto dall’art. 44, comma 1, lett. b, TUE;
- per gli interventi di ristrutturazione in assenza di permesso o in totale difformità dallo stesso, sono previste la rimozione o, in alternativa, la sanzione pecuniaria, irrogata nel caso in cui, “sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”; oltre alla responsabilità penale per il reato ex art. 44, comma 1, lett. a, TUE;
- per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, è prevista la rimozione o, in alternativa, la sanzione pecuniaria, irrogata “[q]uando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”; rimane sempre ferma la responsabilità penale per il reato ex art. 44, comma 1, lett. a, TUE;
- per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA (non alternativa al permesso), è prevista soltanto l’irrogazione della sanzione pecuniaria in via principale e non subordinatamente all’ordine di demolizione, salvo casi particolari[2]; è inoltre esclusa ogni responsabilità penale.
Ne risulta un quadro in cui, agli estremi opposti, abbiamo:
- l’intervento in assenza di permesso di costruire o in totale difformità o con variazioni essenziali (art. 31 TUE), per cui la sanzione della demolizione non conosce alternative;
- l’intervento in assenza o in difformità dalla SCIA (art. 37 TUE), per cui non è prevista altra sanzione che quella pecuniaria.
Al centro del quadro, invece, abbiamo due ipotesi intermedie – la ristrutturazione abusiva (art. 33 TUE) e gli interventi in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34 TUE) – per le quali la sanzione pecuniaria è prevista come alternativa alla demolizione, ma con presupposti diversi:
- nel caso della ristrutturazione abusiva, essa è irrogata quando “il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”;
- nel caso degli interventi parzialmente difformi, la sanzione pecuniaria è irrogata “[q]uando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”.
La diversità di presupposti delle sanzioni pecuniarie discende dal diverso carattere delle violazioni:
- una, più radicale, consistente nello svolgimento di una ristrutturazione in mancanza di provvedimento autorizzativo, sicché l’intervento deve qualificarsi come interamente abusivo;
- una, meno grave, consistente nell’esecuzione di un intervento previo rilascio del permesso di costruire, ancorché in parziale difformità da esso, sicché l’intervento deve qualificarsi come parzialmente abusivo: in tal caso, l’abuso convive con una parte di intervento che invece è conforme al permesso di costruire e che, proprio in quanto coesistente con altra parte abusiva, non può essere pregiudicata dall’operare della sanzione nei confronti di quest’ultima.
Vi è poi l’ipotesi già ricordata di cui all’art. 37 TUE, ossia l’intervento realizzato in assenza o in difformità dalla SCIA, per il quale non si pone neppure il problema della rimessione in pristino, stante la più scarsa rilevanza delle opere abusivamente realizzate[3].
Nei due casi in cui la sanzione pecuniaria è alternativa a quella demolitoria, cioè nei due casi di fiscalizzazione in senso stretto, diversi sono i presupposti della “concedibilità” di tale sanzione (si ricordi infatti che la sanzione pecuniaria, nelle ipotesi di cui agli artt. 33 e 34 TUE, è sempre un posterius rispetto all’irrogazione in via principale della sanzione demolitoria). Infatti, mentre nel caso della ristrutturazione abusiva l’applicazione della sanzione pecuniaria è rimessa alle risultanze di un “motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, [attestante che] il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”, nel caso di interventi parzialmente difformi la sanzione pecuniaria è prevista per il semplice caso in cui “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”.
Si tratta, in quest’ultimo caso, di una circostanza di fatto che certamente dev’essere legalmente accertata, ma non necessariamente – come nel caso, invece, della ristrutturazione abusiva – accertata da parte di un’autorità o, comunque, di soggetti terzi. Si tratta, dunque, di una circostanza che potrebbe forse essere attestata… dallo stesso autore dell’intervento parzialmente abusivo, quindi autodichiarata, nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa ai sensi dell’art. 47 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Quest’ultima disposizione, com’è noto, consente di presentare alla p.a. una dichiarazione – resa con l’osservanza delle modalità di cui all’art. 38 del medesimo D.P.R. – riguardante fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato e diversi dagli stati e qualità personali di cui all’art. 46 del medesimo D.P.R.: fatti tra i quali potrebbe farsi rientrare anche l’impossibilità di demolire la parte abusiva del fabbricato senza pregiudizio della parte conforme al titolo edilizio.
