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Cos'è il Registro Anagrafe e Sicurezza dell'amministratore del condominio

News Notai.it - Mer, 04/24/2024 - 13:39

Il Registro di Anagrafe e Sicurezza (RAS) è un particolare documento obbligatorio necessario per la gestione del condominio e delle parti comuni.

La nuova proposta contro l'uso indiscriminato dell'Intelligenza Artificiale

News Notai.it - Mar, 04/23/2024 - 19:18

Negli Stati Uniti d'America sono iniziate le discussioni per cercare di arginare il fenomeno dell'uso indiscriminato dell'intelligenza artificiale generativa.

La multa per omessa dichiarazione dei dati del conducente

News Notai.it - Ven, 04/19/2024 - 13:16

Spesso a seguito di una multa per infrazione stradale, per distrazione, si omette di dichiarare i dati del conducente; se però si impugna la sanzione presupposta?

La via stretta per la servitù di parcheggio

News Federnotizie - Ven, 04/19/2024 - 08:30
Commento a Cass., Sezioni Unite, 13 febbraio 2024, n. 3925 (.PDF)

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. La tesi contraria alla costituzione della servitù di parcheggio – 4. La tesi favorevole alla costituzione della servitù di parcheggio – 5. Gli argomenti di Cass. 3925/2024 – 6. Il rapporto tra servitù di parcheggio e diritto d’uso in ambito condominiale – 7. Tecnica redazionale

1. Premessa

La Corte di cassazione, a sezioni unite, con la sentenza 13 febbraio 2024, n. 3925, è stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilità per i privati di costituire una servitù di parcheggio, intesa quale peso gravante il fondo servente che è tenuto a subire la facoltà del proprietario del fondo dominante, chiunque esso sia[1], di accedere al fondo servente e di parcheggiare l’auto, tendenzialmente in perpetuo.

Come si dirà in seguito, la servitù di parcheggio – pur essendo la servitù un diritto reale tipico a contenuto atipico[2]in quanto il legislatore ha dettato lo schema o la cornice, consentendo all’autonomia privata di riempirlo in maniera libera, mediante l’individuazione delle utilità a favore del fondo dominante e il corrispondente peso a carico del fondo servente, nel rispetto del perimetro delineato dal legislatore[3] – è un istituto molto travagliato perché risente di una rigida applicazione dello storico principio della assolutezza del diritto di proprietà, che porta a guardare con sospetto la costituzione di pesi imposti a carico della proprietà di natura reale ed a tempo indeterminato. Per questo motivo, per un certo periodo, la giurisprudenza ammetteva la concessione di un diritto personale di parcheggiare l’auto, non trasmissibile agli aventi causa del beneficiario, ma non la costituzione di una servitù perpetua. Si riteneva che la facoltà di parcheggiare l’auto su un’area altrui potesse costituire oggetto di un contratto di contenuto obbligatorio come la locazione o il comodato oppure oggetto di un diritto reale temporalmente limitato come l’usufrutto o l’uso, ma non di una servitù poiché l’autonomia privata avrebbe creato una servitù irregolare perpetua a favore delle persone titolari del fondo e non del fondo dominate[4].

2. Il caso

Con atto notarile del 2011 due venditori hanno costituito una servitù di parcheggio “a carico dei loro mappali 10 e 1083 del fol. 18 del Comune di S. e in favore dei mappali 436, 843 e 1803 alienati alla Arredo 3 Srl col medesimo atto”. Colui che ha successivamente acquisto il fondo servente dai costituenti la servitù ha proposto domanda di accertamento della nullità della servitù, respinta sia dal Tribunale sia dalla Corte d’appello con la seguente motivazione.

L’acquirente era a conoscenza dell’esistenza della servitù di parcheggio, riportata nell’atto di trasferimento; non si trattava di servitù irregolare perché dalla chiara lettera dell’atto costitutivo si ricava la predialità; era dimostrata l’utilità a favore del fondo dominante, consistente nella possibilità di fornire piazzali adeguati alla società titolare del fondo dominante, e quindi nel più comodo sfruttamento del fondo dominante a vocazione industriale; residuava una qualche utilità per il fondo servente, potendosi sfruttare il sottosuolo e potendosi comunque compiere le attività non incompatibili con il parcheggio; non difettava il requisito della localizzazione della servitù[5], essendo state individuate le particelle catastali interessate dalla servitù (tutta la superficie dei mappali 10 e 1803 del fol 18); sussistevano anche gli altri requisiti tipici della servitù (specificità, determinatezza e inseparabilità rispetto ai fondi dominante e servente).

3. La tesi contraria alla costituzione della servitù di parcheggio

Un orientamento più risalente della Cassazione ha ritenuto che il parcheggio di autovetture su di un’area può costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo ma non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, diritto caratterizzato dalla cosiddetta “realitas”, intesa come inerenza al fondo dominante della utilità così come al fondo servente del peso, mentre la mera “commoditas” di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari[6]. Questo orientamento aveva come corollario che venisse negata l’azione di reintegrazione nel possesso di una servitù di parcheggio ai condomini di uno stabile che lamentavano di essere stati spossessati di un’area condominiale utilizzata ai fini di parcheggio (nei confronti di chi avesse recintato l’area nella asserita qualità di proprietario)[7], sul presupposto che il parcheggio dell’auto non rientra nello schema del diritto di servitù, difettando la realità (inerenza al fondo dominante dell’utilità e al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari. In alcune circostanze la Cassazione ha affermato che semplice sosta di autovetture, senza la presenza di opere visibili e permanenti, impedisce l’acquisto per usucapione della servitù di parcheggio[8].

