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L’imposta sulle transazioni finanziarie (cosiddetta “Tobin Tax”): spunti di interesse notarile
L’articolo 1, comma 491[1], legge 24 dicembre 2012, n. 228[2], ha istituito la «imposta sulle transazioni finanziarie» (in acronimo, “ITF” o, in inglese, “FTT”)[3], prescrivendo che la ITF si applica[4] («con l’aliquota dello 0,2[5] per cento sul valore della transazione»[6]), tra l’altro (e, cioè, limitando l’osservazione alle fattispecie nelle quali vi è o vi può essere l’intervento di un notaio), all’operazione di:
- «trasferimento»[7] del diritto «di [piena] proprietà» (o del diritto di nuda proprietà)[8] «di azioni[9] e di altri strumenti finanziari partecipativi» (di cui all’articolo 2346, comma 6, codice civile) emessi da società residenti nel territorio dello Stato;
- «trasferimento» del diritto «di [piena] proprietà» (o del diritto di nuda proprietà) di «titoli rappresentativi dei predetti strumenti» indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente (e, così, alla compravendita del diritto di opzione rinveniente da una deliberazione di aumento del capitale sociale);
- «trasferimento» del diritto «di [piena] proprietà»(o del diritto di nuda proprietà) «di azioni che avvenga per effetto della conversione di obbligazioni».
I soggetti obbligati al versamento della ITF possono sospendere l’esecuzione dell’operazione fino a che non ottengano provvista per il versamento dell’imposta (articolo 1, comma 498, legge 228/2012).
Fattispecie non soggette a ITF o esenti da ITFInvece, la ITF non si applica (per ragioni, caso per caso, o di “esenzione” o di “esclusione”), tra l’altro[10]:
- al trasferimento che «avvenga per successione o donazione» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- alle operazioni «di emissione e di annullamento dei titoli azionari e dei predetti strumenti finanziari» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- alle operazioni «di conversione in azioni di nuova emissione» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012) e, quindi, alla operazione di conversione di una categoria di azioni in altra categoria di azioni di nuova emissione oppure alla operazione di conversione di obbligazioni o di altri strumenti finanziari convertibili in azioni di nuova emissione;
- ai «trasferimenti di proprietà di azioni negoziate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione emesse da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre dell’anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà sia inferiore a 500 milioni di euro»[11] (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- alle operazioni (aventi a oggetto quote di partecipazione di qualsiasi caratura e, quindi, non solo “pacchetti” di controllo) poste in essere da società[12] (anche non residenti in Italia)[13] «fra le quali sussista» (direttamente o indirettamente)[14] «il rapporto di controllo» di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 1)[15] e n. 2)[16], codice civile, e all’articolo 2359, comma 2[17], codice civile (articolo 1, comma 494, lett. d), legge 228/2012)[18] o «che siano controllate dalla stessa società» (articolo 15, comma 1, lett. g), d.m. 21 febbraio 2013), e ciò al fine di non ostacolare le operazioni di riorganizzazione aziendale e, cioè, quelle operazioni che, pur determinando il trasferimento della proprietà delle azioni, non modificano la loro “appartenenza economica” al medesimo gruppo societario;
- alle operazioni «di riorganizzazione aziendale effettuate alle condizioni indicate» nel d.m. 21 febbraio 2013 (articolo 1, comma 494, lett. d), legge 228/2012)[19], anche in questo caso al fine di non penalizzare l’effettuazione di dette operazioni;
- al trasferimento della proprietà di azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), ivi incluse le azioni di società di investimento a capitale variabile (articolo 2, comma 2, d.m. 21 febbraio 2013);
- alle operazioni di «riacquisto dei titoli da parte dell’emittente» (articolo 15, comma 1, lett. c), d.m. 21 febbraio 2013) e, quindi, all’acquisto di “azioni proprie” da parte della società emittente cui consegua il loro annullamento[20];
- alle operazioni di assegnazione di azioni, strumenti finanziari partecipativi e titoli rappresentativi a fronte di distribuzione di utili, riserve o di restituzione di capitale sociale (articolo 15, comma 1, lett. d-bis), d.m. 21 febbraio 2013);
- al trasferimento di proprietà di azioni nell’ambito di operazioni di garanzia finanziaria derivanti da un contratto con il quale il datore di una garanzia finanziaria trasferisce la piena proprietà della garanzia finanziaria al beneficiario di quest’ultima, allo scopo di assicurare l’esecuzione delle obbligazioni finanziarie garantite, inclusa la restituzione al termine della garanzia (in tali ipotesi, l’imposta si applica qualora il trasferimento della proprietà divenga definitivo oppure nei casi di escussione della garanzia, compensazione della garanzia con l’obbligazione finanziaria garantita o utilizzo della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita o per altra ragione che comporti comunque un trasferimento definitivo della proprietà): (articolo 15, comma 1, lett. e), d.m. 21 febbraio 2013);
- alle operazioni di garanzia su azioni che non comportano il loro trasferimento (articolo 15, comma 1, lett. e), ultimo periodo, d.m. 21 febbraio 2013).
E’ importante notare che, essendo, in alcuni casi, le fattispecie di non soggezione e di esenzione non facili da individuare, i soggetti obbligati al versamento della ITF «non sono tenuti al versamento dell’imposta nel caso in cui il contribuente attesti […] che l’operazione rientra tra le ipotesi di esclusione […] o di esenzione […] e nelle ipotesi in cui non sappiano o non abbiano ragione di sapere, in base all’ordinaria diligenza, che l’attestazione del contribuente è falsa o non affidabile. L’attestazione consiste nella dichiarazione in forma scritta, da parte del contribuente, del ricorrere dei presupposti delle suddette esenzioni o esclusioni» (paragrafo 3.1.1. del Provvedimento 87896/2013).