È dunque vero che – fatta eccezione per il caso di cui all’art. 37 TUE – la fiscalizzazione rappresenta un’eccezione rispetto alla sanzione demolitoria, che invece rappresenta la regola: la fiscalizzazione, per prendere in prestito un’espressione cara ai processualisti, costituisce un incidente all’interno di un procedimento sanzionatorio che ha già visto l’emanazione di un ordine di demolizione[4]. Tuttavia, se si arriva a sostenere che – quantomeno nel caso di cui all’art. 34 TUE – l’impossibilità della demolizione può essere fatta constare con una dichiarazione di parte, è altrettanto vero che la fiscalizzazione diventa uno strumento nella disponibilità dei privati per “regolarizzare”, in sostanza, un immobile parzialmente difforme dal titolo edilizio. E potrebbe addirittura ipotizzarsi che sia lo stesso autore dell’abuso a promuovere il procedimento sanzionatorio per poi accedere alla misura della fiscalizzazione mediante autodichiarazione del relativo presupposto, quantomeno nelle ipotesi di cui all’art. 34 TUE.
3. (Segue) In particolare, le sanzioni pecuniarieMette conto, a questo punto, di soffermarsi brevemente anche sull’entità economica delle sanzioni pecuniarie previste dagli artt. 33 e 34 TUE, che oltre ad essere diverse – come abbiamo appena visto – per quanto attiene all’accertamento dei relativi presupposti, lo sono anche per la loro misura.
Nel caso della ristrutturazione abusiva (art. 33 TUE), la sanzione è irrogata:
- per i fabbricati abitativi, in misura “pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 [legge sull’equo canone] e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all’applicazione della legge medesima, del parametro relativo all’ubicazione e con l’equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell’articolo 16 della medesima legge”;
- per i fabbricati non abitativi, in misura “pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile, determinato a cura dell’agenzia del territorio” (art. 33, comma 2, TUE).
Nel caso degli interventi parzialmente abusivi (art. 34 TUE), invece, la sanzione è irrogata:
- per i fabbricati abitativi, in misura “pari al triplo del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392 [legge sull’equo canone], della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire”;
- per i fabbricati non abitativi, in misura “pari al triplo del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio” (art. 34, comma 2, TUE).
Il sistema potrebbe apparire irrazionale, se si pensa che un intervento di ristrutturazione totalmente abusivo è punito con una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore del bene ristrutturato, mentre un intervento solo parzialmente abusivo è punito oggi[5] con una sanzione pari al triplo del costo o del valore (a seconda della natura del bene) della parte di opera abusiva. L’irrazionalità è però solo apparente, in quanto il sistema sanzionatorio appare conforme al principio di adeguatezza della sanzione: nell’ipotesi di cui all’art. 34 TUE, infatti, la parte di opera realizzata abusivamente potrebbe essere anche molto esigua e, quindi, la triplicazione del relativo valore ai fini sanzionatori risponde alla generale esigenza di irrogare una sanzione che realizzi, in concreto, una funzione di deterrenza.
A tale principio sembra ispirarsi anche l’art. 37 TUE, relativo agli interventi in assenza o in difformità dalla SCIA, per i quali è prevista – ricordiamolo: in via esclusiva – l’irrogazione della sanzione pecuniaria in misura “pari al triplo dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 1.032 euro”.
4. Sull’efficacia sanante della fiscalizzazioneIl discorso sin qui svolto in ordine ai presupposti delle sanzioni pecuniarie è propedeutico alla posizione della fondamentale domanda: esiste una portata sostanziale della fiscalizzazione degli abusi, tale da poterla accostare ad una sorta di sanatoria “a regime”, quantomeno quoad effectum? Si tratta di una domanda, cui parte della dottrina ha già risposto positivamente[6], che potrebbe suscitare un rinnovato interesse alla luce della conclusione, più sopra ventilata, che la sanzione demolitoria possa essere evitata, almeno nel caso di difformità parziali dal permesso di costruire, attraverso una semplice dichiarazione di parte, senza bisogno di un accertamento tecnico da parte della p.a.