Si è affermato, inoltre, che il nostro sistema non ammetterebbe “servitù irregolari” di parcheggio poste a carico di un fondo ed a favore del proprietario del fondo vicino, con la conseguenza che siffatta convenzione negoziale va inquadrata nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato. Il diritto trasferito, stante la natura personale ed il carattere obbligatorio, non può ritenersi trasmissibile, in assenza di una ulteriore apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene “asservito”. La Cassazione ha, infine, affermato il principio della nullità del contratto costitutivo di servitù di parcheggio per impossibilità dell’oggetto[9].

4. La tesi favorevole alla costituzione della servitù di parcheggio

In prevalenza si ritiene che le facoltà di transitare e parcheggiare un’autovettura all’interno di un fondo altrui possono dare luogo sia ad un rapporto di natura reale (attraverso l’imposizione del relativo peso a carico sul fondo servente per l’utilità del fondo dominante, creando una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come qualitas fundi) sia ad un rapporto di natura obbligatoria con corrispondente diritto di parcheggiare a vantaggio e per la comodità della persona o delle persone specificamente indicate nell’atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria[10]. La facoltà di parcheggiare l’autovettura sul fondo servente è certamente idonea ad arrecare utilità al singolo ma, allo stesso tempo, anche un vantaggio per il fondo dominante rendendolo maggiormente utilizzabile. L’esempio classico è quello del fondo a destinazione abitativa che vede accrescere la sua utilità dal diritto di parcheggiare sul fondo vicino.

A partire dal 2017 si consolida un orientamento della Cassazione favorevole alla costituzione della servitù di parcheggio[11], a condizione che, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione[12]. La utilitas per il fondo dominante, ed il corrispondente peso per il fondo servente, possono avere contenuto assai vario, come dimostrato dall’art. 1028 c.c. secondo cui “l’utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo”.

È stata anche accolta la domanda proveniente dai condomini di un edificio di essere dichiarati titolari di un diritto di servitù, acquistato per usucapione, avente quale contenuto la facoltà di parcheggiare i propri autoveicoli in un adiacente terreno di proprietà di altro soggetto[13].

Posto che la tipicità della servitù è di carattere strutturale e non contenutistico, occorre verificare che in concreto sussistano tutti gli elementi richiesti dalla fattispecie astratta: appartenenza dei due fondi a soggetti diversi; immediatezza, nel senso che non è necessaria l’altrui collaborazione per l’esercizio della servitù; inerenza del peso al fondo servente e dell’utilità al fondo dominante[14], in modo che la relazione di asservimento configuri una qualitas fundi inseparabile da entrambi i fondi[15]; l’incremento di utilizzazione del fondo dominante deve poter essere conseguito da chiunque sia proprietario del fondo stesso e non può essere legato ad una attività personale del soggetto; l’utilizzo del fondo servente non può mai risultare del tutto inibito.

Poiché la servitù consiste nella conformazione del diritto di proprietà in modo divergente dallo statuto legale, essa non è compatibile con lo svuotamento delle facoltà del proprietario del fondo servente, al quale deve residuare la possibilità di utilizzare il fondo, pur con le restrizioni e le limitazioni che discendono dal vantaggio concesso al fondo dominante. Il proprietario del fondo dominante deve poter continuare a svolgere ogni e qualsiasi uso del fondo che non confligga con l’utilitas concessa. Diversamente si è fuori dallo schema tipico della servitù[16].

5. Gli argomenti di Cass. 3925/2024

Le sezioni unite con la sentenza che si commenta si pongono nel solco della giurisprudenza della Cassazione favorevole all’ammissibilità della servitù di parcheggio, a condizione che la conformazione concreta del diritto, effettuata nell’atto costitutivo della servitù, rispetti tutti i requisiti prescritti dalla fattispecie astratta.

Le sezioni unite richiamano, a favore dell’ammissibilità di dedurre il diritto di parcheggiare l’auto all’interno dello schema reale della servitù, la legislazione sui vincoli di parcheggio: con l’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 il legislatore ha introdotto l’art. 41-sexies della legge urbanistica che, prevedendo che nelle nuove costruzioni debbano essere riservati spazi a parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadro per ogni dieci metri di costruzione[17], ha condizionato l’edificabilità del fondo alla disponibilità del parcheggio. La giurisprudenza ha costantemente inquadrato il diritto sulle aree a parcheggio come diritto reale d’uso in favore dei condomini[18]. Ne consegue che, sul piano sistematico, diventa difficile negare che l’utilità del parcheggio è strettamente inerente (anche) al fondo e l’ammissibilità della costituzione di una servitù volontaria di parcheggio per difetto di inerenza al fondo, perché ciò comporterebbe una contraddizione in termini: il parcheggio non sarebbe utile al fondo nonostante ne condizioni addirittura l’edificabilità.

La tesi favorevole alla costituzione della servitù, oltre ad essere in linea con il sistema, esalta il fondamentale principio dell’autonomia negoziale e non vi è ragione di negare alle parti la possibilità di scegliere, nell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta dall’art. 1322 c.c., se perseguire risultati socio-economici analoghi, anche se non identici, mediante contratti ad effetti reali o mediante contratti ad effetti obbligatori.