Disciplina della ITFL’ITF:
- è dovuta indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione e dallo Stato di residenza delle parti contraenti (articolo 1, comma 491, legge 228/2012);
- grava (ne è il “soggetto passivo”) sul soggetto a favore del quale avviene il trasferimento (articolo 1, comma 494, legge 228/2012; articolo 5, d.m. 21 febbraio 2013);
- deve essere versata[21] (ne sono i “responsabili”), in modo cumulativo (mediante il modello “F24”)[22], dalle banche, dalle società fiduciarie e dalle imprese di investimento nonché dagli altri soggetti che comunque intervengono nell’esecuzione delle predette operazioni imponibili (ivi compresi «i notai[23] che intervengano nella formazione o nell’autentica di atti relativi alle medesime operazioni»: articolo 19, comma 1, d.m. 21 febbraio 2013); qualora nell’esecuzione dell’operazione intervenga una pluralità di detti soggetti, l’imposta è versata dal soggetto che riceve direttamente dall’acquirente o dalla controparte finale l’ordine di esecuzione (articolo 1, comma 494, legge 228/2012).
I soggetti obbligati al versamento della ITF sono altresì gravati da un obbligo dichiarativo annuale[24].
In ordine all’accertamento, alla riscossione e alle sanzioni[25] si applica la normativa in tema di imposta sul valore aggiunto (articolo 1, comma 498, legge 228/2012; articolo 20, d.m. 21 febbraio 2013).
Le istanze di rimborso della ITF versata in misura maggiore di quella dovuta sono normate dall’articolo 22, d.m. 21 febbraio 2013.
Note[1] Cfr. CARLUCCI-MIELE-POSA, Caratteristiche e ambito di applicazione della nuova imposta sulle transazioni finanziarie, in Corr. Trib., 2013, 2, 106; CASSINA-DEL GIUDICE, Il ritorno dell’imposta sulle transazioni finanziarie: esigenze di gettito e finalità antispeculative, in Amm. Fin., 2013, 4, 18; FRANSONI, Spunti di riflessione in tema di presupposti delle imposte sulle transazioni finanziarie, in Rass. Trib., 2013, 6, 1257; MOLINARO, L’imposta di bollo sulle transazioni finanziarie, in Corr. Trib., 2012, 43, 3321; PIAZZA, Tassazione “indiretta” sulle partecipazioni societarie, in Fisc. Comm. Internaz., 2013, 1, 77; RIBACCHI, Tobin Tax: il decreto attuativo del MEF, in Prat. Fisc. Prof., 2013, 12, 26.
[2] Intitolata “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)”. La regolamentazione attuativa di questa normativa è recata dal d.m. 21 febbraio 2013, intitolato “Attuazione dei commi da 491 a 499 della legge n. 228/2012 (stabilità 2013) – imposta sulle transazioni finanziarie” e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28 febbraio 2013.
Occorre precisare che, ai sensi dell’articolo 99, comma 1, lett. e), e dell’articolo 100 d. lgs. 5 novembre 2024, n. 174 (intitolato “Testo unico dei tributi erariali minori”), i commi da 491 a 497, 499 e 500 dell’articolo 1, d. lgs. 228/2012 restano in vigore fino al 31 dicembre 2025 e che dal 1° gennaio 2026 prenderanno vigore i corrispondenti articoli 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49 e 50, d. lgs. 174/2024.
[3] Detta anche “Tobin Tax” per la ragione che venne ideata, nel 1972, dall’economista James Tobin (premio Nobel per l’economia nel 1981).
[4] Nel momento in cui si verifica l’effetto traslativo (articolo 3, comma 2, d.m. 21 febbraio 2013).
[5] L’aliquota è ridotta alla metà per i trasferimenti che avvengono in mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione (articolo 1, comma 491, legge 228/2012). La nozione di «mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione» è recata dall’articolo 1, comma 2, lett. c), d.m. 21 febbraio 2013). Cfr. Brunello-Baldascino, Tobin Tax ad aliquota ridotta per i trasferimenti di azioni nel contesto di un’OPA?, in Corr. Trib., 2021, 4, 386.
[6] Il concetto di «valore della transazione» (articolo 1, comma 491, legge 228/2012) è specificato nell’articolo 4, d.m. 21 febbraio 2013. In particolare, la norma stabilisce che si tratta del «corrispettivo contrattualmente stabilito» oppure, in mancanza, del «valore normale» determinato ai sensi dell’articolo 9, comma 4, d.P.R. 917/1986.
Nelle Faq (al n. 11) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate si legge che la ITF è dovuta anche in relazione agli “aggiustamenti del prezzo” che intervengano a seguito di apposite clausole contrattuali (cosiddette clausole di earn out): «Si ritiene che l’imposta sulle transazioni finanziarie vada applicata anche sulla parte di prezzo variabile, derivante dalle suddette clausole, che costituisce integrazione del prezzo fissato al momento del closing. L’imposta è dovuta alla data in cui spetta contrattualmente il versamento di tale integrazione del prezzo. In caso di revisione del prezzo in diminuzione il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta versata in eccesso».
Cfr. anche Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito Tributario n. 26-2016/T, Tobin tax e clausole earn out, in CNN Notizie del 7 giugno 2018, ove si osserva che «l’imposta cd. Tobin tax sarà dovuta, all’atto del trasferimento dei titoli, sul prezzo minimo fissato alla conclusione del contratto, fermo restando che al momento del versamento del prezzo così come determinato all’esito della verifica della situazione patrimoniale i contribuenti dovranno, ex art.19, comma 1 del citato d.m., procedere al versamento della Tobin tax. Ovviamente l’imposta dovrà essere corrisposta dai contribuenti al netto di quanto già versato dal notaio. Alla luce di queste considerazioni, apparirebbe opportuna una clausola che prenda spunto dalla citata risposta del MEF (n.11) a conferma del ruolo del notaio quale responsabile d’imposta solo relativamente al prezzo “minimo” stabilito dalle parti e dia atto del consenso dei contribuenti (ex art.3, comma 1, del citato d.m.) ad assumere per data dell’operazione la data di liquidazione contrattualmente prevista».