L’esame della questione deve prendere le mosse dal richiamo a tre disposizioni del TUE:
- da un lato, l’art. 38, dedicato agli interventi eseguiti in base a permesso annullato, norma che abbiamo già evocato per distinguerla dalle ipotesi di fiscalizzazione di cui agli artt. 33, 34 e 37;
- dall’altro lato, gli artt. 36 e 36-bis, in tema di “[a]ccertamento di conformità nelle ipotesi di parziali difformità e di variazioni essenziali”.
L’art. 38 TUE prevede che, in caso di annullamento del permesso di costruire in base al quale sono state eseguite opere edilizie, qualora non siano possibili né la sanatoria del titolo né la rimessione in pristino, venga irrogata “una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale”. Al pagamento di tale sanzione – ed è questo, ai nostri fini, il vero elemento d’interesse della disposizione in esame – è ricollegata una vera e propria efficacia sanante: infatti, “[l]’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36”.
Si tratta di una previsione che rappresenta un unicum all’interno del TUE, nella misura in cui riconosce efficacia di sanatoria al pagamento di una sanzione pecuniaria: in tutte le altre ipotesi di sanzioni pecuniarie, previste dagli artt. 33, 34 e 37 TUE, manca una previsione analoga a quella, appena citata, dell’art. 38, comma 2, TUE. L’eventuale riconoscimento di un’efficacia sanante al pagamento delle sanzioni di cui agli artt. 33, 34 e 37 TUE non può quindi argomentarsi a partire dal dato normativo, che anzi suggerisce l’impiego dell’argomento a contrario[7], in base al quale, ove il legislatore non ha riconosciuto efficacia sanante al pagamento della sanzione pecuniaria, come ha fatto invece all’art. 38 TUE, tale riconoscimento deve intendersi escluso.
Tuttavia, qualche elemento interpretativo di segno diverso può ricavarsi dal sistema degli artt. 36 e 36-bis TUE, a norma dei quali, in caso di interventi ex artt. 33, 34 e 37 TUE (ossia – lo ricordiamo – ristrutturazioni abusive, interventi in parziale difformità dal permesso di costruire, o in assenza o difformità dalla SCIA), il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono ottenere il permesso di costruire in sanatoria o presentare una SCIA in sanatoria. Tale facoltà è concessa purché si sia in presenza di una doppia conformità: l’intervento deve cioè risultare “conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, nonché ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione”. Ma soprattutto, per quanto qui interessa, tale facoltà è concessa fino alla scadenza del termine per la demolizione o “fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”: irrogate, cioè, le sanzioni amministrative, la legge preclude il ricorso ai titoli in sanatoria.
Gli artt. 36 e 36-bis TUB, a ben vedere, sembrano configurare un’alternativa tra l’ottenimento di un titolo in sanatoria e l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie di cui agli artt. 33, 34 e 37 TUE, al punto che la richiesta del titolo in sanatoria deve necessariamente farsi prima di tale irrogazione, dopodiché rimane preclusa. Ma come spiegare tale alternatività, se non in base a una sorta di equipollenza sostanziale tra sanzione pecuniaria e titolo in sanatoria?
Lasciamo però da parte questo spunto interpretativo, evocato solo al fine di far constare un certo contrasto tra i dati normativi (l’art. 38 TUE da un lato, gli artt. 36 e 36-bis TUE dall’altro) e, dunque, la non decisività degli stessi per rispondere alla domanda iniziale, se la fiscalizzazione degli abusi abbia un’efficacia sanante dal punto di vista edilizio, o se, pagata la sanzione, l’immobile permanga abusivo. Da parte sua, la giurisprudenza appare attraversata da un netto contrasto circa gli effetti derivanti dal pagamento della sanzione pecuniaria:
- secondo un consistente orientamento[8], la differenza sostanziale tra le varie ipotesi di “monetizzazione” degli abusi andrebbe ravvisata proprio negli effetti della stessa sulla regolarità dell’opera, che è sanata per espressa previsione di legge nel caso dell’art. 38 TUE, e solo “tollerata” negli altri casi[9];
- secondo un orientamento minoritario, invece, il pagamento della sanzione produrrebbe effetti analoghi all’ottenimento del titolo in sanatoria[10].