La sentenza pone l’accento sul limite concesso all’autonomia privata nella costituzione della servitù di parcheggio: la servitù «non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso… nel suo nucleo fondamentale; insomma, la costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, pur se commisurata al contenuto e al tipo della servitù, non può, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente». Su questo aspetto fondamentale nella costituzione di una servitù di parcheggio è stato affermato in giurisprudenza che l’asservimento del fondo servente deve essere tale da non esaurire ogni risorsa ovvero ogni utilità che il fondo servente può dare e il proprietario deve poter continuare a fare ogni e qualsiasi uso del fondo che non confligga con l’utilitas concessa[19]. Il “peso” non può sostanziarsi in tutte le facoltà di godimento del fondo servente, fattispecie che porta a ravvisare la costituzione di un altro diritto reale, ad es. usufrutto o uso, necessariamente temporanei[20].

La sentenza in commento mette in evidenza la necessità di valutare due requisiti specifici richiesti per la valida costituzione della servitù di parcheggio: la specificità dell’utilità riservata (la servitù di parcheggio non potrà riguardare genericamente il godimento dell’area assegnata ma dovrà concretizzarsi nella sua specificità in quanto il proprietario del fondo dominante avrà diritto ad utilizzare l’area assegnata sul fondo servente al solo scopo di parcheggiare la propria autovettura); la localizzazione, intesa quale individuazione esatta del luogo di esercizio della servitù, non essendo concepibile una servitù di parcheggio che si estenda, a mera discrezione del titolare del fondo dominante, in qualsiasi momento e indistintamente su qualsiasi punto del fondo servente.

6. Il rapporto tra servitù di parcheggio e diritto d’uso in ambito condominiale

Una volta ammessa la servitù di parcheggio, pur con le precisazioni e le limitazioni indicate dalla Cassazione, risulta veramente sfumata la distinzione con alcune fattispecie di riconoscimento di un uso esclusivo in ambito condominiale[21].

Mi riferisco, ad esempio, a quei casi, in passato abbastanza frequenti nella prassi, in cui veniva riconosciuto dai condomini ai proprietari dei negozi il diritto di utilizzare più intensamente l’area condominiale prospicente il negozio per il parcheggio delle auto, durante l’orario di apertura del negozio. Nella fattispecie descritta ricorrono tutti i requisiti prescritti dalla giurisprudenza per la servitù di parcheggio, comprese la localizzazione della servitù e la facoltà per i condomini di utilizzare l’area per il parcheggio delle auto al di fuori dell’orario di apertura dei negozi.

A ben vedere, anche nelle altre ipotesi in cui il diritto d’uso sia stato concesso ai condomini su un’area condominiale, di regola, rimangono delle “facoltà residue” di utilizzo dell’area da parte dei condomini: i) facoltà di transito pedonale dei condomini attraverso i posti auto in uso esclusivo; ii) facoltà di manovrare con la propria auto nell’area comune per accedere al posto auto in uso esclusivo[22]; iii) passaggio tubazioni interrate nell’area comune che attraversa i posti auto in uso esclusivo; iv) beneficio per gli appartamenti affacciati sull’area comune di ricevere aria e luce ed esercitare la veduta in appiombo sull’area comune nella quale sono ubicati i posti auto in uso esclusivo[23].

Rimane, tuttavia, imprescindibile il principio espresso da Cass., sezioni unite, 17 dicembre 2020, n. 28972[24], e richiamato dalla sentenza in commento, che il diritto di uso esclusivo (ad esempio della porzione di area comune destinata a posto auto) non può impedire qualunque forma di utilizzo del bene comune da parte degli altri condomini e svuotare di contenuto il diritto di comproprietà degli altri condomini. Con l’ulteriore corollario che si creerebbe un diritto reale atipico dell’utilizzatore dell’area, senza alcun limite temporale, in contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali[25] e, soprattutto, con il principio in base al quale i limiti alla proprietà, diversi dai diritti reali tipici, creati dall’autonomia privata, non possono avere durata indeterminata e non sono opponibili ai terzi per il principio di relatività del contratto[26].

7. Tecnica redazionale

Per costituire validamente una servitù di parcheggio l’atto costitutivo deve rispettare i requisiti prescritti per la servitù dalla fattispecie astratta: appartenenza dei fondi dominante e servente a due soggetti diversi; inerenza del peso al fondo servente e dell’utilità al fondo dominante; immediatezza, consistente nella facoltà per il titolare del fondo dominante di esercitare la servitù senza la collaborazione altrui; inoltre, al fine di rispettare i requisiti indicati dalla giurisprudenza per  evitare che la proprietà del fondo servente venga, di fatto, svuotata di qualsiasi utilità, deve indicare chiaramente la specificità dell’utilità riservata e la localizzazione della servitù in un punto preciso del fondo servente.