[7] In tale nozione rientra, pertanto, qualsiasi negozio avente un effetto traslativo (cfr. CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Studio Tributario n. 218-2013/T del 19 aprile 2013, Il ruolo del notaio nell’applicazione della Tobin Tax (art.1, commi 491-500, l. 24 dicembre 2012, n. 228), in CNN Notizie del 21 maggio 2013): la compravendita, la permuta (a meno che, con tale operazione, venga acquisito il controllo della società le cui azioni sono date in permuta), la dazione in pagamento, la transazione, il conferimento in società, eccetera (e, quindi, non anche la divisione o le operazioni societarie prive di effetto traslativo, come la trasformazione; e neppure, stante la sua natura non traslativa sotto il profilo fiscale, l’apporto di azioni in un trust).
Nella “Relazione illustrativa” al d.m. 21 febbraio 2013, si legge che «Devono ritenersi escluse da imposta anche l’assegnazione di titoli o strumenti finanziari partecipativi a fronte di distribuzioni di utili o di riserve e l’assegnazione di azioni di nuova emissione a fronte di piani di stock options».
Nella Risposta a interpello n. 463 del 12 ottobre 2020, osservando che la ITF si applica ai «negozi suscettibili di produrre l’acquisto a titolo derivativo e oneroso della proprietà», è stato escluso da imposizione il trasferimento di azioni ordinato da una sentenza al fine di reintegrare la situazione antecedente a un contratto di compravendita dichiarato inefficace (ritrasferimento effettuato mediante reintestazione delle azioni al proprietario precedente, con conseguente restituzione del relativo prezzo di cessione).
[8] Il trasferimento del diritto di nuda proprietà è espressamente contemplato nell’articolo 2, comma 1-bis, d.m. 21 febbraio 2013.
Quanto al trasferimento del diritto di usufrutto, in CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Prassi, Tobin Tax: precisate nuove regole di attuazione, in CNN Notizie del 23 settembre 2013, si osserva che dal predetto esplicito riferimento al diritto di nuda proprietà si trae «conferma» della «irrilevanza agli effetti dell’applicazione del tributo della costituzione o della cessione di diritti reali diversi dalla proprietà, ad esempio l’usufrutto, non essendo fattispecie equivalente al trasferimento della proprietà delle azioni».
[9] Per «azioni» si intendono i titoli di partecipazione (anche se di categoria speciale e indipendentemente dall’attribuzione di determinati diritti amministrativi o patrimoniali) in società per azioni (comprese le società consortili per azioni), società in accomandita per azioni, società europee e società cooperative normate dalla legislazione in tema di società per azioni (articolo 1, comma 2, lett. c), d.m. 21 febbraio 2013). Sono, pertanto, escluse dal perimetro applicativo della ITF le quote di partecipazione al capitale sociale di società a responsabilità limitata e di società di persone.
Sono, inoltre, esplicitamente escluse le «le operazioni su obbligazioni o titoli di debito, che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata»: (articolo 15, comma 1, lett. b), d.m. 21 febbraio 2013).
[10] Cfr. CARLUCCI-MIELE-POSA, Esenzioni ed esclusioni in materia di imposta sulle transazioni finanziarie, in Corr. Trib., 2013, 15, 1151.
[11] Ai sensi dell’articolo 17, d.m. 21 febbraio 2013, la Consob, entro il 10 dicembre di ogni anno, redige la lista delle società che rispettano il predetto limite di capitalizzazione e le cui azioni sono negoziate in un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione italiano.
[12] E probabilmente anche tra una persona fisica e la società da essa controllata: invero, se la Risposta a interpello n. 170 del 9 giugno 2020 (di cui oltre) ha esteso alle operazioni effettuate da persone fisiche l’esenzione per le operazioni «di riorganizzazione aziendale» (di cui oltre), non vi sarebbe ragione di negare l’estensione dell’esclusione da ITF alle operazioni effettuate tra una persona fisica e la società da essa controllata.,
[13] Cfr. in tal senso le Faq (al n. 21) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
[14] Cfr. in tal senso le Faq (al n. 20) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
[15] Detto n. 1) concerne «le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria».
[16] Detto n. 2) concerne «le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria». La norma in esame, pertanto, non concerne il controllo “contrattuale” di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 3), codice civile («le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa»), né la fattispecie del “collegamento” tra società, di cui all’articolo 2359, comma 3, codice civile («le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole»).
[17] In detto comma 2 è specificato che ai fini della individuazione del rapporto di controllo (di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 1), codice civile) e del rapporto di influenza dominante (di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 2), codice civile) «si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi».