Tale contrasto sembra perdurare anche a seguito del d.l. 29 maggio 2024, n. 69 (c.d. decreto salva casa). Infatti, da un esame della prima giurisprudenza sulla nuova nozione di stato legittimo in relazione alla fiscalizzazione, emerge come alcuni tribunali siano rimasti ancorati al dato testuale dell’art. 38 TUE e, quindi, alla differenziazione dell’ipotesi ivi prevista rispetto alle altre ipotesi di fiscalizzazione[11].
Il d.l. 69/2024, tuttavia, intervenendo sul testo dell’art. 9-bis, comma 1-bis, TUE in materia di stato legittimo dell’immobile, ha oggettivamente mutato il contesto normativo, attribuendo un ruolo nuovo alla fiscalizzazione degli abusi, la quale ora concorre alla dimostrazione dello stato legittimo[12]. Ciò significa che le difformità oggetto di fiscalizzazione (o rientranti nella disciplina sulle tolleranze, di cui diremo a breve) possono considerarsi “regolarizzate”, ai fini della dimostrazione dello stato legittimo, attraverso la prova del pagamento della sanzione (o la dichiarazione del tecnico).
Tuttavia, il mero pagamento delle sanzioni, non costituendo un titolo abilitativo, non potrà essere evocato per dimostrare, a monte, la legittimità dei titoli pregressi, secondo quanto previsto dal meccanismo di semplificazione formale di cui all’art. 9-bis, comma 1-bis, primo periodo, TUE[13]. Ai fini della dimostrazione dello stato legittimo, i pagamenti potranno quindi soltanto affiancare, in funzione integrativa, il titolo originario ovvero l’ultimo titolo, che sono i soli da cui può essere avviata la dimostrazione dello stato legittimo. In altre parole, gli obiettivi di semplificazione formale previsti dall’art. 9-bis TUE non possono essere automaticamente associati al pagamento delle sanzioni di cui agli artt. 33, 34 e 37 TUE, fatta eccezione per il caso del pagamento della sanzione ex art. 38 TUE, che produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria.
In questo contesto, peraltro, occorre considerare che lo stato legittimo dell’immobile si riverbera anche sulla situazione giuridica del proprietario pro tempore del bene che ha formato oggetto dell’intervento abusivo e, in particolare, sulle obbligazioni che possono nascere in capo a lui. Si tratta di un profilo che non può certo essere ignorato dallo stesso notaio, il quale, oltre a considerare – sotto il profilo oggettivo – il regime edilizio dell’immobile, deve anche considerare – sotto il profilo soggettivo – i rischi e le conseguenze cui può andare incontro colui che quell’immobile acquista.
Giova ricordare, a questo proposito, che l’art. 29 TUE non indica, tra i responsabili dell’abuso, il proprietario del bene o i titolari di altri diritti reali sul medesimo. Tuttavia, è pur sempre evidente che la sanzione demolitoria dispiegherà pur sempre i propri effetti a carico di costoro, secondo il noto principio (logico prima che giuridico) res perit domino. Ciò in quanto la misura repressiva che consegue all’accertamento del carattere illegittimo di un manufatto, realizzato senza titolo o in difformità dal titolo, ha carattere reale in quanto è volta non già a sanzionare il comportamento, ma principalmente a ripristinare l’ordine materiale (prima ancora che giuridico) alterato a mezzo della sopravvenienza oggettiva del manufatto privo di un giusto titolo[14]. In altri termini, siccome non si tratta di punire una condotta, bensì di adottare una misura di ricomposizione dell’ordine urbanistico che ha di mira l’eliminazione degli effetti materiali della sua illecita alterazione, la conseguenza demolitoria è opponibile anche a soggetti estranei all’attuazione del comportamento illecito[15].