Si propone di seguito una formula di atto costitutivo di servitù di parcheggio[27]:

Il signor Tizio, proprietario del fondo servente Alfa, distinto nel Catasto Terreni del Comune di … al foglio …, part. …, costituisce a favore del fondo dominante Beta, costituito da abitazione posta in …, distinta nel Catasto Fabbricati del Comune di … al foglio …, part. … sub. …, per il quale accetta il proprietario signor Caio, una servitù di parcheggio, avente ad oggetto la facoltà di accedere al fondo servente e parcheggiare una autovettura, in qualsiasi ora del giorno e della notte, nella zona delle dimensioni di ml. per ml., confinante con …, con …. e con …, evidenziata con colore … nella planimetria che si allega sotto la lettera … Tizio garantisce il pacifico godimento dell’area asservita che non potrà essere recintata o chiusa, salvo che sia consentito al proprietario del fondo dominante l’accesso all’area; Caio provvederà, a sua cura e spese, a delimitare in loco l’area asservita in maniera visibile e non potrà fare un uso dell’area diverso dal parcheggio dell’auto; le spese per la manutenzione dell’area sono a carico del proprietario del fondo dominante”.

Note

[1] È stato sottolineato che il vantaggio è a favore del fondo dominante e del suo titolare in quanto tale, precisando che il diritto o il corrispondente obbligo è a favore o a carico non dei fondi, che non sono soggetti di diritto, ma del proprietario del fondo dominante o del fondo servente fin quando sono proprietari dei fondi (Vitucci, Servitù prediali, in Digesto, Discipline privatistiche, XVIII, Torino, 1998, 500).

[2] Vitucci, Utilità e interesse nelle servitù prediali, Milano, 1974, 46; Triola, Le servitù, in Il cod. civ. commentario, fondato da Schlesinger diretto da Busnelli, Milano, 2008, 23. L’art. 616 del codice civile del 1865 disponeva: «I proprietari possono stabilire sopra i loro fondi od a benefizio di essi qualunque servitù, purché sia solamente imposta ad un fondo e a vantaggio di un altro fondo, e non sia in alcun modo contraria all’ordine pubblico». La norma non è stata riprodotta nel codice civile vigente perché ritenuta superflua (Branca, Delle servitù prediali, in Comm. Scialoja-Branca, libro terzo, Della proprietà, sub. artt. 1027-1099, Bologna-Roma, 1957, 327).

[3] È stato affermato che «La legge enuncia non un tipo concreto di servitù, bensì una formula logica: sì che basta che si tratti di peso, stabilito tra fondi per l’utilità di uno di questi, perché possa attribuirsi alla data servitù in concreto qualsiasi contenuto» (Messineo, Manuale di dir. civ. comm., II, Milano, 1965, 633 s.).

[4] Sulle servitù irregolari cfr. Musolino, Uso, abitazione e servitù irregolari, Bologna, 2012, 505 ss. L’art. 2645-ter c.c. consente ora di la trascrivibilità dei vincoli d’asservimento della proprietà immobiliare a favore della persona anziché del fondo; la fattispecie ricorda le c.d. servitù irregolari e consente la creazione di autentici vincoli di destinazione opponibili ai terzi per effetto della pubblicità ora ammessa dall’art. 2645-ter c.c., con la fondamentale differenza che il peso imposto sul fondo può avere durata massima di novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria (Calvo, Vincoli di destinazione, Torino, 2012, 158 s.).

[5] La localizzazione della servitù, intesa come delimitazione dell’area gravata dal peso e sulla quale viene esercitata l’utilità del fondo dominante, a cui è collegata l’individuazione delle residue facoltà di godimento che rimangono al titolare del fondo servente, è l’aspetto più delicato della servitù di parcheggio.

[6] Cass. 28 aprile 2004, n. 8137; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1551.

[7] Cass. 22 settembre 2009, n. 20409, Cass. 13 settembre 2012, n. 15334.

[8] Cass. 7 marzo 2013, n. 5769; Cass. 13013/2013; Cass. 22 settembre 2009, n. 20409, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 1, 3, 279.

[9] Cass. 6 novembre 2014, n. 23708, in Foro it., 2014, I, 3416 secondo cui, dato il carattere meramente personale del vantaggio, il contratto volto a costituire una servitù prediale di parcheggio sarebbe nullo per impossibilità dell’oggetto e potrebbe convertirsi nella costituzione di un diritto reale d’uso o in un diritto personale di godimento (locazione o comodato). La sentenza in questione si riferiva ad una clausola di un atto notarile che dava atto dell’esistenza di una servitù di parcheggio a favore di un terzo del seguente tenore “Si dà atto tra le parti che il terreno compravenduto è gravato da servitù di parcheggio limitatamente a due auto a favore della proprietà di Tizio, nipote della venditrice, rappresentata da un fabbricato di civile abitazione ubicato ad ovest del terreno servente”; per un commento alla citata sentenza cfr. Mecenate, La servitù di parcheggio – Validità ed invalidità dell’atto di costituzione, Studio approvato dal CNN n. 1094-2014/C.

[10] Afferma Musolino, Uso, abitazione e servitù irregolari, cit., 529 che «ogni servitù può alternativamente formare oggetto di un rapporto obbligatorio. A quest’ultimo riguardo, anzi, in linea generale, il vantaggio che un fondo trae da un altro costituisce un dato meramente economico e, perciò, giuridicamente amorfo. Esso è indispensabile all’esistenza ed al permanere della servitù (artt. 1027 e 1074 c.c.), ma non serve per distinguere quest’ultima da un’obbligazione, potendo essere assicurato – con diverse conseguenze sul piano giuridico – anche mediante la costituzione di rapporti obbligatori. Affinché l’utilità costituisca oggetto di servitù, occorre che essa sia stata voluta dalle parti non come risultato di una prestazione, bensì come peso imposto al fondo, ossia come effetto di un rapporto di servizio, diretto e valido erga omnes, tra quel fondo, che per questo si dice servente, ed un altro, che diviene dominante».