[18] Nella Risposta n. 956-905/2018 (senza data) a un interpello presentato il 15 giugno 2018 (sulla quale cfr. BUSANI, Tobin tax non dovuta per azioni cedute tra società sorelle, in Quot. Fisco, 9 aprile 2019), l’Agenzia delle Entrate ha osservato che la ITF non è dovuta se le azioni siano cedute da una società (Alfa) ad altra società (Beta) le quali abbiano la medesima compagine sociale (e cioè se sia di Alfa che di Beta siano socie, al 50 per cento ciascuno, Gamma e Delta) a condizione che Alfa e Beta abbiano una «governance […] identica […] in termini di diritti amministrativi, patrimoniali e di patti parasociali». Quanto alla nozione di «controllo», l’Agenzia ha rammenta che: a) può trattarsi anche di un controllo “indiretto”, vale a dire che se la cessione avviene tra Alfa e Beta, Alfa non deve necessariamente essere la diretta partecipante di Beta, ma può parteciparvi attraverso una “catena” di altre società; b) può trattarsi anche di un controllo “comune” da parte di «un’unica società controllante», vale a dire che se la cessione avviene tra Alfa e Beta, la IFT non si paga se sia Alfa che Beta sono “sorelle” perché partecipate entrambe (anche in questo caso, direttamente o indirettamente) da Teta. Da questo panorama normativo e interpretativo discende dunque che, secondo l’Agenzia, la medesima valenza riorganizzativa deve essere, a maggior ragione, riconosciuta anche all’operazione con la quale un pacchetto di azioni viene trasferito tra due società che abbiano gli stessi soci, titolari delle medesime quote di partecipazione, e «le medesime regole di governance […] in termini di diritti amministrativi, patrimoniali e di patti parasociali». In tal caso, infatti, essendo sia la parte venditrice sia la parte acquirente composte dalla stessa compagine sociale, anche a seguito di questa operazione, al pari di un’operazione infragruppo, la titolarità delle azioni cedute continua a fare riferimento agli stessi soci e non è ravvisabile un intento speculativo correlato alla negoziazione di titoli. Si tratta infatti di una operazione di carattere riorganizzativo e, pertanto, esclusa dall’applicazione della Tobin Tax.
La predetta Risposta a interpello ha evidentemente ispirato la Risoluzione n. 38/E del 29 marzo 2019, nella quale è ripetuto il medesimo ragionamento e sono raggiunte le medesime conclusioni.
Cfr. anche MOLINARO, L’imposta sulle transazioni finanziarie non si applica alle cessioni con funzioni riorganizzative, in il fisco, 2019, 21, 2053.
[19] L’articolo 15, comma 1, lett. h), d.m. 21 febbraio 2013, concerne il trasferimento di proprietà degli strumenti di cui all’articolo 1, comma 491, legge 228/2012, derivanti da operazioni di ristrutturazione di cui all’articolo 4 della Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008; a sua volta:
- l’articolo 4, comma 1, lett. a), della Direttiva 2008/7/CE, si riferisce alle operazioni di «trasferimento da parte di una o più società di capitali della totalità dei loro patrimoni, o di uno o più rami della loro attività, a una o più società di capitali in via di costituzione o già esistenti, a condizione che il trasferimento sia remunerato perlomeno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della società acquirente», ciò da cui dovrebbe conseguire che l’ITF non si dovrebbe applicare nel caso di conferimento di un’azienda o di un ramo d’azienda nel cui àmbito vi sia un pacchetto azionario né nel caso di una cessione di un’azienda comprendente un pacchetto azionario remunerata «perlomeno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della società acquirente» (né nel caso di incorporazione di una società proprietaria di un pacchetto azionario oppure di scissione di un ramo d’azienda comprendente un pacchetto azionario);
- l’articolo 4, comma 1, lett. b), della Direttiva 2008/7/CE, si riferisce alle operazioni di «acquisizione da parte di una società di capitali in via di costituzione o già esistente di quote sociali che rappresentano la maggioranza dei diritti di voto di un’altra società di capitali, a condizione che i conferimenti siano remunerati per lo meno in parte mediante titoli rappresentativi del capitale della precedente società. Se la maggioranza dei diritti di voto è raggiunta in seguito a due o più operazioni, solo l’operazione con la quale è raggiunta la maggioranza dei diritti di voto e le operazioni successive sono considerate operazioni di ristrutturazione».
Dato che la predetta normativa dispone l’esenzione da ITF nel presupposto che:
- l’oggetto del conferimento sia un pacchetto azionario comportante l’acquisizione, da parte della società conferitaria, della «maggioranza dei diritti di voto» nell’assemblea della società le cui partecipazioni siano oggetto di conferimento, nella Risposta a interpello n. 54 del 21 gennaio 2021 e nella Risposta a interpello n. 377 del 27 maggio 2021 sono state osservate operazioni di conferimento di azioni nelle quali è stata ravvisata l’applicabilità della ITF poiché oggetto del conferimento era un pacchetto azionario non comportante l’acquisizione, da parte della società conferitaria, di detta «maggioranza dei diritti di voto»;
- la società conferitaria remuneri (almeno in parte) l’oggetto del conferimento mediante titoli rappresentativi del proprio capitale (in altri termini, tale disposizione ravvisa la sussistenza di una fattispecie di ristrutturazione aziendale nella circostanza la società conferente non si limiti ad essere remunerata da “sola cassa” bensì partecipi – almeno in parte – al capitale delle società conferitaria), nella Risposta a interpello n. 417 del 17 giugno 2021 è stato escluso che l’esenzione si applichi alla «operazioni di “mera vendita”, vale a dire quelle operazioni in cui oggetto del corrispettivo che la società acquirente è tenuta a corrispondere alla società venditrice è rappresentato da valori mobiliari diversi dai titoli rappresentativi del capitale della società acquirente» (occorre precisare che l’attribuzione di azioni al soggetto conferente è esclusa dall’applicazione dell’ITF in quanto operazione di “emissione” di azioni).
Nella Risposta a interpello n. 170 del 9 giugno 2020 è stato affermato che, al ricorrere dei predetti presupposti, l’esenzione compete anche nel caso di conferimento effettuato da parte di persone fisiche.
[20] Nelle Faq (al n. 15) elaborate dal Ministero dell’Economia e pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate si legge quanto segue: «L’acquisto di azioni proprie è escluso da tassazione solo se finalizzato all’annullamento delle stesse. Qualora l’annullamento sia deliberato successivamente all’acquisto di azioni proprie, l’acquisto è soggetto ad imposta, in quanto, al momento in cui è stato realizzato, non era finalizzato all’annullamento delle azioni».
[21] Entro il giorno 16 del mese successivo a quello del trasferimento della proprietà (articolo 1, comma 494, legge 228/2012).
Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 luglio 2013, prot. n. 87896, è stata fornita la “Definizione degli adempimenti dichiarativi, delle modalità di versamento dell’imposta, dei relativi obblighi strumentali, delle modalità di rimborso, ai sensi dell’articolo 19, commi 5 e 8 e dell’articolo 22 del decreto del Ministro dell’economia e finanze del 21 febbraio 2013”.
Con la Risoluzione n. 62/E del 4 ottobre 2013 è stato istituito il codice tributo “4058” per il versamento della “Imposta sulle transazioni di azioni e di altri strumenti partecipativi – art. 1, c. 491, l. n. 228/2012”.
[22] Paragrafo 3.2.1. del Provvedimento 87896/2013.
[23] Nel paragrafo 2.1., lett. c), del Provvedimento 87896/2013, è prescritto che sono obbligati al versamento anche «i notai e gli altri soggetti che intervengono nelle operazioni effettuate tramite la formazione o l’autentica di atti, compresi quelli esercenti l’attività fuori dal territorio dello Stato, sempreché il contribuente non attesti che l’imposta sia stata già applicata. Per le operazioni effettuate tramite atti formati o autenticati all’estero e oggetto di deposito presso un notaio esercente in Italia, l’imposta deve essere versata da tale ultimo soggetto, sempreché il contribuente non attesti che l’imposta sia stata già applicata».
Quanto all’obbligo di «predisporre un registro cronologico giornaliero» (paragrafo 5.9. del Provvedimento 87896/2013), per i notai si tratta di un obbligo assolto mediante la compilazione del repertorio delle girate azionarie, di cui all’articolo 28, r.d. 29 marzo 1942, n. 239: cfr. in tal senso CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Quesito Tributario n. 92-2015/T, Modalità di tenuta del registro delle operazioni imponibili dell’imposta sulle transazioni finanziarie per gli “altri” soggetti responsabili, tra cui i notai, in CNN Notizie del 22 marzo 2016.
[24] Cfr. il Provvedimento prot. n. 294475 del 15 dicembre 2017 con il quale l’Agenzia delle Entrate, in attuazione del d.m. 18 luglio 2013, ha approvato (in sostituzione del modello approvato con il Provvedimento prot. n. 2169 del 4 gennaio 2017 che, a sua volta, aveva sostituito il Provvedimento prot. n. 2013/154577 del 27 dicembre 2013) il nuovo modello per la dichiarazione dell’imposta sulle transazioni finanziarie, delle relative istruzioni e delle specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei dati. In materia cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Segnalazioni Novità Normative, Il 31 marzo 2014 scade il termine per la dichiarazione Tobin Tax, in CNN Notizie del 20 febbraio 2014; Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito tributario n. 188-2014/T, Operazioni rilevanti dichiarazione FTT (cd. Tobin Tax), in CNN Notizie del 21 marzo 2014; Consiglio Nazionale del Notariato, Segnalazioni Novità Prassi Interpretative, Approvato il nuovo modello FTT per la dichiarazione dell’imposta sulle transazioni finanziarie (cd. Tobin Tax), in CNN Notizie del 18 gennaio 2017.
[25] Cfr., in materia, Consiglio Nazionale del Notariato, Segnalazioni Novità Prassi Interpretative, Scadenza dichiarazione tobin tax: le sanzioni in caso di omessa presentazione, in CNN Notizie, 15 marzo 2016.
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Tribunale di Milano: l’atto ricognitivo di intervenuta accessione è trascrivibile
Con decreto del giorno 21 gennaio 2025, ruolo n. 12531/2024 V.G. il Tribunale di Milano ha accolto il reclamo del notaio avverso la trascrizione con riserva del Conservatore, dell’atto ricognitivo della proprietà per intervenuta accessione, statuendone la trascrivibilità ai sensi dell’art. 2643 n. 1 c.c.
Il casoLa società XX era proprietaria di un fabbricato industriale, sul cui lastrico solare un’altra società del medesimo gruppo YY aveva costruito a sue cure e spese un impianto per la produzione di energia elettrica, impianto che era stato accatastato negli anni (sine titulo), in ditta alla società YY, titolare peraltro di tutte le relative convenzioni di scambio dell’energia con il gestore.
Il predetto impianto fotovoltaico era in realtà, fin dal momento in cui era stato installato, in quanto bene immobile, e per il principio dell’accessione, di piena proprietà della società XX, nonostante l’errata intestazione catastale e la titolarità della convezione in capo alla società YY.
Ai fini della voltura della convenzione, nonché al fine di ripristinare la conformità catastale cd. “soggettiva”, le parti e i terzi interessati chiedevano apposito atto notarile.
Veniva sottoscritto pertanto atto notarile ricognitivo della proprietà e di identificazione catastale, con il quale le parti prendevano atto e riconoscevano che la proprietà dell’impianto era della società XX per il principio dell’accessione, ne autorizzavano la trascrizione e tutte le conseguenti volture.
La trascrizione veniva dapprima rigettata, sia come atto ricognitivo sia come atto di identificazione catastale, per poi essere accettata con riserva.
Proposto il reclamo nei termini di legge, il Tribunale di Milano ha accolto l’istanza, riconoscendo trascrivile l’atto ricognitivo dell’acquisto per accessione ai sensi dell’art. 2643 n 1 c.c.
Le motivazioniIl notaio insisteva per la trascrivibilità dell’atto sulla base di due argomentazioni principali:
1) il principio di tassatività dell’articolo 2643 c.c., principio cardine dell’ordinamento, ha ad oggetto la tassatività degli effetti e non degli atti in forza del comb. disp. con l’art. 2645 c.c.: principio peraltro condiviso anche dal Conservatore nelle motivazioni del rifiuto.
Da tale assunto, il notaio ritiene che l’atto ricognitivo di un acquisto già avvenuto ex lege sia trascrivibile, in quanto documenta l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà, effetto ricompreso nel dato testuale dell’art. 2643 n. 1 c.c., norma peraltro che in nessun punto distingue tra gli acquisti a titolo derivativo e gli acquisti a titolo originario. In forza del successivo articolo 2645 c.c., tale effetto può risultare da un contratto, da un altro atto o da un provvedimento, purché trattasi di un titolo idoneo alla trascrizione ex art. 2657 c.c.