Il proprietario, quindi, può essere sottoposto al procedimento repressivo dell’abuso anche senza che si sia configurato alcun suo coinvolgimento nei fatti, solo in qualità di soggetto che ha una relazione diretta col bene, per il principio di inerenza passiva della sanzione al bene stesso. Sul piano dei principi, infatti, scopo del controllo pubblico – rectius, della “[v]igilanza sull’attività urbanistico-edilizia”, per citare la rubrica dell’art. 27 TUE – è la verifica di conformità del progetto alla disciplina territoriale di riferimento: attività pubblicistica che è destinata ad incidere, per poter essere effettiva, sulla stessa conformazione del diritto di proprietà.
Ricordiamo, inoltre, che il proprietario, oltre ad essere soggetto alle misure repressive, è tenuto a fornire la prova dello stato legittimo ogniqualvolta intenda eseguire nuovi interventi sull’immobile. Lo stato legittimo è una condizione necessaria per avviare qualsiasi intervento sull’immobile che, in assenza di legittimità, comporterebbe la ripresa dell’attività illegittima, integrante un nuovo abuso edilizio.
Dalla corretta considerazione di questi elementi discende una conseguenza assai rilevante dal punto di vista pratico: che, seppur non si possa riconoscere efficacia sanante alla fiscalizzazione degli abusi, il pagamento della sanzione pecuniaria è comunque idoneo:
- da un lato, a inibire la potestà repressiva dello Stato e, in particolare, il potere di ottenere la demolizione o comunque la rimessione in pristino dell’immobile;
- dall’altro lato, a corroborare una verifica positiva dello stato legittimo dell’immobile ai fini del rilascio di un nuovo titolo edilizio, ferma restando la necessità di un titolo precedente[16].
Dalla fiscalizzazione discendono quindi due effetti – l’immunità dalla sanzione demolitoria e la legittimità dell’immobile – sono tipici della sanatoria, la cui produzione rende pressoché irrilevante – nella maggior parte dei casi e sempre sotto il profilo pratico – il problema se l’immobile permanga abusivo a seguito della fiscalizzazione dell’abuso. Di talché la questione della regolarità dell’immobile “fiscalizzato” assumerà, in molti casi, un carattere quasi metafisico e una funzione eminentemente qualificatoria, una volta disinnescati per il proprietario i profili di rischio normalmente connessi all’abusivismo edilizio. Al punto che si potrebbe quasi parlare, in relazione alla fiscalizzazione, di “sanatoria minore” o anche – con licenza – di sanatoria “cheap”, poiché consente di affrancare l’immobile dalle sanzioni reali e di corroborarne lo stato legittimo senza dover sopportare gli oneri – ulteriori rispetto alle sanzioni – previsti dagli artt. 36 e 36-bis TUE per l’ottenimento del titolo in sanatoria.
Dal punto di vista pratico, sarà sicuramente opportuno dare conto, negli atti di trasferimento immobiliare, dell’avvenuta fiscalizzazione, benché non vi sia alcun obbligo di farlo[17]: l’art. 46 TUE, infatti, impone soltanto la dichiarazione negli atti traslativi degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, mentre, per quanto riguarda il pagamento delle sanzioni pecuniarie, soltanto quella ex art. 38 TUE è contemplata dall’art. 46, comma 2, TUE, che impone altresì di allegare all’atto “la prova dell’integrale pagamento” della stessa. Si tratterà, quindi, di un’indicazione facoltativa, rientrante nel più ampio novero delle clausole praeter legem in materia edilizia, tra cui possono menzionarsi, ad es., quelle dichiarative di irregolarità da sanare ancorché non ostative della commerciabilità dell’immobile: menzioni che discendono direttamente dal dovere di buona fede in contrahendo (art. 1337 cod. civ.), che impone all’alienante di rendere edotto l’acquirente circa l’irregolarità dell’immobile negoziato, e che – almeno a far tempo dal 2019[18] – non possono più rappresentare un tabù per la classe notarile.