[11] Anche in precedenza si riscontrano pronunce favorevoli alla costituzione della servitù di parcheggio come Cass. 24 aprile 2009, n. 9834 e Cass. 23 marzo 2005, n. 3370. Si può, anzi, affermare che alcune pronunce apparentemente contrarie alla costituzione della servitù di parcheggio siano dovute alla situazione di fatto sottostante in cui mancavano tutti i requisiti strutturali richiesti per la valida costituzione di una servitù.

[12] Cass. 6 luglio 2017, n. 16698; Cass. 18 marzo 2019, n. 7561, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 945, con nota di Casini, Sulla configurabilità della servitù di parcheggio.

[13] Cass. 26 giugno 2001, n. 8737.

[14] È stato efficacemente affermato che «In presenza di una servitù prediale, il contenuto ed i limiti reciproci dei diritti di proprietà sui fondi, dominante e servente, ricevono modificazioni: si configurano cioè in modo diverso da quello che, mancando le servitù, discenderebbe dal regime legale… Delle facoltà, il cui esercizio è sottratto o limitato al proprietario del fondo servente, trae immediato beneficio il titolare del diritto reale contrapposto» (Vitucci, Servitù prediali, cit., 496 s.). Il requisito dell’inerenza ai due fondi assorbe anche quello della vicinanza: la mancanza di una vicinanza tra i fondi impedirebbe in concreto che l’utilità sia inerente sul lato attivo, cioè che possa costituire fruizione contemporanea del fondo dominante insieme a quello servente (Mecenate, La servitù di parcheggio, cit.).

[15] Questo concetto è stato espresso in dottrina come inscindibilità necessaria (Biondi, Le servitù, in Tratt. Cicu-Messineo, XII, Milano, 1967, 82 s.) o come vera e propria inseparabilità (Triola, Le servitù, cit., 25). Sul piano concreto ciò significa che il trasferimento del fondo dominante o servente comporta il trasferimento ex lege anche della servitù, anche quando non ne sia fatta menzione nell’atto. Viceversa, la servitù è incedibile in modo autonomo (Mecenate, La servitù di parcheggio, cit.).

[16] Osserva correttamente Mecenate, La servitù di parcheggio, cit. che la diversa conformazione del diritto di proprietà non può avere carattere generico ed indistinto ma soltanto specifico e determinato, perché costituisce una deroga alla situazione legale, e che la servitù è un’eccezione alla normale configurazione della proprietà fondiaria e quindi la convenzione costitutiva dev’essere interpretata in modo restrittivo.

[17] Inizialmente lo standard urbanistico era di un metro quadro ogni venti metri cubi di costruzione ed è stato raddoppiato dall’art. 2 della legge 24 marzo 1989, n. 122 (c.d. legge Tognoli).

[18] Secondo l’impostazione granitica della giurisprudenza la disciplina legale delle aree destinate a parcheggio impone un vincolo di destinazione, di natura pubblicistica, per il quale gli spazi in questione sono riservati all’uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari, anche a titolo di locatari o comodatari; la normativa non impone all’originario proprietario dell’intero immobile la cessione in proprietà delle aree unitamente ai singoli appartamenti, purché il vincolo di destinazione venga rispettato con il riconoscere e garantire a coloro che occupano le singole unità immobiliari uno specifico diritto reale d’uso delle aree stesse (Cass., Sezioni unite, 18 luglio 1989, n. 3363, in Foro it., 1989, I, 2739; in Riv. not., 1989, 708; da ultimo cfr. Cass. 29 ottobre 2010, n. 22194). Per un commento all’evoluzione normativa dei posti auto legge ponte cfr. Domenici, La circolazione degli spazi a parcheggio alla luce delle recenti modifiche legislative, in Notariato, 2013, 73; Laurino, Il posto auto “obbligatorio” in condominio: il diritto vivente, abrogato, ancora in vigore, in Immob. & propr., 2019, 33; Torroni, Posti auto legge ponte e posti auto legge Tognoli: doppio tentativo di liberalizzazione, in Riv. not., 2014, 1045 ss.

[19] Cass. 6 luglio 2017, n. 16698; in dottrina è stato affermato che non è ammissibile un peso il cui contenuto non limiti ma esaurisca ed assorba tutto il contenuto della dominazione generale del fondo servente (Triola, Le servitù, in Comm. Schlesinger, Giuffrè, 2008, sub. artt. 1027-1099, 8 s.).

[20] Del Prato, Uso esclusivo permanente in favore di un condomino e tipicità dei diritti reali, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 427.

[21] Sul tema cfr. Torroni, Usi esclusivi e perpetui su beni condominiali: problemi e soluzioni, in FederNotizie, 18 giugno 2021; Del Prato, Uso esclusivo permanente in favore di un condomino e tipicità dei diritti reali, cit.; Bertani, Uso esclusivo: reviviscenza dell’inquadramento come servitù, in Immob. & propr., 2022, 577.

[22] Cass. 18 ottobre 1991, n. 11019, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di Cendon, Torino, 2004, 407 ha attribuito rilevanza all’esigenza di un utilizzo condominiale dell’intera area adibita a parcheggio, per effettuare le manovre di accesso e di uscita dai singoli posti auto con reciproche immissioni nelle proprietà confinanti, nella valutazione della legittimità di un divieto condominiale di recintare i singoli posti auto.