L’acquisto a titolo originario infatti non può essere normalmente trascritto per la mancanza di un titolo idoneo, e non già per la tipologia degli effetti da esso prodotti. Qualora un titolo ci sia, per sentenza o per atto di notaio – atto che per l’appunto non potrà che essere un atto ricognitivo di un acquisto già prodottosi ex lege – non si vedono cause ostative alla sua trascrivibilità. Nel caso di specie, l’atto ricognitivo è quindi il titolo materiale (e quindi il supporto trascrivibile) in cui viene incorporato l’acquisto.
Per dirla con Santoro Passarelli è il documento; ovvero la “cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante” (il trasferimento o l’acquisto originario di un diritto immobiliare), trascrivibile ex art. 2643 n. 1 c.c.
E infatti l’utilità del documento è squisitamente strumentale; si connota per la speciale accessorietà al rapporto giuridico che rappresenta.
Se non in applicazione diretta del dato testuale, il notaio chiedeva l’applicazione dell’articolo 2643 n. 1, c.c. in forza del principio dell’interpretazione estensiva, principio ammesso in materia di pubblicità, a differenza dell’analogia. D’altronde, preso atto del nuovo scenario normativo e degli obblighi oggi vigenti e non previsti nell’originario impianto del codice civile, quali ad esempio la conformità catastale cd. “soggettiva”, le norme devono essere interpetrate anche in funzione del mutato quadro sistematico.
2) Il principio di uniformità di applicazione della legge sul territorio italiano e della certezza del diritto: in altre Conservatorie è prassi applicativa constante, e pacifica, la trascrizione sia di atti ricognitivi della proprietà sia di atti di identificazione catastale, in via autonoma. Il medesimo identico atto era infatti stato ricevuto, tra parti diverse, ma in un caso identico, circa un anno prima, e trascritto senza riserva alcuna presso altra Conservatoria.
Il Conservatore insisteva, sia nelle motivazioni della trascrizione con riserva, sia nelle memorie depositate nel corso del procedimento, per il rigetto del reclamo.
In particolare veniva qualificato l’atto come negozio “latu sensu” identificativo e di accertamento in materia di diritti reali e si richiamava l’ampia giurisprudenza, anche di Cassazione, che non ammette la trascrizione del negozio di accertamento, in quanto ritenuto atto non traslativo (punto peraltro non pacifico, in quanto parte della dottrina tra cui il citato Santoro Passarelli ritiene che il negozio di accertamento “privato” sia sempre traslativo).
Neanche si sarebbe potuto trascrivere ai sensi del n.13 dell’articolo 2643, quale transazione, non essendo questa la natura dell’atto in oggetto.
Si concludeva quindi, richiamando l’ampia giurisprudenza in materia, che l’atto non era trascrivibile, e che tale acquisto per accessione si sarebbe potuto trascrivere solo se accertato con sentenza ex art. 2651 c.c.
Si richiamava tra le altre la recente sentenza del Tribunale di Milano in materia di negozio di accertamento dell’usucapione che ne aveva escluso la trascrivibilità (RG 11046/2022).
La decisioneIl Tribunale accoglie il reclamo, con le seguenti motivazioni: l’atto oggetto del reclamo viene qualificato come atto ricognitivo, e non come negozio di accertamento. In particolare, il Tribunale ritiene che l’atto ricognitivo sia trascrivibile perché comporta una ricognizione di un acquisto della proprietà verificatosi ex lege dove, “a differenza dell’acquisto della proprietà per usucapione, non occorre la previa verifica della sussistenza dei relativi presupposti”.
In tal modo, facendo salva la giurisprudenza del medesimo Tribunale in materia di non trascrivibilità degli acquisti per usucapione, ammette che, nelle ipotesi in cui non c’è attività di accertamento dei presupposti – attività riservata all’autorità giudiziaria – gli atti ricognitivi possano essere trascritti, e tutto ciò ai sensi dell’articolo 2643 n. 1 c.c.
Ciò perché le parti non stanno accertando una situazione incerta, ma hanno inteso incorporare in un titolo idoneo alla trascrizione un effetto legale già prodottosi per legge, in ordine al quale nessuna incertezza vi era.
Senza comportare alcun cambio di orientamento in materia di negozio di accertamento dell’usucapione, il Tribunale ritiene quindi trascrivibile l’atto che si limiti a riconoscere un acquisto della proprietà avvenuto in forza di una disposizione normativa, ogni qual volta non ci siano dei presupposti che vadano accertati da parte dell’autorità giudiziaria.
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Sezioni Unite: la competenza sull’azione revocatoria della scissione spetta al Tribunale Fallimentare
Con la sentenza 26 febbraio 2025, n. 26337, la Corte di Cassazione a Sezioni unite ha stabilito che, sebbene la competenza a conoscere dell’azione revocatoria nei confronti della scissione spetti in via generale alla sezione specializzata in materia d’impresa, qualora sia il curatore a promuovere l’azione (tanto fallimentare quanto ordinaria), la competenza spetta inderogabilmente al tribunale fallimentare, poiché si tratta di azione che deriva dal fallimento.
La competenza della sezione specializzata in materia d’impresa sull’azione revocatoria della scissione era già stata affermata da Cass., 5 febbraio 2020, n. 2754, alla quale non avevano aderito, però, né il Tribunale di Bologna con la sentenza nei cui confronti è stato proposto il regolamento di competenza dal quale trae origine la decisione in epigrafe, né l’ordinanza interlocutoria con cui la Sez. I aveva rimesso il procedimento al Primo Presidente (n. 24237/2023).