5. Tolleranze costruttiveIl riferimento, fatto più sopra, al d.l. 69/2024 suggerisce di accennare in chiusura a un tema nuovo, strettamente collegato a quello della fiscalizzazione e, in particolare, alla fattispecie degli interventi parzialmente difformi dal titolo, di cui all’art. 34 TUE. Proprio con riferimento a tale fattispecie, infatti, bisogna oggi ricordare che non qualsiasi difformità rispetto al titolo edilizio comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 34 TUE, poiché il successivo art. 34-bis prevede una serie di tolleranze costruttive (così la rubrica della disposizione), ossia delle soglie di rilevanza dell’abuso ai fini sanzionatori, al disotto delle quali l’abuso è considerato irrilevante in quanto, appunto, tollerabile[19].
L’art. 34-bis del TUE, introdotto nel 2020 al dichiarato scopo “di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini” (così l’incipit dell’art. 1, comma 1, d.l. 16 luglio 2020, n. 76), è stato riscritto e notevolmente ampliato dal d.l. 69/2024. Esso prevede, in via generale, un limite di tolleranza del 2% rispetto alle previsioni del titolo abilitativo (in merito all’altezza, ai distacchi, alla cubatura, alla superficie coperta e ad “ogni altro parametro delle singole unità immobiliari”): entro questo limite di tolleranza, il mancato rispetto del titolo autorizzativo “non costituisce violazione edilizia” (così il comma 1 della disposizione)[20]. Accanto a questo generale limite di tolleranza, l’art. 34-bis TUE prevede[21] che “costituiscono […] tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile” (comma 2).
Queste recenti disposizioni realizzano una sorta di condono gratuito di alcune difformità realizzate entro il 24 maggio 2024 (commi 1-bis, 1-ter e 2-bis) e, a regime, delle lievi difformità individuate ai commi 1 e 2. Infatti, il comma 3 dell’art. 34-bis stabilisce che le predette “tolleranze esecutive […], non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti [!] aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali”.
Si tratta di una norma intimamente contraddittoria, perché da un lato considera regolari le difformità rientranti nelle soglie di tolleranza; dall’altro lato, non le considera comunque irrilevanti, al punto di imporne la dichiarazione da parte di un tecnico abilitato. Ciò che potrebbe anche avere un senso, guardando all’esigenza di rendere documentalmente chiara e trasparente la storia dell’immobile mediante, appunto, la dichiarazione che le discrasie tra il titolo edilizio e lo stato di fatto sono tollerabili e quindi regolari, così da evitare che debba intervenire un nuovo accertamento di regolarità in relazione a un intervento già realizzato.
Senonché, questa dichiarazione viene fatta assurgere dalla legge a onere formale: un onere di cui, però, non sono ben chiari la portata normativa e, in definitiva, la stessa ratio. Infatti, non si comprende se, nel richiedere l’allegazione della dichiarazione asseverata, il legislatore abbia inteso imporre un requisito formale di validità di tali atti, alla stregua degli oneri di allegazione e dichiarazione (ben noti alla classe notarile) di cui agli artt. 30 e 46 TUE; ovvero un semplice onere di carattere informativo, a fini di mera completezza documentale, il cui mancato adempimento non ha ricadute sul regime di validità o di efficacia degli atti traslativi o di divisione.
Tra le due opzioni interpretative, quest’ultima è ovviamente da privilegiare. Non possiamo ritenere, infatti, che il legislatore abbia inteso invalidare gli atti traslativi cui non sia allegata la dichiarazione circa la tollerabilità degli interventi difformi. E ciò per diverse ragioni:
- anzitutto, per la mancanza di un’espressa comminatoria di nullità, cui il legislatore del TUE ricorre in altre norme come, appunto, i ricordati artt. 30 e 46, ove prevede altresì la possibilità di “integrare” gli atti per cui il requisito di forma-contenuto non sia stato, inopinatamente, rispettato;
- secondariamente, e soprattutto, perché l’invalidità apparirebbe, in questa ipotesi, manifestamente irrazionale in quanto sproporzionata all’interesse tutelato dall’art. 34-bis TUE, che non è certo quello di colpire fenomeni di abusivismo edilizio (come nel caso dei ricordati artt. 30 e 46), bensì – molto più semplicemente – quello di rendere completa e trasparente la “storia documentale” di un immobile bensì regolare, ma comunque lievemente difforme rispetto al titolo edilizio;
- in terzo luogo, perché l’obbligatoria allegazione verrebbe a fondare un surrettizio obbligo di garanzia in capo all’alienante della regolarità edilizia dell’immobile trasferito: un obbligo che non è imposto dalla legge in via generale e che sarebbe assurdo imporre con riferimento alle minime difformità di cui all’art. 34-bis TUE.