[23] Questa facoltà di utilizzo dell’area comune è stata evidenziata da Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301.

[24] In Riv. not., 2021, 1, 53, con nota di Torroni; in Notariato, 2021, 2, 200, con nota di Gallelli; in Giur. it., 2021, 3, 549, con nota di Calvo; in Nuova giur. civ., 2021, 2, 243, con nota di Carpinelli.

[25] Il principio di tipicità dei diritti reali ha come scopo evitare che il contenuto tipico dei diritti reali, cioè quelle facoltà che per legge competono al titolare di un diritto reale, sia modificato dall’autonomia privata. La regola è diretta a favorire la sicura circolazione dei diritti stessi, evitando al titolare di dover esperire indagini, ad esempio nei pubblici registri, sulle facoltà associate a quel determinato diritto. La pubblicità immobiliare postula necessariamente una standardizzazione dei diritti ed una loro conseguente tipizzazione. La presenza di un sistema di pubblicità legale esclude, già di per sé, che la sola autonomia privata possa generare nuovi diritti reali perché il Conservatore deve ricusare di ricevere gli atti che non siano previsti dalla legge (art. 2674 c.c.) e nessun sistema di pubblicità legale potrebbe funzionare se i privati avessero il diritto di trascrivere qualunque atto (Morello, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in Gambaro, Morello, Trattato dei diritti reali, Milano, 2008, I, 77, nota 28; Gambaro, La proprietà, in Tratt. di dir. priv. a cura di Iudica e Zatti, 67 ss.). Per esemplificare le esigenze sottese al principio di tipicità, è stato proposto l’esempio del coniuge romantico, ma prudente, il quale nomini la propria consorte “Regina” dell’appartamento di sua proprietà esclusiva, lasciando i terzi nell’incertezza circa le facoltà ed i poteri inerenti alla carica di “Regina della Casa” (Gambaro, La proprietà, in Tratt. di dir. priv., cit., 74).

[26] Il principio di necessaria relatività degli effetti del contratto di cui all’art. 1372 c.c. impedisce all’autonomia privata di andare ad intaccare la sfera patrimoniale di terzi soggetti mediante la creazione di situazioni giuridiche atipiche ad essi opponibili.

[27] Una proposta di atto costitutivo di servitù di parcheggio si trova in Mecenate, La servitù di parcheggio, cit.

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Patto di famiglia e tassazione: arriva l’atteso “revirement” della Cassazione

News Federnotizie - Mer, 03/06/2024 - 08:30
a cura dell’avvocato Nicole Pasquale
e del notaio Massimo Linares

L’Agenzia delle Entrate di Milano alla fine del dicembre 2023 ha emesso un avviso di liquidazione dell’imposta e irrogazione delle sanzioni relativamente a un atto portante un patto di famiglia sottoscritto nell’ottobre 2022, ai sensi degli articoli 768-bis e seguenti del codice civile, con il quale i genitori trasferivano le quote di partecipazione di una società a responsabilità limitata in parti uguali ai propri figli; contestualmente i figli legittimari assegnatari si sono obbligati a trasferire alle due sorelle (legittimarie non assegnatarie) una somma in denaro.

In particolare, nell’avviso in questione l’Agenzia delle Entrate testualmente assumeva: “L’amministrazione finanziaria, con la Circolare n. 3 punto 8.3.2. del 22 gennaio 2008 (.PDF), ha chiarito che le attribuzioni poste in essere dall’assegnatario dell’azienda o della partecipazione sociale verso gli altri partecipanti ai contratti rientrano nell’ambito di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni. Il denaro attribuito al legittimario non assegnatario proviene dal patrimonio del discendente assegnatario e non da quello del disponente, pertanto i trasferimenti eseguiti dall’assegnatario verso gli altri legittimari devono essere tassati in base al rapporto di parentela tra essi esistente.

In applicazione delle disposizioni del D.L. 262/2006, i trasferimenti a titolo gratuito tra fratelli e sorelle scontano l’imposta sulle successioni e donazioni con l’aliquota del 6% sul valore eccedente l’importo di 100.000,00 euro.

Tale assunto risulta coerente con la precedente Circolare n. 18/E dell’Agenzia delle Entrate del 29 maggio 2013 (.PDF) [1], la quale si è posta come guida operativa, un vademecum per la tassazione degli atti notarili ai fini di un’uniforme applicazione dell’Imposta di Registro.

L’avviso in questione si pone altresì indubbiamente in linea con alcune pronunce della Corte di Cassazione, la quale – con un orientamento che ha trovato piede fino all’Ordinanza n. 32823/2018 (.PDF) [2] – è giunta a qualificare l’attribuzione che il figlio assegnatario dell’azienda o delle quote di partecipazione effettua a favore dei suoi fratelli, liquidandoli, come una donazione tra fratelli e non come donazione indiretta fatta dal disponente al figlio non assegnatario.

Conseguentemente, seguendo il ragionamento fino ad allora sposato della Cassazione, troverebbe applicazione in siffatti casi l’aliquota del 6% per il valore dell’attribuzione che ecceda la franchigia di euro 100.000,00 per ciascuna attribuzione. 