Benché la decisione sia riferita alla legge fallimentare, essa non è priva di interesse anche per il regime del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: da un lato, infatti, deve ritenersi che l’azione revocatoria promossa dal curatore rientri nelle controversie da decidere alla stregua del procedimento unitario di cui al titolo III del Codice, che spettano quindi alla sezione procedure concorsuali del tribunale in cui ha sede la sezione specializzata in materia d’impresa. Dall’altro lato, sembra rimanere valido il principio di diritto per cui, al di fuori del concorso, la competenza a conoscere della revocatoria è della sezione specializzata in materia d’impresa. Pertanto, l’azione revocatoria ordinaria nei confronti della scissione promossa da singoli creditori deve essere instaurata di fronte al tribunale territorialmente competente in cui ha sede tale sezione.
Con riferimento al merito della decisione, desta interesse che uno dei principali snodi dell’iter argomentativo (parr. 10-11) sia rappresentato dall’esplicita previsione (art. 3, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 168/2003) della competenza in capo alle sezioni specializzate per le azioni di responsabilità nei confronti degli organi societari «da chiunque promosse», ossia anche ai sensi dell’art. 2394 c.c. Secondo la Corte, infatti, siffatte controversie, ove non fossero esplicitamente menzionate, non rientrerebbero nella nozione di «rapporti societari» di cui al citato art. 3, comma 2, lett. a), intesi come rapporti che «tragg[ono] origine dal contratto di società» e attengono al«la società come organizzazione» (par. 6). La ratio dell’attribuzione alla sezione specializzata della competenza a conoscere tali controversie va ravvisata – in estrema sintesi – nel rilievo per cui, (anche) in queste ultime, il comportamento dedotto quale causa petendi del diritto azionato riveste una «caratterizzazione giuridica … corporativa», la quale giustifica che la controversia sia conosciuta dall’ufficio giudiziario dotato di apposite qualifiche in materia.
Pertanto, in maniera analoga a siffatto schema concettuale, pure nella domanda di revoca della scissione viene in rilievo, interno alla causa petendi, un «atto corporativo» (il negozio di scissione), il quale causa un pregiudizio – verrebbe da aggiungere: sociale – alla garanzia patrimoniale del creditore. Secondo la Corte, la conclusione è in linea con «la finalità perseguita dal legislatore, perché rimette al giudice specializzato l’apprezzamento dell’eventus damni, il quale … implica il delicato raffronto tra i valori patrimoniali attivi e passivi oggetto di trasferimento e programmati dal progetto di scissione» (par. 16).
Deve altresì segnalarsi che, nel prendere posizione circa la questione di cui sopra, la Corte afferma l’effetto traslativo della scissione: «è ben vero che, come osservato in dottrina, l’atto di scissione assume un preciso significato sul piano della riorganizzazione societaria, attuando la destinazione di risorse da un progetto imprenditoriale ad altro progetto imprenditoriale … È tuttavia incontestabile che quell’effetto venga conseguito attraverso un atto, l’assegnazione patrimoniale di cui all’art. 2506, comma 1, c.c., che integra un vero e proprio trasferimento» (par. 15). Sul punto, tuttavia, la decisione non elabora in realtà un’autonoma argomentazione, ma si limita a rinviare esplicitamente a un principio di diritto già espresso da Sez. un., 15 novembre 2016, n. 23225.
Per vero, nel valutare l’impatto di siffatte asserzioni sul diritto sostanziale, va tenuto presente che i percorsi argomentativi nell’ambito dei quali esse si collocano tenore prevalentemente processuale: nella sentenza in epigrafe, affermare il carattere traslativo della scissione è funzionale a mettere a fuoco le conseguenze che discendono dall’accoglimento dell’azione revocatoria per determinare, così, qual è il giudice che meglio si trova nella posizione per svolgere tale apprezzamento; in Sez. un., 15 novembre 2016, n. 23225, la natura traslativa è sostenuta – in via pregiudiziale rispetto alle questioni di merito – al mero fine di affermare la legittimazione della società scissa a seguito della scissione intervenuta lite pendente, per mezzo dell’art. 111 c.p.c.
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Imposta di successione e curatore dell’eredità giacente: continua la querelle tra contribuente e Agenzia delle Entrate
Nell’articolo pubblicato su questa rivista il 23 febbraio 2024, dal titolo “Nessuna imposta di successione a carico del curatore dell’eredità giacente”, si prendeva spunto da due sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia (Sentenza n. 1626/2023 del 15 febbraio 2023 e Sentenza n. 2867-1 del 27 settembre 2023), per esaminare alcuni profili controversi della disciplina tributaria/fiscale della curatela dell’eredità giacente, con particolare riguardo all’imposta di successione, giungendo alla conclusione della sua non debenza, pur riconoscendo al Curatore dell’eredità giacente l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione.
La Suprema Corte, sulla scia di una sua precedente sentenza (Cassaz. n. 16428 del 15 luglio 2009), è recentemente ritornata sul tema (Cassazione n. 27081 del 18 ottobre 2024), statuendo che “In tema di imposte ipotecarie e catastali correlate alla successione, il curatore dell’eredità giacente è obbligato alla presentazione della dichiarazione di successione e risponde del pagamento dei relativi tributi nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso, in conformità agli artt. 36 e 28 del D.Lgs. n. 346 del 1990 e all’art. 530 cod. civ.“.