Nessuna conseguenza sul piano della validità e dell’efficacia dell’atto di trasferimento può quindi farsi discendere dalla mancata allegazione della dichiarazione del tecnico in merito alle tolleranze esecutive[22]. Non bisogna dimenticare, però, che tale dichiarazione concorre, al pari del pagamento delle sanzioni pecuniarie, alla determinazione dello stato legittimo dell’immobile, secondo quanto è oggi previsto dall’art. 9-bis, comma 1-bis, TUE.
Né bisogna dimenticare, infine, l’interessante previsione contenuta nell’art. 34-ter TUE, introdotto anch’esso dal d.l. 69/2024. Tale disposizione, che contiene soprattutto le “istruzioni” per sanare le varianti abusive ante legge Bucalossi, stabilisce al comma 4 che vanno soggette alla disciplina delle tolleranze costruttive, di cui all’art. 34-bis TUE, anche le parziali difformità, realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo edilizio, per le quali non siano mai stati adottati provvedimenti sanzionatori e in presenza delle quali sia intervenuta l’abitabilità o l’agibilità con provvedimento non annullabile d’ufficio. Si tratta di difformità “latenti”, di fronte alle quali la p.a. non ha mai reagito e che sono state addirittura “superate” – almeno dal punto di vista storico – dal rilascio dell’agibilità.
Ebbene, anche per queste difformità, seppur eccedenti le soglie di tolleranza di cui all’art. 34-bis TUE, il legislatore ha fatto – per così dire – un’eccezione all’art. 34 TUE e ne ha previsto la sanatoria automatica secondo la norma sulle tolleranze esecutive. Si tratta, a mio parere, di un’operazione di pulizia doverosa, anche alla luce del principio di affidamento del cittadino nei confronti della p.a., proclamato anche dalla Corte costituzionale a far tempo dagli anni 1980[23], affidamento che ben potrebbe dirsi leso nel caso in cui un procedimento sanzionatorio fosse intrapreso a seguito del rilascio di un provvedimento di agibilità non annullabile, espressione del corretto esercizio del potere amministrativo.
Note[1] In ambito notarile, il più importante contributo sul tema è costituito dallo studio n. 70-2023/P della Commissione Studi Pubblicistici del Consiglio Nazionale del Notariato a firma di Lomonaco, La c.d. procedura di fiscalizzazione dell’illecito edilizio come prevista negli articoli 34 e 38 del testo unico dell’edilizia, ora in Studi e materiali, 2024, 83 ss., studio peraltro anteriore al d.l. 29 maggio 2024, n. 69 (c.d. decreto salva casa), ma cui si fa comunque rinvio per i numerosi ed utili riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.
[2] Solo nel caso in cui le opere realizzate in assenza di SCIA consistano in interventi di restauro e risanamento conservativo “eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali”, l’autorità competente a vigilare sull’osservanza del vincolo “può ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile ed irroga una sanzione pecuniaria” (art. 37, comma 2, TUE). Inoltre, qualora tali interventi siano eseguiti su immobili, anche non vincolati, compresi in “agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale” (cfr. art. 2, lett. A, d.m. 2 aprile 1968), il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede al Ministero per i beni e le attività culturali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o l’irrogazione della sanzione pecuniaria.
[3] Si tratta di manutenzione straordinaria su parti strutturali, di restauro e risanamento conservativo su parti strutturali, di alcune ipotesi di ristrutturazione e di alcune varianti minori rispetto al permesso di costruire (ad es. quelle che non incidono sulle volumetrie, o quelle che non modificano la destinazione d’uso).