Se quindi quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate nell’avviso di liquidazione avrebbe potuto trovare ragion d’essere nel suesposto orientamento della Cassazione, si deve a oggi necessariamente fare i conti con quella che è l’attuale posizione dei giudici di legittimità, espressa a chiare lettere nella più recente Sentenza n. 29506 del 24 dicembre 2020 (.PDF), la quale offre una disamina dettagliata e completa dell’istituto, giungendo a conclusioni non solo condivisibili ma probabilmente le sole sostenibili.

In particolare, la sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella suddetta sentenza afferma che ciò che caratterizza il patto di famiglia è proprio la necessaria presenza del conguaglio a favore dei legittimari non assegnatari, disponendo espressamente che la liquidazione ai soli fini impositivi deve essere trattata come una donazione dello stesso disponente a favore del legittimario non assegnatario, realizzata per il tramite dell’onere gravante sul legittimario assegnatario[3].

Il disponente, difatti, fa pervenire ai legittimari non assegnatari quanto loro spettante mediante il legittimario assegnatario: pertanto la liquidazione posta in essere dal cessionario del bene produttivo ha funzione surrogatoria rispetto al disponente[4].

In tal modo sembra condivisibile la tesi che sostiene trattarsi di un onere apposto alla liberalità, in modo molto simile alla donazione modale[5].

Per comprendere a pieno il suddetto “revirement” della Cassazione[6], la quale in modo innovativo riscrive l’inquadramento giuridico ed il trattamento fiscale dell’istituto che qui ci occupa, si deve partire da una disamina del medesimo.

Detto istituto è stato introdotto dal nostro legislatore con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, al fine di consentire al titolare di un’azienda o al detentore di partecipazioni societarie, di trasferire l’azienda o le quote ai propri discendenti con un contratto inter vivos che possa compiutamente regolare le sorti dell’impresa, senza che la stessa subisca, in seguito alla morte del suo titolare, il rischio di una sua disgregazione.

In tal modo, il titolare ha la possibilità di scegliere colui tra i suoi discendenti che possa essere il più idoneo a continuare l’attività senza dover aspettare la sua morte per effettuare tale trapasso generazionale, ma dando un assetto definitivo alla gestione aziendale, mettendola in tale modo al riparo dagli eventi successori, che potrebbero negativamente incidervi.

Al contempo, ai sensi dell’art. 768-quater c.c., è previsto che al patto di famiglia devono partecipare, quali parti necessarie del contratto, anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore. È inoltre previsto dal co. 4 che gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti” del Codice civile.

L’assetto di tale istituto rende facilmente intuibile che con esso il legislatore, al fine di perseguire i suddetti interessi meritevoli di tutela, abbia posto in essere una vera e propria deroga espressa al divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c. Con il patto di famiglia, infatti, si realizza una sorta di successione a titolo particolare anticipata e riguardante soltanto l’azienda o le partecipazioni sociali, regolata contrattualmente.

Se la natura giuridica dell’istituto è tuttora controversa, nessuno tuttavia dubita circa la sua funzione e utilità nel senso sopra esposto.

Va da sé, quindi, che l’obbligo da parte dell’assegnatario di liquidare la quota spettante ai legittimari non assegnatari è parte integrante del patto stesso, trattandosi di un’operazione unitaria destinata, come ribadito dalla sentenza della Cassazione del 2020, alle finalità di regolare l’intera vicenda successoria dell’imprenditore.

È chiaro, infatti, che nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 della nostra Costituzione, dovendosi trattare in modo uguale le situazioni uguali, la valutazione tributaria nella fattispecie del legittimario non assegnatario non può essere diversa da quella del legittimario assegnatario, per il solo fatto che la liquidazione sia eseguita dal beneficiario del trasferimento con denaro o beni propri.

Partendo da tale assunto, non si può in alcun modo ravvisare nella liquidazione da parte dell’assegnatario agli altri legittimari una donazione del primo nei confronti dei secondi. Il dato letterale parla appunto di “dovere”, di un obbligo a carico del primo nei confronti dei secondi, che nulla ha a che vedere con lo spirito di liberalità che caratterizza imprescindibilmente l’intento donativo.

Già nel 2007 con lo Studio n. 43 il CNN si esprimeva nel senso che, ai fini dell’applicazione della corretta imposta, deve prendersi a riferimento in ogni caso il rapporto di parentela in linea retta o di coniugio (con applicazione della relativa franchigia legale) intercorrente tra il disponente da un lato e i legittimari non beneficiari del bene produttivo dall’altro, e non già (laddove la ‘liquidazione’ avvenga per il tramite del discendente beneficiario) del rapporto (di regola di parentela in linea collaterale) intercorrente tra questi e quei legittimari.

In tal modo si può favorevolmente commentare la presa di posizione della Cassazione in sede tributaria, proprio sulla base della considerazione che assimila il riferimento dell’assegnatario ed altri partecipanti al patto a quella di un “modus” od onere donativo, sia pure di fonte legale, considerando perciò l’attribuzione effettuata dal discendente quale liberalità “indiretta” del disponente a favore dei legittimari non assegnatari e quindi con conseguente applicazione dell’imposta di donazione con le franchigie previste fra parenti in linea retta[7].

Qualora al contrario si aderisse alla interpretazione sul punto fornita più volte dall’Agenzia delle Entrate, si avrebbe come risultato un ancor più scarso utilizzo del patto di famiglia per il suo elevato costo fiscale, così vanificando, di fatto, la Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 (.PDF), con la quale si sollecitavano gli Stati membri a rendere più razionali ed efficienti le norme successorie che regolano il trasferimento delle imprese di piccole e medie dimensioni alla morte dell’imprenditore.