La previsione di un obbligo “tout court” di versamento dell’imposta di successione in capo al Curatore dell’eredità giacente travisa, in realtà, quanto previsto dallo stesso Legislatore, sia in materia di capacità contributiva, con particolare riguardo all’imposta di successione, sia in materia civilistica, con riguardo all’istituto del possesso e ciò, per le seguenti ragioni:
- il Curatore dell’eredità giacente non ha il possesso dei beni ereditari in quanto svolge unicamente un’attività di amministrazione del patrimonio ereditario, sulla base dell’incarico ricevuto dal Tribunale e sotto il diretto controllo di quest’ultimo; e per l’effetto, non ha il possesso sui beni ereditari, non potendo disporne a piacimento come fosse il proprietario, potendosi se del caso ravvisare in capo al medesimo la mera detenzione dei beni;
- in vigenza della giacenza dell’eredità non si assiste ad alcun trasferimento di diritto sui beni amministrati alla curatela né quest’ultima può in alcun modo assurgersi al rango di erede;
- l’Art. 28 del T.U.S. elenca tra i soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione di successione i curatori dell’eredità giacente, mentre l’Art. 36 non ricomprende tra i soggetti tenuti al versamento dell’imposta di successione il Curatore, con la conseguenza che può ragionevolmente affermarsi che, se il Legislatore avesse inteso onerare i curatori anche di tale obbligo contributivo, l’avrebbe fatto espressamente con la conseguenza che, non essendovi possesso, vi è per il Curatore solo un obbligo dichiarativo.
La tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate e confermata dalla Suprema con le sopra citate sentenze, genera quindi, sul piano pratico, evidenti distorsioni, difficilmente conciliabili con la ratio stessa dell’istituto della curatela. Dall’esame dell’Art. 1 del T.U.S., secondo il quale l’imposta di successione è un prelievo che si applica “ai trasferimenti di beni e diritti per successione per causa di morte“, e dell’Art. 5 del T.U.S., secondo il quale l’imposta di successione è dovuta “dagli eredi e dai legatari“, può desumersi che secondo il Legislatore il presupposto del tributo altro non è che l’incremento patrimoniale conseguito dall’erede e/o dal legatario, che assolutamente manca nella curatela di eredità giacente, dove tra la data di apertura della successione e quella dell’effettiva trasmissione ereditaria, non si verifica nessun tipo di arricchimento dei chiamati né il trasferimento dell’eredità nella sfera giuridica/patrimoniale del Curatore.
Se con le due sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia (sentenza n. 1626/2023 del 15 febbraio 2023 e sentenza n. 2867-1 del 27 settembre 2023) vi era stato un passo avanti nella risoluzione dell’annosa questione della debenza/non debenza delle imposte in capo al curatore dell’eredità giacente, con la sentenza n. 27081 del 18 ottobre 2024 della Cassazione si ritorna un passo indietro, dal momento che tutto è nuovamente rimesso in discussione.
Il fattoL’Agenzia delle Entrate notifica a un curatore di un’eredità giacente, considerandolo coobbligato al pagamento del tributo gravante sulla medesima eredità, plurimi avvisi di liquidazione e cartelle di pagamento, riferiti a imposte di bollo, catastale, ipotecaria e registro inerenti una procedura di successione, per le quali il curatore presenta ricorso, che viene accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca con sentenza n. 355/2017.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone appello, che si conclude con la Sentenza n. 295/2019 depositata il 21 febbraio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Toscana respinge l’appello.
Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso il curatore dell’eredità giacente. Tale ricorso viene accolto dalla Suprema Corte.
Il controricorrente – afferma la Cassazione – è destinatario dell’atto impositivo nella sua qualità di curatore della eredità giacente.
In tema di imposte ipotecarie e catastali correlate alla successione, il curatore dell’eredità giacente, in quanto soggetto obbligato, ai sensi dell’art. 28, comma 2, e 31 del T.U.S., alla presentazione della dichiarazione di successione, è per conseguenza tenuto, ai sensi dell’art. 36, commi 3 e 4 del T.U.S., anche al pagamento del relativo tributo, seppur nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso.
Dispone l’art. 36 T.U.S. che sono soggetti obbligati al pagamento dell’imposta solo “1. Gli eredi sono obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta nell’ammontare complessivamente dovuto da loro e dai legatari. 2. Il coerede che ha accettato l’eredità col beneficio d’inventario è obbligato solidalmente al pagamento, a norma del comma 1, nel limite del valore della propria quota ereditaria.”; mentre ai sensi del comma 3 è previsto che: “3. Fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti. Si applica l’art. 58 del testo unico sull’imposta di registro approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131“.
Deduce la Suprema Corte che, atteso che il curatore dell’eredità giacente è tenuto a presentare la dichiarazione, lo stesso rientra tra i soggetti obbligati al pagamento dell’imposta, tant’è che in capo allo stesso è espressamente previsto l’onere di promuovere la necessaria autorizzazione (art. 530 cod. civ.) per il pagamento dei debiti ereditari, dei quali è nel possesso (per tale dovendosi intendere la relazione con i beni, che debbono formare oggetto di inventario, sicuramente a fini fiscali).
Secondo la Corte quanto sopra trova ulteriore conferma proprio nell’art. 36 T.U.S che, al comma 4, prevede la facoltà di promuovere la nomina di un curatore da parte del fisco: se il curatore non potesse assolvere al debito tributario non vi sarebbe invero ragione alcuna di prevedere una siffatta facoltà.
Alla luce di tutte le argomentazioni sopra esposte, la Cassazione (richiamata la sentenza n. 16428 del 15 luglio 2009 della stessa Suprema Corte) cassa la decisione impugnata e accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo, in conclusione, che il curatore dell’eredità giacente, in quanto soggetto obbligato, ai sensi dell’art. 28, comma 2, e 31 del T.U.S., alla presentazione della dichiarazione di successione, sia tenuto, ai sensi dell’art. 36, commi 3 e 4 del T.U.S., al pagamento del relativo tributo, nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso, sui quali solo cade la responsabilità patrimoniale.
L'articolo Imposta di successione e curatore dell’eredità giacente: continua la querelle tra contribuente e Agenzia delle Entrate sembra essere il primo su Federnotizie.
Cos'è e come funziona la nuda proprietà?
La nuda proprietà è un istituto giuridico con cui si acquista la proprietà di un immobile anche se sussiste sul bene un diritto reale di un altro soggetto.