[4] La fiscalizzazione degli abusi assume anche nella giurisprudenza una funzione residuale e subordinata, al punto che non compete all’amministrazione procedente di valutare, d’ufficio, prima dell’emissione dell’ordine di demolizione, se la misura possa essere applicata. Al contrario, tale valutazione va fatta nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e presuppone l’impossibilità (generica per l’art. 33 TUE e qualificata per l’art. 34 TUE) di ottemperare all’ordine stesso mediante il ripristino della situazione preesistente: cfr. ex multae TAR Liguria, 19 agosto 2019, n. 589; TAR Campania – Napoli, 7 novembre 2023, n. 6089.
[5] A far tempo dal 2024, poiché si tratta di un regime modificato ad opera del d.l. 29 maggio 2024, n. 69 (c.d. decreto salva casa).
[6] V. Rizzi, La circolazione immobiliare. Profili pubblicistici e nuove figure negoziali3, Wolters Kluwer, 2025, 177 ss. Contra, Rezzonico-Rezzonico, Trasferimenti immobiliari e normative edilizie. Il ruolo del notaio, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 266. Per ulteriori riferimenti v. Lomonaco, La c.d. procedura, cit., 88 ss.
[7] Si tratta di un argomento interpretativo di segno contrario rispetto all’interpretazione estensiva (e all’applicazione analogica della legge), il quale mira a costruire una regola di segno contrario a quella espressa dal legislatore in una determinata fattispecie analoga ad altra non espressamente disciplinata. Si tratta, in sostanza, dell’argomento ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit.
[8] Ripercorso da Cons. Stato, 15 novembre 2023, n. 9799.
[9] Cfr. Cons. Stato, 30 giugno 1984, n. 418.
[10] Cfr. TAR Emilia-Romagna – Bologna, 11 marzo 2015, n. 250.
[11] Cfr. Cons. Stato, 27 giugno 2024, n. 5666.
[12] “Alla determinazione dello stato legittimo dell’immobile […] concorrono, altresì, il pagamento delle sanzioni previste dagli articoli 33, 34, 37, commi 1, 3, 5 e 6, e 38, e la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis”. Cfr., in giurisprudenza, TAR Campania – Salerno, 16 gennaio 2025, n. 91.
[13] “Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
[14] Cfr. Cons. Stato, 15 aprile 2015, n. 1927.
[15] Cfr. TAR Puglia – Lecce, 20 giugno 2016, n. 995; TAR Calabria – Reggio Calabria, 20 gennaio 2017, n. 47.
[16] Evidenzia Rizzi, La circolazione3, cit., 77, che “il pagamento delle sanzioni e le dichiarazioni asseverate […] potranno solo ‘concorrere’ a determinare lo stato legittimo del fabbricato ma non a ‘dimostrare’, a monte, lo stato legittimo del fabbricato, necessitando, a tal fine, il riferimento al titolo edilizio originario o all’ultimo titolo che ha interessato l’intero immobile”.
[17] Conforme Rizzi, La circolazione3, cit., 180 s.
[18] Il riferimento è a Cass., SS.UU., 22 marzo 2019, n. 8230.
[19] V. ora Rizzi, La circolazione3, cit., 69 ss., nonché lo studio n. 62-2025/P della Commissione Studi Pubblicistici del Consiglio Nazionale del Notariato a firma di Trapani, Le tolleranze costruttive ed esecutive dopo il cd. Decreto salva casa.
[20] Limiti di tolleranza maggiori, sempre espressi in percentuale, sono previsti in via transitoria dal comma 1-bis per gli interventi realizzati fino al 24 maggio 2024.
[21] Anche in tal caso con una maggiore larghezza per gli interventi realizzati fino a un anno fa (comma 2-bis).
[22] In senso conforme, Trapani, Le tolleranze, cit., 17, secondo cui “la presenza della relazione allegata al titolo […] esclude la possibilità di azionare strumenti rimediali, quali la risoluzione o l’azione quanti minoris, in via esemplificativa; va, invece, rilevato che, senz’altro, le eventuali ipotesi di nullità fuoriescono dal perimetro normativo in questione”.
[23] Cfr. Travi, La tutela dell’affidamento del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. pubblico, 2018, 121 ss.
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