Si ripropone, nella fattispecie di cui trattasi, la questione di fondo in ordine al rapporto fra il diritto civile (“rectius“, comune) e il diritto tributario (ovvero il tema dell’autonomia del diritto tributario rispetto alle altre branche dell’ordinamento)[8][9]; nel merito, è evidente che l’interpretazione dell’istituto del patto di famiglia da parte della Cassazione Tributaria del 2020 è in contrasto con i documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate.

Se la funzione impositiva si configura come un dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale, previsto dall’articolo 2 della Costituzione, si rende ove tuttavia necessaria una diversa considerazione della situazione passiva di soggezione del contribuente.

Questi non dovrebbe più essere titolare di una mera soggezione, in quanto destinatario di una pretesa impositiva autoritaria, ma soggetto passivo di una funzione sempre impositiva che però acquista rango costituzionale solo nella misura in cui realizzi l’equo riparto del carico fiscale.

A tale proposito, si ricorda la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 13.378 dell’anno 2016 (.PDF), la quale ha stabilito che il contribuente possa sempre opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria allegando l’errore di fatto e di diritto commesso, incidente sull’obbligazione tributaria.

In tale ottica, è necessaria una rivalutazione del ruolo della volontà del contribuente non più solo contenuta in una disposizione negoziale, ma manifestata con una dichiarazione (priva di efficacia negoziale) e in funzione di semplificazione, rapidità e di maggiore certezza nella realizzazione dell’entrata tributaria.

Nel caso che ci occupa, per l’appunto, lo stesso Notaio rogante, nell’atto ricevuto, inseriva la clausola di natura tributaria si seguito riportata: “con riferimento alla liquidazione delle somme compensative delle quote di legittima dagli assegnatari, è applicabile il disposto dell’art. 58, comma 1, del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, intendendosi tale liquidazione, ai soli fini impositivi, donazione dei disponenti in favore dei legittimari non assegnatari, con conseguente determinazione dell’aliquota e della franchigia previste con riferimento al corrispondente rapporto di parentela; il tutto come espressamente sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 29506 del 24 dicembre 2020.”, cercando in tal modo di chiarire la situazione di fatto e quindi di prevenire un qualsiasi intervento incongruo da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Prendendo in considerazione tali dichiarazioni “non negoziali” e utilizzando questo concetto, potrebbe essere possibile conciliare, con minore preoccupazione per il contribuente e maggiore semplicità per tutti gli operatori del diritto, il principio di indisponibilità e il ruolo stesso del contribuente, dando veste sistematica ai dubbi interpretativi legati alle varie forme negoziali di determinazione del carico fiscale.

Di tali ultime considerazioni si è fatto carico il Notaio rogante mediante l’inserimento della clausola di natura tributaria sopra riportata. E ciò per consentire all’Agenzia proprio quel riscontro con la giurisprudenza della Corte Suprema, che la stessa evidentemente non conosce o non ha intenzione di valutare all’interno della motivazione dell’avviso di liquidazione.

Alla luce di quanto sopra esposto è indubbiamente auspicabile da parte dell’Agenzia delle Entrate un intervento che possa adeguare la propria operatività alla reale natura giuridica del patto di famiglia e alla più recente pronuncia della Corte di Cassazione.

Note

[1] Dello stesso avviso Circ. 3/E/2008, par. 8.3.2, Agenzia delle Entrate (PDF).

[2] Cfr. A. Fedele, Ord. n. 32823/2018, Brevi note, in Rivista telematica di diritto tributario, 2018; La cassazione e il “patto di famiglia”, in Riv. Dir. Trib., 22 gennaio 2019.

[3] Per approfondire sul punto, M. Peta, in Notariato, Rassegna bimestrale sistematica di diritto e tecniche contrattuali, 2/2021, pagg. 219 ss.

[4] Si veda a riguardo il Quesito Tributario n. 46-2016/T.

[5] Ex multis P. Puri, Prime riflessioni sul trattamento fiscale del patto di famiglia, in Diritto e pratica tributaria, 2008, 603.

[6] Sul punto A. Fedele, La Cassazione aggiusta il tiro sul regime fiscale del patto di famiglia, in Rivista telematica di diritto tributario, 31 dicembre 2020.

[7] Cfr. CNN, Studio 36-2011/T, Profili fiscali del passaggio generazionale d’impresa (.PDF), 16: “non si può considerata come tale tipizzazione [del patto di famiglia in quanto contratto] non sia stata accompagnata da una specifica regolamentazione di diritto tributario, ciò che ha comportato una inevitabile incertezza applicativa, con un notevole effetto disincentivante rispetto alla concreta adozione dello strumento”.

[8] Si veda “La disciplina dell’obbligazione tributaria in raffronto alla disciplina delle obbligazioni di diritto privato”, testo della relazione tenuta al Corso “Il giudice civile ed il giudice tributario: fattispecie comuni e profili differenziali” (in collaborazione con il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria), Scuola Superiore della Magistratura, Corte di Cassazione, Aula Magna, 20 novembre 2018.

[9] Si veda “Diritto civile e diritto tributario. Verso una progressiva autonomia” su Contratto e impresa, Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, Volume 3/2019.

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